Dopo il suo caotico debutto, Gli Anelli del Potere ha rischiato seriamente di crollare sotto il peso delle proprie ambizioni. Rings of Power ha creato una spaccatura netta tra contesto produttivo ed estro autoriale, convincendo in larga parte con la sua messa in scena imponente senza però lasciare il segno con le proprie storie. Ripararsi dalle critiche dietro diritti mancanti o calcare la mano sui peggiori commenti del web non è stata la scelta giusta: il problema di una delle serie più deludenti degli ultimi anni parte dalle idee e dalle motivazioni. Prime Video ha provato a correre ai ripari, stravolgendo la writing room con nomi più affermati senza però scalzare dal timone J.D. Payne e Patrick McKay, showrunner esordienti posti a capo della produzione più delicata sul mercato.
Con l’arrivo della seconda stagione, complice il periodo di magra in termini di uscite, il servizio streaming di Amazon ha potuto vantare numeri elevatissimi: milioni di spettatori, milioni di minuti guardati nel mondo ed ecco che di colpo Gli Anelli del Potere si gode il sapore del successo. Tuttavia, basta dare un’occhiata più approfondita per capire che non è tutto oro quel che luccica: la seconda stagione di The Rings of Power doveva assolutamente rimediare agli errori della prima, fornendo più concretezza e profondità a eventi, contesti e personaggi. Il risultato, al netto di un miglioramento nella gestione generale dell’intreccio e di alcuni dialoghi, resta però lontano dalla sufficienza.
Gli Anelli del Potere 2 dice poco e lo dice in maniera assai approssimativa, mettendo da parte la logica per lasciar passare un messaggio pericoloso: lo spettacolo è più importante della sostanza.
Gli Anelli del Potere 2 Genere: Fantasy Durata: 8 Episodi da 60 minuti c/a Uscita: 29 Agosto 2024 (Prime Video)
Creata da: J.D. Payne, Patrick McKay Cast: Morfydd Clark, Charlie Vickers
Dalla Dama Bianca al Signore Oscuro
Dopo l’improbabile “rivelazione” della prima stagione, lo show ha deciso di concentrarsi sul proprio villain: Gli Anelli del Potere 2 non avrebbe potuto essere più Sauron-centrica, con l’ombra del Signore Oscuro che si fa centrale in quasi ogni episodio. Una mossa all’apparenza azzeccata, ma dalla resa tutt’altro che soddisfacente: le macchinazioni del Maiar interpretato da Charlie Vickers sono al centro della storia della Seconda Era di Tolkien, ma le dinamiche attraverso cui l’erede di Morgoth acquisisce prestigio e influenza appaiono raffazzonate e spesso persino incoerenti rispetto alle azioni (o reazioni) degli altri personaggi in gioco. Il problema non è ciò che si racconta, ma come: al cospetto di Vickers, qualsiasi comprimario impallidisce a tal punto da risultare quasi ingombrante ai fini della narrazione.
La linea principale della seconda stagione vive di pochi sprazzi, mantenendo un ritmo generalmente blando anche se più intrattenente rispetto al passato. Le linee narrative non-elfiche lasciano parecchio a desiderare, apparendo come riempitivi utili soltanto a tenere vivo il chiacchiericcio o vani tentativi di rievocare gli intrighi che hanno reso grande Game of Thrones. Persino i Nani, che nella scorsa stagione avevano incuriosito non poco, cadono vittima della ridondanza degli Anelli. L’impressione generale di questa stagione è che ci siano diversi personaggi interessanti, o quantomeno dal buon potenziale, immersi in storie poco originali che faticano a mantenere una loro coerenza. Rings of Power conferma di non interessarsi quasi per nulla ad appetire lo spettatore attento, sottovalutando costantemente la sua intelligenza senza mai raccontare qualcosa di significativo valore – come testimonia la scrittura della sua protagonista, relegata ai margini per manifesta incapacità nel gestire una donna “forte” senza renderla tossica.
Chi è causa del suo mal…
Un vero peccato, se si considera l’ulteriore sforzo produttivo che bissa (e in certi casi riesce persino ad amplificare) la maestosità visiva della prima stagione: Charlotte Brändström dirige le puntate con attenzione e il suo stile basta a restituire il senso di grandezza che solo i grandi fantasy riescono a offrire. Ogni aspetto nella resa di ambienti e personaggi mette in mostra un’attenzione per i dettagli che farebbe impallidire quella di moltissimi lungometraggi, tra una fotografia da brividi e una colonna sonora di grande impatto. Al netto della sua bellezza effimera, Gli Anelli del Potere continua purtroppo a essere uno specchio per le allodole: una produzione confusa e ambiziosa, tanto bella quanto fragile, che si inserisce perfettamente all’interno di un fenomeno tutto americano sempre più spesso al centro dell’attenzione.
Il caso di Rings of Power apre le porte a un discorso ben più complesso, che prescinde dall’opera e riguarda piuttosto il “nuovo” modo di raccontare storie. Il contesto seriale moderno, in particolare, dimostra come certi stilemi rappresentino ormai lo standard della narrazione occidentale – almeno per quanto riguarda gli adattamenti del fantastico: esplorare valori profondi non è più importante come rappresentare (e rappresentarsi) sulla superficie; portare i contrasti della realtà nel contesto fantastico, in nome della relatability, attira molto più dei conflitti interni a una narrazione tout court. Parliamoci chiaro: non sarà mai un problema riadattare un’opera figlia del proprio tempo a un contesto moderno, ma per farlo bene occorrono grande intelligenza e poco ego. La nuova generazione di autori americani farebbe bene a riflettere sulla tendenza che sta alimentando in tutti i media – sperando non si dimentichi che tutto parte dalle storie, quelle che bastano a distinguere un successo da un fallimento.
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5.5Un gran peccato
Non ci si aspettava troppo da Gli Anelli del Potere 2, eppure la delusione brucia come la prima volta. La serie Prime Video riesce a intrattenere senza grosse pretese grazie a una messa in scena spettacolare, ma manca di tutto il resto. Senza neppure considerare le logiche dell'adattamento, la scrittura degli episodi cerca riferimenti senza mai trovare una quadra: c'è tanta confusione, ma c'è soprattutto una spocchia autoriale che si fa sempre più problematica nel contesto seriale americano. Un ambiente fatto di tante chiacchiere e poca sostanza, che sottovaluta costantemente l'intelligenza dello spettatore, rischia di generare mostri.