Povere creature! è il nuovo film del regista greco Yorgos Lanthimos, che dopo aver conquistato il pubblico della Mostra del Cinema di Venezia e quello oltreoceano, è arrivato nei cinema italiani il 25 gennaio, in tempo per essere recuperato durante la stagione dei premi. Si tratta del nuovo tassello nel “cinema del perturbante” di Lanthimos: d’altra parte il regista ateniese ha sempre realizzato pellicole fatte per disturbare lo spettatore, per metterlo nella condizione di agitarsi in poltrona, di distogliere lo sguardo, di continuare a pensare a quella determinata pellicola anche ore dopo la conclusione della proiezione.
Una scelta narrativa che è presente anche nei primi film, come Kinetta e Dogtooth. Sebbene sia più lineare e meno “fastidioso” da digerire, Povere creature! è un film che ha comunque i suoi angoli appuntiti, le sue scelte discutibili. Soprattutto è il film che più di tutti rende palese e chiaro quel mostruoso femminile che è insito in ogni opera del regista greco.
All’inizio ci furono i mostri, poi arrivarono le donne
La figura del mostro è forse uno degli archetipi maggiormente sfruttati e utilizzati in ogni ambito narrativo: dalla letteratura al cinema, passando per le serie tv, le piéce teatrali e persino i videogiochi. Una diffusione vasta e uniforme, che si deve probabilmente al fatto che il mostro, come maschera narrativa, ha una doppia valenza. Sebbene siamo abituati a pensare ad esso solo come a qualcosa di spaventoso, che serve per far emergere le paure di chi il mostro lo subisce, in realtà il mostruoso può avere una valenza di scoperta e consapevolezza.
La parola monstrum,infatti, non indica solo il prodigio, il corpo stra-ordinario che emerge in mezzo alla consuetudine: il termine è legato anche all’idea di far vedere, di mostrare per cui il mostro diventa uno specchio della società dei “normali”, diventa la leva che fa emergere ciò che di oscuro e nascosto teniamo dentro di noi. Non è un caso se, spesso, la creatura mostruosa è più positiva rispetto agli esseri umani che gli danno la caccia: si pensi alla creatura di Frankenstein, ma anche all’Edward mani di Forbice di Tim Burton.
Discorso che però non si applica quando si parla di donne. Nella cultura e nella tradizione letteraria, la donna è sempre vittima di una rappresentazione negativa. Questo, naturalmente e a scanso di equivoci, non significa che non esistono personaggi femminili positivi, ma nella sfera dell’archetipo, la donna è Eva, la traditrice, la bugiarda che ha condannato il resto dell’umanità. È la strega che inganna la realtà e la manipola a proprio piacimento. È un mostro fatto di un corpo che cambia, che muta, che dà la vita attraverso il sangue e il dolore. E nei film di Yorgos Lanthimos le donne sono spesso le rappresentazioni del caos, l’elemento di disturbo che mostra cosa non funziona nelle società, più o meno grandi.
In Alps,ad esempio, le sue donne sono entrambe, in qualche modo, delle bugiarde, delle traditrici, che non mentono solo al loro gruppo ristretto, ma anche a se stesse. Il personaggio di Monte Rosa (Angeliki Papoulia) è una donna che si arroga il diritto di impersonare un’altra persona, di rubarle la vita, arrivando persino a distruggere l’ultimo tabù ancora tale, quando cerca di sedurre il padre. È un elemento del caos, una mina impazzita che si agita senza avere un “piano” e che, proprio per questo, non può avere futuro, ambizioni o semplici legami interpersonali.
Il mostro che viene dall’esterno
Nella tradizione classica, il mostro è sempre un elemento di disturbo, un cambiamento che si insinua nella realtà predisposta dei protagonisti. Per questo spesso la figura del monstrum è percepita come qualcosa di esterno, di estraneo, qualcosa che viene da fuori. Lanthimos recupera anche questo stereotipo e lo mette in scena nel controverso Dogtooth, film del 2009 con cui il regista greco si è affermato agli occhi del grande pubblico, grazie anche a una nomination agli Oscar come miglior film straniero.
Il film mette in mostra una famiglia reclusa, guidata da un padre-padrone che usa ogni mezzo per spaventare i figli e costringerli a rimanere nei confini della casa, disegnando oltre il cancello un muro di violenza e paura. L’uomo, però, “assume” una giovane donna, Christina, affinché il figlio possa avere la sua prima esperienza sessuale. Ben presto, proprio a causa della presenza di Christina, di questo elemento disturbante che viene dal mondo esterno, le dinamiche all’interno della famiglia cambiano, al punto che il padre-padrone perde il controllo su ogni cosa. Ha aperto la porta al mostro e il mostro ha divorato il suo mondo che pensava ordinato e rispettoso, e che invece non era altro che la rappresentazione di un’oppressione.
