Nel 2021, la sala del Grand Théâtre Lumière esplode in un applauso lungo quattordici minuti. BELLE, o Ryū to Sobakasu no Hime, ultima creatura del regista giapponese Mamoru Hosoda, incanta il Festival di Cannes. Un trionfo!, direbbero alcuni. Un’ovazione che riecheggia come un segnale inequivocabile: ci troviamo di fronte a un’opera potente, capace di parlare al cuore e agli occhi, al presente e al futuro. Ma dietro il velo di entusiasmo e commozione, si cela un’opera profondamente divisiva. Un film che seduce e al tempo stesso fa smarrire lo spettatore. Una fiaba digitale che brucia di bellezza, ma inciampa nell’eccesso di ambizioni.

Suzu e il doppio specchio dell’anima

Belle, Mamoru Hosoda, amazon.it
Belle, Mamoru Hosoda, amazon.it
Intervista a Vulture

“Quando ho lavorato a Digimon Adventure nel 2000, Internet era utilizzato principalmente dai giovani ed era una specie di nuova frontiera piena di possibilità, quindi abbiamo scelto di rappresentarlo come un grande spazio bianco e aperto. Quando ho realizzato Summer Wars, aveva una tavolozza di colori più calda e vibrante[…]. Con Belle, ho visto come tutti hanno iniziato a utilizzare i social media e Internet in generale per connettersi tra loro, non solo i giovani. Internet è diventato molto più vicino alla realtà, quindi volevo che sembrasse un mondo completo. ” – Hosoda

BELLE è, prima di tutto, una reinvenzione. Mamoru Hosoda, autore di cult già noto per Wolf Children, The Boy and the Beast e Digimon – il Film, prende il celebre racconto de La Bella e la Bestia – nella duplice eco Disney e Cocteau – e lo riversa nel crogiolo digitale di una contemporaneità iperconnessa. Al centro della narrazione c’è Suzu, adolescente chiusa nel bozzolo del lutto, fragile e silenziosa da quando la madre l’ha lasciata. L’unico luogo dove riesce ancora a cantare è U, un universo virtuale immenso, cangiante, che pulsa come un organismo vivente.

Hosoda ha dichiarato di aver concepito U come uno spazio digitale dominato da grattacieli per trasmettere un senso di oppressione e mistero, simile a una metropoli senza orientamento. Ciò include anche gli aspetti negativi del mondo reale, come il trolling, molto diffuso in Giappone. La sfida era rappresentare questi problemi senza rinunciare a un messaggio positivo, offrendo una visione fiduciosa e speranzosa del futuro di Internet.

Qui, Suzu però abbandona la sua vera identità e diventa Belle, avatar affascinante e carismatico dalla voce angelica. La trasformazione è totalizzante: da bruco impaurito a farfalla luminosa. La sua voce, persa nel dolore, rinasce nel cyberspazio. Eppure, anche in questa seconda vita, non mancano dubbi e ombre. E lì, nel confronto tra l’immaginario collettivo della fiaba e il dolore individuale che plasma la nostra identità, Hosoda costruisce una delle sue metafore più potenti.

Il corpo di un drago, il cuore di un bambino

Belle, Mamoru Hosoda, amazon.it
Belle, Mamoru Hosoda, amazon.it

La Bestia della fiaba di Hosoda è un drago umanoide che vive avvolto da una coltre di mistero. Belle è l’unica che non si limita a temerlo: cerca di capirlo, si senta legata a lui. Il loro rapporto si sviluppa lentamente, in un turbinio di emozioni, esitazioni, scoperte e silenzi. Ma la Bestia è, in realtà, solo un ragazzino spezzato, vittima di abusi, che tenta di sfuggire alla realtà e proteggere il suo fratellino. Tale rivelazione spiazza, spezza l’incantesimo e introduce una tematica durissima.

È un cambio di tono radicale, quasi dissonante, che svela il cuore sociale e impegnato del film. La violenza domestica, così cruda, irrompe in un racconto che fino a quel momento fluttuava tra armonie musicali e architetture digitali. La realtà prende il sopravvento, dividendo la pellicola in due parti. E lì, Hosoda divide il pubblico: alcuni ne hanno lodato il coraggio, altri lo hanno criticato per la mancanza di coerenza narrativa.

La forma abbagliante

Belle, Mamoru Hosoda, amazon.it
Belle, Mamoru Hosoda, amazon.it

Ma se la coerenza narrativa traballa, la forma abbaglia: BELLE è un’esplosione visiva. Il mondo reale viene reso con colori desaturati, atmosfere intime e rurali, dove il tempo sembra fermarsi tra le colline e i cieli grigi del Giappone. In contrasto, U è una vera e propria visione onirica: un’enorme città sospesa tra luci e avatar. L’architetto Eric Wong ha reso una topografia dell’immaginazione, mentre lo studio Cartoon Saloon ha contribuito con sequenze animate che fondono 2D e CGI con una fluidità senza precedenti.

