Con l’uscita del lungometraggio dedicato a Uncharted, primo lungometraggio targato PlayStation Productions, pensiamo che sia utile fare una panoramica sulla saga videoludica. Una proprietà intellettuale che ha fatto la fortuna di Sony grazia a quattro splendidi videogiochi a al suo protagonista, ormai diventato un’icona incastonata nell’immaginario collettivo. Un personaggio che può apparire come il più classico e inarrivabile degli eroi d’avventura (e in un certo senso lo è) ma che nasconde nel suo aspetto, nelle sue gesta e nel suo nome una normalità sorprendente.
Perché è nell’importanza di chiamarsi Nathan Drake che Uncharted nasconde parte della sua vera grandezza.
Uncharted: la scoperta e l’avventura prima di tutto
Prima di passare all’analisi del suo protagonista dobbiamo però spendere qualche parola sui quattro capitoli (e due spin-off) che compongono la saga di Uncharted. Una serie che ha contribuito a rivoluzionare il mondo dei videogiochi, ha cambiato lo status e la narrazione di una casa di sviluppo come Naughty Dog e ha fatto le fortune di Sony e di PlayStation.
Nel primo decennio degli anni ‘2000 si è assistito a un grande ritorno del genere d’avventura nel mondo dell’intrattenimento. Specialmente all’avventura più classica, legata a misteri, alla Storia, alle cospirazioni con tutto ciò che ruota attorno a questi capisaldi. Pensiamo ad esempio al mondo letterario con il fenomeno editoriale Dan Brown a partire dalla pubblicazione de Il Codice Da Vinci nel 2003. Oppure guardiamo al cinema, in cui i casi abbondano: abbiamo i due Tomb Raider, adattamenti dei videogiochi su Lara Croft usciti nel 2001 e nel 2003; i due National Treasure con Nicolas Cage usciti nel 2004 e nel 2007; nel 2006 arriva il primo capitolo della trilogia di Una Notte al Museo; gli adattamenti dei romanzi di Dan Brown a partire dallo stesso anno; infine la trilogia di Pirati dei Caraibi uscita tra il 2003 e il 2007. Questo solo per citare alcuni titoli che, seppur molto diversi tra loro come approccio e interpretazione, condividevano tutti la volontà di unire avventura, Storia e mistero.
In questa dinamica culturale si inserisce Naughty Dog. La casa di sviluppo aveva già trovato il successo prima con la creazione di Crash Bandicoot e poi con la saga di Jak and Dexter. Nel 2007 arriva però con un qualcosa di nuovo, un titolo in grado di unire l’avventura grafica 3D, con meccaniche platform e TPS (Third Person Shooter). Uncharted: Drake’s Fortune prendeva tutti i cliché del genere e li univa, con un ritmo vertiginoso, a un gusto cinematografico dell’uso della camera che raramente si era visto nel mondo videoludico. Largamente apprezzato da critica e pubblico all’epoca, questo primo capitolo è servito principalmente come base di sviluppo per il successivo.
Quello che probabilmente è il capolavoro della serie: Uncharted 2: Il Covo dei Ladri. Un titolo che da una parte spostava in alto l’asticella tecnica del mondo console (cosa a cui Naughty Dog oggi ci ha abituato) e che elevava tutto il mondo visto nel primo Uncharted. Da quell’intro nel vagone di un treno fino ad arrivare all’indimenticabile scorcio su Shambala, un’unica corsa mozzafiato. L’avventura pad alla mano non sarebbe mai più stata la stessa. La saga è proseguita poi con il terzo L’inganno di Drake, un capitolo che usava la formula del “more of the same” in una chiave molto divertente e caciarona. Infine il quarto e ultimo (senza considerare gli spin-off) Uncharted 4: Fine di un ladro che vede l’arrivo di Neil Druckmann come direttore creativo (era già stato tra gli sviluppatori dei primi due) a guidare la conclusione della saga con un forte approfondimento del suo protagonista.
