Siamo dei fantasmi che vengono dal buio e dal buio se ne vanno.
Era il 1986 e Federico Fellini metteva in bocca a Marcello Mastroianni il necrologio dell’immaginario cinematografico e televisivo del Novecento in Ginger e Fred, un film amarissimo in cui due vecchie glorie della tv vengono chiamate a partecipare a un programma nostalgia per un’emittente privata di un certo Cavalier Fulvio Lombardoni.
Il nuovo millennio era sempre più vicino. Anche in Italia il cinema diventava sempre più piccolo e la tv più grande, soprattutto a seguito della creazione, già nel 1979, della prima rete in syndication nazionale per opera di Silvio Berlusconi.
Siamo nel 1984 e, grazie all’intervento di Craxi, i canali Fininvest si salvano dopo il temporaneo oscuramento delle trasmissioni che violavano la legge del monopolio Rai. Gli italiani stavano assistendo al tramonto della televisione per come l’avevano sempre conosciuta e all’inizio di una nuova era in cui il contenitore era molto più importante del contenuto. Almeno, questo è quello di cui ci rendiamo conto oggi, perché tutti – chi più chi meno, abbiamo fagocitato e digerito due decenni di reality show, corpi in bella mostra e battute che invecchiano facilmente.
Negli anni Ottanta era tutto nuovo e sarebbe passato un bel po’ prima che quella tv sarebbe stata definita spazzatura; prima che il trash, volente o nolente, sarebbe diventato pop. E sì, Berlusconi ha decisamente contribuito a plasmare il piccolo schermo per come lo conosciamo oggi.
Donne, glitter e paninari
Quando Berlusconi sceglie di investire nella tv privata il panorama a livello nazionale è stantio. Desolato. La Rai non riusciva a essere al passo coi tempi con format troppo vecchi e i giovani, soprattutto quelli più inclini a seguire le mode del momento, non riescono a riconoscersi in una forma d’intrattenimento che sul piano estetico non risponde ai loro canoni.
Figli del benessere e alla ricerca di leggerezza, i giovani degli anni Ottanta (basti pensare alla subcultura dei paninari) diventano il target prediletto dei nuovi programmi firmati Fininvest in cui si alternavano comicità demenziale, belle donne svestite e uomini in giacca e cravatta illuminati da luci al neon.
Era praticamente impossibile non gridare alla rottura guardando programmi come Drive In (1983) e Colpo Grosso (1987) che inaugurano un genere in cui imperano una comicità invecchiata decisamente male, l’edonismo tipico di quegli anni e un’oggettificazione del corpo femminile che avrebbero generato, tra le altre cose, uno scarto abissale tra la rappresentazione di uomini e donne. Qualcosa che ci portiamo dietro ancora oggi e che risulta difficilissimo da scardinare proprio perché, in quegli anni, è stato normalizzato. Allo stesso tempo potrà sembrare sconvolgente per alcuni, ma la percezione di quei contenitori è cambiata non poco nel corso degli ultimi 30 anni.
Chi negli Ottanta non c’era oggi non esiterebbe a etichettare una qualunque puntata di Drive In come “trash” o “cringe”, ma in realtà in quegli anni il programma di Antonio Ricci fu letteralmente osannato da alcune delle personalità più importanti della cultura. Lo stesso Federico Fellini, che avrebbe poi girato Ginger e Fred (chissà, forse in balia della disillusione) affermò che Drive In fosse “l’unico programma per cui vale la pena di avere la tv”. Addirittura Umberto Eco disse: “Pensa a una trasmissione come Drive In, al suo ritmo, alla quantità di cose che Drive In riesce a far vedere in due minuti e paragona due minuti di Drive In a due minuti della vecchia televisione. Un salto da fantascienza, no?”.
Berlusconi demiurgo del pop
A molti sembrerà fantascienza tutto questo ma ci fa capire la portata dell’operazione culturale effettuata da Fininvest e quanto Silvio Berlusconi, più o meno indirettamente, sia stato una sorta di demiurgo del pop Made In Italy. Con lui la tv diventa autoreferenziale, ricca di contenuti pronti per essere consumati, capaci di cavalcare l’onda del momento e altrettanto capaci di invecchiare rapidamente ma allo stesso tempo pure in grado di diventare parte della memoria collettiva come fenomeno pop generazionale. Anche grazie al successivo avvento di internet.
Basti pensare a Non è la Rai (un nome, un manifesto programmatico) e al fenomeno Ambra Angiolini con T’appartengo, brano che ha avuto anche un ritorno di fiamma in tempi recenti, alle decine di giochi a premi con telefonate in diretta e altrettante gaffe diventate epiche come quella del Cruciverbone di Capodanno o alle sparate di Mike Bongiorno.
Sì perché, nel corso degli anni, Fininvest era riuscita a raccogliere a sé un numero sempre maggiore di autori e conduttori “rubando” alla Rai anche nomi storici come lo stesso Bongiorno, Corrado, per un breve periodo pure Raffaella Carrà e lanciando anche nomi nuovi come le “nemiche amatissime” Heather Parisi e Lorella Cuccarini. Il tutto riuscendo a tenere cachet elevati anche grazie agli introiti provenienti dalla pubblicità. Il bombardamento di spot, perfettamente in linea con il consumismo e l’edonismo di quegli anni, diventa una sorta di cifra stilistica di Fininvest (che nel 1993 era diventata Mediaset) tanto che su YouTube esistono addirittura dei canali nostalgici che raccolgono meticolosamente le pubblicità televisive andate in onda su quei canali tra gli anni Ottanta e Novanta.
