Dove te ne vai quando perdi qualcuno? Il più lontano possibile o ti metti a scavare nei ricordi? Vai oltre o guardi indietro? E come si torna alla normalità dopo che hai vissuto un viaggio straordinario? Sono solo alcune delle domande che attraversano Il ragazzo e l’airone, l’ultima straordinaria ed enigmatica opera firmata Hayao Miyazaki. Dieci anni dopo Si alza il vento, annunciato all’epoca come il suo ultimo film, l’ostinato sensei torna alla regia con quello che sembra davvero il suo grande addio. Un lungo inchino in cui Miyazaki si prepara alla morte celebrando la vita.
Perché Il ragazzo e l’airone è davvero una dolorosa e splendida resa dei conti, raccontata attraverso un film affascinante, criptico, pieno di chiavi di lettura da trovare. Un film che assomiglia a un labirinto in cui è facile perdersi, perché Miyazaki (si sa) preferisce seminare domande invece di regalare risposte. Ed è per questo che in questa nostra teoria sul vero significato de Il ragazzo e l’airone non vogliamo soffermarci sui dettagli della trama, ma abbracciare il senso più intimo di un film personale, sincero e viscerale come non mai. Un film di cui Miyazaki aveva davvero bisogno. E, vista la sua misteriosa bellezza, ne avevamo anche noi
La morte per rinascere
Partiamo da una riflessione fondamentale. La vera protagonista de Il ragazzo e l’airone è una: la morte. La morte è il motore della storia, ma anche una presenza che aleggia sul film per tutto il tempo come minaccia e prospettiva futura, interrogando i personaggi sul senso del loro stare al mondo. Non a caso tutto parte da un lutto. Mahito perde sua madre in un tragico incendio ed è subito catapultato in un altro contesto trasferendosi altrove. È il primo passo verso una nuova vita che esploderà con l’ingresso del ragazzo nella torre abbandonata. Ed è qui, nell’andare avanti e andare oltre che troviamo il messaggio più basilare, semplice e universale del film: la morte dona un nuovo senso alla vita di chi resta. Dalla morte non si torna indietro uguali a prima, perché ogni lutto ti trasforma. La trasformazione fisica e psicologica è sempre stato un tema caro a Miyazaki, che ancora una volta si sofferma sull’inevitabilità del cambiamento.
Come Chihiro de La città incantata e Sophie de Il castello errante di Howl, anche Mahito attraversa la soglia che divide l’ordinario dallo straordinario, gettandosi dentro un’avventura da cui tornerà diverso, con un bagaglio pieno di nuove consapevolezze. Ed è intrigante chiedersi “se Mahito non avesse perso sua madre avrebbe mai affrontato questa avventura?”. Perché è nella solitudine del lutto che il ragazzo viene attirato dall’airone. È solo nel lutto che Mahito si trova a vagabondare in luoghi remoti che altrimenti non avrebbe visto. E in quella torre abbandonata, che tanto assomiglia al tunnel de La città incantata, il nostro protagonista affronterà un viaggio sempre più visionario, straniante e dirompente, in cui imparerà una lezione fondamentale: bisogna sempre andare avanti, anche quando ti trovi faccia a faccia con il ricordo di tua madre. Andare avanti sempre e lasciar andare. Come se solo la morte fosse in grado di dare davvero valore alla vita.
L’eredità è un dilemma
Se questo è il significato più universale del film, ce n’è un altro molto più personale e intimo. Un significato strettamente legato ad Hayao Miyazaki. Proprio come Si alza il vento, anche Il ragazzo e l’airone è un film dove il maestro ha riversato tanto della sua vita. Un film autobiografico quando rievoca la madre morta, il secondo matrimonio di suo padre o l’importanza dei libri nella sua esistenza. E infatti Il ragazzo e l’airone è liberamente ispirato al romanzo How do you live?, letto da Miyazaki proprio subito dopo la morte della mamma. Ma nel film Miyazaki non riabbraccia solo la sua giovinezza, ma prende atto della sua vecchiaia e dell’incombere della morte. Ancora lei. La vera protagonista del film. La fine si avvicina, e con lei un grande dilemma: cosa sto lasciando al mondo? Qual è la mia eredità? Chi verrà dopo di me dovrà seguire il mio esempio o prenderne le distanze? Sono questi dubbi a rendere Il ragazzo e l’airone un film complesso e intricato come un nodo da sciogliere. Dubbi incarnati dal personaggio misterioso del prozio, un magio e demiurgo capace di manipolare la realtà proprio come un animatore-regista, in cui è impossibile non rivedere Miyazaki stesso.
L’uomo è stanco di reggere da solo il destino del suo mondo (un mondo non a caso fantastico), e vorrebbe lasciarlo in eredità al giovane Mahito. Un mondo basato su 13 forme geometriche come 13 potrebbero essere i film diretti dallo stesso Miyazaki, qualora non si fermasse qui (il ragazzo e l’airone è il dodicesimo diretto da lui). E nel finale del film ecco esplodere la grande morale del film. Nel rifiuto di Mahito di accogliere quell’eredità c’è Miyazaki che interroga sé stesso e risolve i suoi patemi. Lui che ha sempre sofferto che suo figlio Goro avesse preso la sua stessa strada, lui che ha sempre vissuto con riluttanza le opere del suo erede, finalmente ha capito che non bisogna vivere nell’ombra dei genitori e nell’eco del passato. La tradizione va rispettata soltanto tradendola col nuovo. Tutto raccontato da un film che sembra davvero un meraviglioso testamento. Perché dentro Il ragazzo e l’airone c’è tutto Hayao Miyazaki. Lui e i suoi conflitti e la sue contraddizioni, sospese tra bellezza e disgrazia, brutalità e dolcezze. Il ragazzo e l’airone è la somma del suo cinema. E se sarà davvero l’ultimo inchino, noi siamo grati di essere qui in piedi ad applaudire davanti a questo spettacolo. Per gli occhi e per il cuore.
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