La saga di Uncharted ha saputo inserirsi in una bolla del mercato dell’intrattenimento in modo sapiente, cercando di innovare il suo comparto tecnico di capitolo in capitolo, per poi concludere concentrandosi maggiormente sull’introspezione del suo protagonista. Da una parte perché, negli anni in cui si è sviluppato, il mondo dei videogiochi è mutato, maturando e cercando sempre più introspezione nei suoi personaggi. Dall’altra perché Naughty Dog si è resa conto con il passare dei capitoli della grandezza dell’icona che aveva creato ed ha giustamente pensato di dedicare a Nathan Drake un capitolo finale in grado di concludere al meglio la vera grande avventura dietro ad Uncharted: la sua.
Nathan Drake: dietro al nome
Per costruire le fattezze di Nate gli sviluppatori di Naughty Dog presero ispirazione da più fonti. Da una parte gli eroi e le eroine dell’avventura nel mondo dei videogiochi e quindi l’immancabile Lara Croft. Dall’altra l’immaginario sempre dello stesso genere ma appartenente al cinema, con Harrison Ford e il suo Indiana Jones ma anche il Cary Grant di Gunda Din. Naughty Dog ha poi sempre palesato l’ispirazione a Johnny Knoxville, il comico e stuntman noto per la serie Jackass. Un mix volto a creare un personaggio sì memorabile ma allo stesso tempo piuttosto normale. Nate è un uomo dall’aspetto belloccio ma non da divo, con un fisico tonico ma non sfacciatamente muscoloso, vestito in modo semplice con jeans e maglietta (infilata asimmetricamente nei pantaloni) e con un’ironia, quella sì, fuori dal normale. Pure la meccanica in game legata alla sua salute vuole sottolineare questo aspetto. Durante una sparatoria ad esempio, Nate non sopravvive a un numero illimitato di proiettili. Come rivelato dagli sviluppatori infatti quando l’interfaccia di gioco diventa rossa rappresenta la “fortuna” di Drake nel non essere colpito. Quando essa si esaurisce i nemici riusciranno a colpire il protagonista con un singolo proiettile che pone fine alla partita. Non un supereroe quindi ma un uomo più o meno comune che vive avventure straordinarie. In quelle stesse vicende poi il protagonista raramente arriva all’obiettivo prefissato. Come accade ne all’Indiana Jones de I Predatori dell’Arca Perduta, Nathan perde quasi sempre. Il tesoro che cercherà di raggiungere va nella maggior parte dei casi distrutto.
Possiamo quindi dire che i viaggi, i misteri che risolve, gli scontri cui sopravvive, sono tutti finalizzati alla crescita del personaggio. Un percorso volto a destrutturare l’icona di Nathan Drake che tra il primo e il quarto capitolo della saga cambierà, passerà dall’essere una semplice icona dell’avventura e diventerà ancor più umano e semplice. Proprio come le fibbie della sua cintura che cambiano di gioco in gioco fino a non averne una in Fine di un Ladro, verranno tolte le sovrastrutture attorno al personaggio in un processo di destrutturazione non lontano da quello compiuto su Don Draper in Mad Men. Proprio come con il protagonista della serie AMC, alla base di questo percorso vi è proprio il nome del personaggio (entrambi molto cool, tra l’altro).
Scopriremo nel corso della saga che Nathan Drake non solo non è un lontano erede del corsaro Francis Drake ma che Drake non è neanche il suo vero cognome. Nel terzo e poi nel quarto e finale capitolo il mistero cadrà. L’orfano Nate (insieme al fratello Sam) ha adottato il cognome di Drake con la conseguente discendenza, da una parte per riprendere le memorie della madre defunta, dall’altra per sostituire le mancanti radici paterne. Quel sentimento di appartenenza che Nathan ritroverà attraverso il suo rapporto con gli altri personaggi: dal socio e figura paterna Sully fino all’amore per Elena e al ritrovato fratello Sam. Così l’avventura diventa un percorso di maturazione per Nate in grado di andare a colmare un passato che gli è stato negato, a sostituire un nome che si era autoimposto: Nathan Drake.