Uno dei target preferiti del mitragliamento pubblicitario sono ancora una volta i giovani e giovanissimi. Questi hanno palinsesti dedicati in cui per la prima volta fanno capolino in Italia anime comprati a pacchetto oppure ereditati dalle librerie delle ex reti private che hanno poi costituito Fininvest, con le sigle di Cristina D’Avena. Bim Bum Bam ha segnato l’infanzia di una generazione ma, neanche a dirlo, quasi tutti gli anime sono opportunamente e paradossalmente riadattati e/o censurati nel rigoroso rispetto di un perbenismo di facciata.
Infatti non bisogna neanche cambiare canale perché sulla rete ammiraglia, Canale 5, va in onda a ridosso dell’ora di cena Striscia la notizia. Inaugurato nel 1988, il programma nasce come tg satirico proponendo una ricetta in stile Drive In dove si ride della politica e in cui le notizie in carta velina vengono portate, nelle primissime edizioni, da due ragazze in vesti succinte. Torna l’esposizione del corpo femminile, nascono le Veline, e con esse una sorta di status symbol che perdurerà per tutti gli anni 2000 esaltando un’idea di donna bionda o mora, magrissima.
Col nuovo millennio arrivano, uno dopo l’altro, anche i reality: altra tipologia di programma che l’azienda di Berlusconi porta in Italia contribuendo a plasmare l’immaginario popolare e l’idea di intrattenimento domestico basato sempre più sull’esposizione mediatica del corpo e del pensiero.
Un carosello che continua a girare ancora oggi: Striscia è ancora lì e il Grande Fratello è stato confermato per un’ennesima edizione, a prova che, in un panorama televisivo profondamente mutato, qualcuno è ancora disposto a guardare format di venti o trent’anni che, tuttavia, annaspano per stare al passo coi tempi. In particolare Striscia negli anni ha accolto conduttrici, giornaliste impegnate in inchieste a favore delle donne e il ruolo della Velina è ormai quella di una ballerina, ma ormai tutto sembra molto anacronistico per la sensibilità contemporanea. Questi format appaiono come veri e propri dinosauri mediatici che hanno perso l’appeal rivoluzionario che potevano avere ai tempi trascinando con sé una coda lunga di stereotipi e contenuti che non sembrano fare leva sui giovanissimi.
L’eredità della tv berlusconiana
Infatti le stesse caratteristiche che ne hanno determinato la fortuna stanno accompagnando la tv di Berlusconi e il suo immaginario pop verso una stagnazione. Così come era stato per la Rai, incapace di rinnovarsi, all’inizio degli anni Ottanta. Non è un caso che, al giorno d’oggi, molti giovani trovino molto più interessante guardare altri contenuti, anche perché certi format della tv generalista vengono percepiti in modo diverso rispetto a trent’anni fa.
Chi è nato tra gli anni Novanta e Duemila ha interiorizzato i ricordi d’infanzia con nostalgia ma riesce anche a individuare, che sia per criticarlo o come guilty pleasure, il trash. In questo senso certi format come i reality o l’onnipresenza di una soap opera figlia degli anni Ottanta come Beautiful sono il giusto pretesto per fare una risata scambiandosi meme sui social. Il tutto anche grazie a pagine come Sapore di Male o Trash Italiano che hanno fatto del trash una sorta di valore condiviso, qualcosa che comunque fa ridere tutti anche se non tutti lo ammettono.
Ma dopo i Millennials e i Gen Z che fine farà tutto questo? Sarà interessante scoprire come, sul lungo tempo, saranno visti gli effetti e l’eredità della tv berlusconiana nella cultura pop che a oggi ha toccato tre generazioni portando sul piccolo schermo programmi che ci vergogniamo di aver visto (o magari no) e altri che abbiamo amato (chi non guardava il Festivalbar?), ideali con cui dissentiamo ma anche un tocco di modernità e serie tv amatissime. Non dimentichiamo infatti che, oltre alle soap opera, Berlusconi portò in Italia Twin Peaks e X-Files, la prima introdotta da un ignaro Mike Bongiorno con la celebre affermazione “addirittura superiore a Dallas”.
Di certo erano altri tempi e, comunque, gli anni Ottanta e Novanta sono stati l’apoteosi dell’apparenza praticamente in tutto l’Occidente – pensiamo solo al modello USA e al pensiero reaganiano – e alla luce di ciò Berlusconi ha certamente contribuito nell’essere fautore di un cambiamento mediatico dalla portata enorme per il nostro Paese. Un cambiamento della cultura pop che aveva le fattezze della sua persona, che era riempito dal suo ego, delle sue contraddizioni, ma che riguarda chiunque abbia guardato i suoi canali negli ultimi 40 anni, che sia per contrasto o per approvazione.
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