Christina rappresenta un mostro non secondo i canoni classici: non ha una figura deforme che mostri al mondo la sua alienazione, né ha in sé una cattiveria e un’oscurità tali da rendere giustificabile l’utilizzo dell’aggettivo. La sua mostruositàsta nella sua capacità di scardinare un microcosmo, di mettere in scena una libertà individuale e sessuale che va contro tutto ciò che il padre ha insegnato ai suoi figli e che di base potrebbe essere un’ottima rappresentazione di una qualsiasi società moderna in cui ancora si detta alle donne cosa farne dei loro corpi.
Il mostruoso femminile risiede proprio in questo: nella determinazione dei personaggi femminili di non essere più prede di un sistema che le divora, ma di essere libere e selvagge, contradditorie e spinte all’autodeterminazione. Sentimenti che fanno insorgere paura e sgomento nei personaggi che non hanno tale libertà e che sono, per parafrasare il film Padrona del suo destino, “intolleranti di tanto potere in una donna.”
La fine del romanticismo
La donna, in Yorgos Lanthimos, si fa mostro, dunque, nel rappresentare le paure di una società ancora profondamente patriarcale, in cui il potere nelle donne è visto come una delle minacce maggiori da cui difendersi. Christina aveva il potere all’interno della famiglia di Dogtooth, e allo stesso modo la Anna di Nicole Kidman ne Il sacrificio del cervo sacro finisce con l’essere colei che dà una svolta alla trama. Sebbene il film sia tra i più disturbanti tra quelli realizzati da Lanthimos, il punto focale sembra essere a un primo sguardo lo scontro tra due uomini, spinti dalla vendetta e dalla violenza.
Anna sembra quasi una vittima, una donna costretta a rimanere ai margini. Ma attraverso di lei Lanthimos distrugge un altro tabù della rappresentazione femminile: Anna è una madre che, pur di salvare se stessa, accetta quasi con tranquillità di uccidere uno dei figli. È lei che libera il carnefice, è lei che consiglia che siano o Bob o Kim a morire per salvare la famiglia. Lo spirito materno e di sacrificio con cui le donne venivano equiparate all’angelo del focolare vengono spazzati via da Lanthimos.
Le cose si fanno più interessanti quando è il cosiddetto mostruoso femminile a governare non i nuclei familiari, ma le società. In The Lobster,vediamo sempre le donne in posizione di potere: è donna colei che fa propaganda all’interno dell’hotel in cui si reca David (Colin Farrell), spiegando i benefici di una vita di coppia. Sono le donne a dover accettare un uomo come possibile candidato e sono gli uomini che fingono di essere altro per poter piacere a coloro che detengono il potere. Yorgos Lanthimos, in questo modo, ribalta la prospettiva. Crea un mondo dove la mascolinità viene in qualche modo umiliata, dove ogni uomo ha un difetto: chi la zeppola, chi zoppica, chi non vede bene.
Nella clinica gli uomini non possono masturbarsi e perciò il potere è in mano alle donne, che sono le uniche a potergli dare piacere. Anche quando David scappa, si trova in una sorta di comune dove è una donna che comanda, che asserisce che è proibito innamorarsi. Decade, dunque, anche la lettura romantica del personaggio femminile, che non è alla ricerca del “bacio del vero amore”, ma al contrario lo rifugge. Anche la storia d’amore che si instaura tra il personaggio di Colin Farrell e quello di Rachel Weisz è in realtà dettato poi dalla violenza e dal senso di colpa, al punto che il film si chiude con l’ipotesi che David possa menomarsi autonomamente pur di rispettare i canoni della donna di cui (forse) è innamorato. Ecco di nuovo il mostruoso femminile che fa capolino nella filmografia del regista greco: le donne hanno il potere e gli uomini possono o esserne spaventati o limitarsi ad accettarlo.
Il potere dei personaggi femminili di Yorgos Lanthimos
Con La favorita, Yorgos Lanthimos sembra voler mettere insieme tutto quello che ha costruito nel corso della sua carriera, realizzando un film profondamente perturbante, in cui tre donne sono sopra una giostra che porta al massacro. Da una parte c’è Emma Stone, il personaggio esterno, l‘estranea che arriva a corte per portare il caos e scardinare l’ordine prestabilito. Dall’altra c’è Rachel Weisz, una donna assetata di potere, ma che in qualche modo non ha l’oscurità della sua controparte. Sopra di loro, preda di manovre e bugie, c’è la regina, una straordinaria Olivia Colman che non sa gestire tutto il potere che ha.
