1988. L’America reaganiana è divorata dal consumismo: casette a schiera, benessere sbandierato, presunti modelli di perfezione ovunque. Poi c’è un ragazzone inquieto di Burbank che ha la nausea di tutta questa roba. E così decide di mettere in scena il suo conato di vomito. Ci riesce con una stramba creatura figlia di una sensibilità ribelle: Beetlejuice. Una macabra commedia in cui per una volta sono i vivi a dare fastidio ai morti. È forse il primo grande ribaltamento firmato Tim Burton dentro un film grottesco, diventato un cult grazie al suo spirito anarchico. Negli anni quel ragazzone inquieto è diventato maturo, e quella rabbia giovanile l’ha persa per strada. Con lei anche il talento visionario di un regista che a volte non abbiamo riconosciuto. Forse per questo ci voleva lo spiritello porcello per ritrovare la via. Non retta, ovviamente. Perché Tim Burton ci ha insegnato ad amare le storture. Sì, in questa recensione di Beetlejuice Beetlejuice, che ha aperto (Fuori Concorso) l’81esima Mostra del Cinema di Venezia, vi parleremo di un insperato ritorno. Senza quella carica anarchica di un tempo, ma con tanta sana voglia di divertire e divertirsi. Quella di un regista dato per morto che doveva sguazzare nell’aldilà per ritrovare brandelli di sé stesso.
Genere: Commedia nera
Durata: 122 minuti
Uscita: 5 settembre 2024 (Cinema)
Cast: Michael Keaton, Winona Ryder, Jenna Ortega, Monica Bellucci
Ricucire i pezzi
Vedere i morti non è più un dono. Vedere i morti è diventato show. Materia da beceri programmi in tv. Sì, perché la giovane Lydia, conosciuta nel primo Beetlejuice (col volto antico di Winona Ryder), è diventata quasi un fenomeno da baraccone manipolata dal suo manager. Ed è diventata anche mamma di una ragazza che non crede nel talento di sua madre, figlia di generazione piena di disincanto. Una distanza madre-figlia che verrà colmata dal ritorno dello pazzo spirito Beetlejuice, a cui una sposa cadavere dà la caccia. Questo abisso generazionale tra madri e figlie è il primo grande tema di questo sequel, ambientato trentasei anni dopo il primo film. Burton mette allo specchio chi non si vergogna di credere nella meraviglia e chi non riesce a farlo, inibito dal cinico pragmatismo dei nostri tempi. Lampante quanto Burton soffra questa epoca egoriferita, in cui i veri mostri si nutrono solo della propria immagine riflessa online.
E così reagisce a modo suo. Evita la paternale “da boomer” e organizza una festa “vecchio stampo”. Una festa in cui ricucire i rapporti con se stesso. Una festa in cui il suo cinema si riscopre strambo, materico, che riesci quasi a toccare a suon di stop motion, animatronica e pupazzi deformi. Così riecco un Aldilà ancora più ricco e pulsante rispetto al primo film, che pullula di personaggi fuori di testa. Riecco le atmosfere lugubri eppure piene di vita. Riecco il feticismo per il macabro. Ecco persino un’origin story di Beetlejuice che strizza l’occhio alla nuova moda di spiegare tutto. È un Burton che ormai non è contro il sistema come un tempo. Burton ora il sistema lo conosce e lo vuole semplicemente deridere con questa bella commedia nera. Come quando cita se stesso con furbizia a suon di spose cadaveri oppure rievocando tormentoni che ci riportano al terzo giorno della settimana.
Brandelli di Tim
Siamo sinceri. Eravamo molto preoccupati per questo sequel. Perché Beetlejuice non è solo un film di cui è difficile immaginare un seguito, ma è un film figlio del suo tempo. Pieno di una carica caotica e di una passione viscerale per il grottesco che sono difficili da riproporre oggi. Eppure, in qualche modo, Burton è riuscito a fare una cosa difficile. Ovvero aggiornare quel vecchio spirito alla sensibilità di oggi. Senza però tradire il suo stile e la sua estetica. Pare che non abbia mai rivisto il primo Beetlejuice perché ne ricordava ancora l’animo. Forse è stato il metodo giusto per ritrovare qualcosa che, forse, il buon Tim aveva perso da tempo: la voglia di divertirsi. Ecco, Beetlejuice è un divertente in modo genuino, e non diventa stucchevole anche quando è soltanto divertito.
Certo, ogni tanto gag e situazioni girano un po’ vuoto e forse la carne sul fuoco è davvero tanta (il personaggio Monica Bellucci ha un’entrata in scena bellissima per poi essere parecchio accantonata), eppure questo Beetlejuice Beetlejuice sembra davvero l’appuntamento con un vecchio che non vedevi da tanto, troppo tempo. A volte non serve fare le cose in grande, non serve sfornare il capolavoro. A volte basta accontentarsi di buon bicchiere di vino bevuto facendosi delle sane risate a denti stretti. Quelle che nascondono sempre qualcosa di tragico dietro ogni sorriso. Soprattutto quando ti accorgi che quello che stai bevendo no, non è affatto vino.
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La recensione in breve
Qualcuno ha nominato "Burton" tre volte, rievocando quel piglio anarchico e quello sguardo strambo che ci era mancato. Nasce così un buon sequel, coerente con il primo film, ma anche capace di arricchirne la mitologia. Beetlejuice Beetlejuice è una commedia nera imperfetta, che ogni tanto zoppica, ma attraversato da una genuina voglia di divertire e divertirsi.
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Voto ScreenWorld