I rossi profondi delle performance di Belle, i blu glaciali delle stanze isolate della Bestia, i bagliori aurorali delle folle digitali. Ogni sfumatura di colore parla, vibra, racconta. La colonna sonora, interpretata dalla – quasi sconosciuta – Kaho Nakamura, si fonde perfettamente all’estetica, tra struggenti liriche e canzoni pop: non è un caso che BELLE funzioni magnificamente come musical. Difatti, Hosoda era inizialmente tentato di realizzare un vero e proprio musical vecchio stampo, ispirandosi alla versione Disney de La bella e la bestia. Tuttavia, rinunciò all’idea a causa della scarsa tradizione dei musical nel cinema giapponese. Decise così di dare alla musica un ruolo centrale, cercando una protagonista che sapesse cantare per trasmettere emozioni autentiche anche a un pubblico internazionale.

Una cornucopia di temi e trame

Belle, Mamoru Hosoda, amazon.it
Belle, Mamoru Hosoda, amazon.it

Tuttavia, per alcuni è proprio questa sinestesia visiva e sonora a fagocitare la narrazione. BELLE è un film che vuole parlare di tutto: di perdita, del trauma, di rinascita, delle fragilità dell’adolescenza, di identità, di solitudine, di empatia, del giudizio sociale. Ma nel tentativo di parlare delle mille suggestioni della contemporaneità, Hosoda sembra correre troppo. Introduce temi, li tratta con un po’ troppa leggerezza, apre e chiude sottotrame.

E di questo risente il legame tra Belle e la Bestia e l’epilogo, benché toccante, lascia molte domande in sospeso. Ed è proprio mentre Suzu canta per salvare i due fratellini dalla violenza domestica, un atto simbolico e visivamente potente, che lo spettatore resta maggiormente interdetto. Una soluzione narrativa emotiva, ma non particolarmente credibile o concreta. L’epilogo, peraltro, a molti è risultato un po’ affrettato, inconcludente. Un’opera ibrida: un capolavoro monco che si perde in mille percorsi.

Eppure, nonostante tutto, BELLE colpisce. Lo fa con le sue immagini, con i suoi silenzi, con la grazia delle inquadrature. Ma lo fa anche quando lascia spazio all’oscurità e non cerca di nasconderla sotto il velo del progresso e della positività-a-tutti-i-costi.

Ma davvero BELLE si affida più alla bellezza delle animazioni che ad una coerenza di trama?
Oppure siamo noi, eterni incontentabili, a pretendere la perfezione-ad-ogni-costo?
A non goderci più un film se non rientra nei nostri parametri?

Bellezza e contraddizione

Belle, Mamoru Hosoda, amazon.it
Belle, Mamoru Hosoda, amazon.it

Hosoda ci ha sempre abituati a storie familiari, con un’attenzione particolare alla dimensione digitale. Eppure, il regista qui sceglie il caos, il disordine, la duplicità. Un rischio che, per molti, si traduce in frustrazione. Per altri, invece, è il segno di un’opera matura, capace di accettare la complessità dell’animo umano. Difatti, a distanza di anni, BELLE resta uno dei capolavori di Hosoda: non solo per la sua qualità tecnica – che ha fissato nuovi standard ovunque – ma per il coraggio con cui ha scelto di affrontare un “classico della letteratura”.

Dunque sì, BELLE è un film imperfetto. Ma è anche un’opera viva, pulsante, profondamente umana. È un’opera che osa, che sbaglia, che si perde, ma che lascia un segno. E forse non è un caso se il film abbia trovato un’accoglienza più fredda negli Stati Uniti. Forse l’opera di Hosoda è un film troppo giapponese, troppo introspettivo, troppo poetico, per aderire ai canoni occidentali. O forse, semplicemente, è un film che ci parla, con tutta la sua fragilità, dell’unica cosa che davvero conta: la capacità di ascoltarsi, di amarsi. Anche quando si è imperfetti. Anche quando si è spezzati.

E alla fine, quei quattordici minuti di applausi a Cannes non sono stati per una fantomatica perfezione. Sono stati per il coraggio, per la bellezza. Per la voce ritrovata di una ragazza ordinaria che non è un’eroina, non salva il mondo, non combatte contro un villaggio, non lo fa per amore. Suzu sceglie di fare la cosa giusta, salvandone uno.
Dopotutto, chi salva un bambino, salva il mondo intero, no?

Condividi.

Napoletana, classe 92, nerd da sempre, da prima che fosse socialmente accettato. Dopo il diploma al Liceo Classico, una breve ma significativa tappa all'Accademia di Belle Arti mi ha aperto gli occhi sul futuro: letteratura, arte e manga, compagni di una vita ed elementi salvifici. Iscritta a Lettere Moderne, ho studiato e lavorato per poi approdare su cpop.it e scoprire il dietro-le-quinte del mondo dell'editoria. Dal 2025 scrivo per LaTestata e mi sono unita al team di ScreenWorld in qualità di Capo Redattrice Anime e Manga: la chiusura di un cerchio e il coronamento di un sogno.