Con La favorita Lanthimos dà tre versione del mostruoso femminile. La prima è Olivia Colman, una donna al potere che quasi non può essere riconosciuta come tale, perché incapace di avere figli vivi. Ancora una volta, il regista originario di Atene abbatte la maternità e denuncia come essa sia ancora vista come unico elemento di valore per una donna, per cui se non riesci ad avere figli non vali poi così tanto. Con problemi alle gambe e una debolezza mentale che la rende simile a una bambina, la regina della Colman è una donna che non rispetta nessuna legge dell’uomo, che alleva conigli perché non può crescere figli, che preferisce la compagnia sessuale di una donna a quella di un uomo. È una donna romantica che, in cuor suo, sa di non poter avere il suo lieto fine perchè dove c’è potere non può esserci romanticismo.
C’è poi Sarah, il personaggio di Rachel Weisz. Una donna manipolatrice, libera nelle sue intenzioni come lo è nel suo corpo, sposata a un uomo di cui abbraccia la causa, ma completamente libera nel vivere le proprie decisioni. Sarah è una donna pericolosa perché non solo ha delle ambizioni personali, ma è anche bella e intelligenza, strumenti che lei utilizza senza remore per ottenere quello che vuole. E proprio per questo viene punita, sfregiata, di modo che si possa vedere il suo carattere mostruoso anche a distanza. In questo senso, Sarah è un personaggio molto classico: un mostro che attira lo sguardo per la sua non aderenza a canoni estetici, ancor prima che sociali.
E infine c’è Abigail, il personaggio di Emma Stone, che al contrario di Sarah rappresenta un mostro del tutto novecentesco, che non ha bisogno di menomare la sua bellezza. La sua mostruosità è spirituale e intellettuale ed è rappresentata dalla cattiveria del suo animo, celato dal proverbiale viso d’angelo. Abigail è, in qualche modo, la versione evoluta di Sarah. È anche lei libera nelle sue pratiche sessuali, è anche lei manipolatrice: ma se Sarah aveva ancora qualche sentimento gentile a fermare la sua mano, Abigail è spietata e gratuitamente crudele, come si vede nel sottofinale, in cui il mostro getta la maschera, ma invece di essere cacciato viene invitato a rimanere a corte. Il mostro si è insinuato nella società, è al potere. Ma Abigail è comunque una figura figlia di una determinata società e la sua libertà non è totale, come dimostra il parallelismo che viene fatto tra lei e tutti i conigli che, proprio come lei, sono intrappolati in una bella gabbia dorata.
Quando la creatura di Frankenstein è donna
È con Povere creature! che Yorgos Lanthimos ha raggiunto il suo apice nel raccontare il mostruoso femminile. Il film Leone d’Oro allo scorso festival di Venezia deve tantissimo alla letteratura classica e, in particolar modo, al Frankenstein di Mary Shelley. Abbiamo infatti un inventore – che, non a caso, si chiama Godwin, God Win, Dio Vince – che decide di riportare alla vita una donna suicida. Emma Stone presta il volto a Bella Baxter, un personaggio il cui nome sembra volerlo ricondurre anche verso l’archetipo de La bella e la bestia. Tuttavia, nel film di Lanthimos, Bella è entrambe le cose: è la bella principessa che fa impazzire d’amore chiunque, ed è la bestia che non si cura dei sentimenti altrui, che non accetta di vivere reclusa in un castello, che abbandona chiunque per scoprire se stessa. Bella è un personaggio libero, sincero, selvaggio.
È l’apoteosi del sex positivity, in cui la donna vive il sesso senza bagagli emotivi, senza giudizi, senza aspettative, ma per il solo interesse verso il piacere individuale. Nel suo saggio sul mostruoso femminile, Jude Ellison Sady Doyle parla proprio di questo: sottolinea come gli uomini siano quasi spinti a inseguire il sesso a ogni costo, a essere guidati dal proprio desiderio, mentre le donne hanno due sole opzioni: scappare o cadere vittima di questo gioco di potere. Bella, invece, non scappa. Non si arrende, perché non sa nemmeno che c’è una “guerra” in atto. Lei vive la sua vita in totale armonia coi suoi desideri. È una donna che viaggia, che è assetata di conoscenza, che accetta anche l’oscurità del mondo e che decide da sola cosa essere e chi diventare. E per questo è una donna che fa paura, che spaventa, che diventa l’emblema di tutto quello che la sua società vorrebbe estirpare.
Non più una vittima, non più una preda, non più una moglie o una madre: Bella è il mostro della sua società, il villain nella storia del marito abusivo, l’antagonista di un mascalzone che pensava di poter fare quello che voleva e che invece si trova sconfitto dalla non-curanza della protagonista. Se per sua natura il mostro è una creatura fuori controllo e fuori dall’ordine prestabilito, Bella fa ancora più paura perché è una donna libera, che nessuno riesce o può controllare. E questo sì che fa ancora paura e Yorgos Lanthimos lo sa e lo mostra sul grande schermo.
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