Lo scorso 17 settembre Squid Game ha debuttato su Netflix e in poco più di due settimane ha catalizzato su di sé l’attenzione di ben 111 milioni di spettatori, diventando così la serie più vista della piattaforma. Un evento del tutto inaspettato, ma che si è rivelato un successo mondiale che ha saputo ammaliare anche gli spettatori del mondo occidentale, poco abituati a prodotti del genere ma sicuramente attratti dall’estetica volutamente pop e che attinge anche ad un patrimonio culturale più vicino al nostro.
Alla base di questo successo vi è infatti una direzione artistica impeccabile, utilizzata per incorniciare quadri di vita reale e temi come la disparità sociale, fin troppo attuali in Sud Corea così come nel resto del mondo. Ma se è vero che la vita imita l’arte più di quanto l’arte non imiti questa pazza vita, nel caso di Squid Game c’è molto di più di una semplice imitazione. La production designer Chae Kyoung-sun, ossia la mente che ha realizzato il mondo surreale in cui si svolge il survival-game, ha volontariamente giocato con riferimenti e citazioni che solo i più attenti appassionati hanno saputo scovare ad una prima visione. Vi raccontiamo le opere d’arte che hanno ispirato Squid Game, ma nel caso voi foste tra le pochissime persone a non aver ancora visto la serie, l’avvertimento spoiler è doveroso.
1. L’urlo, di Edvard Munch (1893)
Citato ed omaggiato ormai ovunque, ritroviamo L’Urlo di Edvard Munch anche nel primo episodio di Squid Game. L’urlo è uno dei simboli dell’arte occidentale, capolavoro espressionista realizzato dall’artista nella Norvegia di fine Ottocento. Icona degli emarginati, di chi passa una vita ad essere discriminato, non ascoltato, ignorato nonostante stia urlando: è questo il destino che hanno in comune Munch e i concorrenti che decidono di prendere parte al gioco del calamaro. Il risultato delle loro vite è un urlo irrefrenabile, come quello della partecipante appena si rende conto di quanto le sta accadendo attorno, improvvisamente colta dalla consapevolezza e dalla paura di non riuscire ad andare avanti.
2. Relatività, di M. C. Escher (1953)
Avete presente quelle infinite scale colorate dove i giocatori si muovono in fila indiana, come formiche, per raggiungere le diverse sale dove si svolgeranno i giochi? Ecco, queste infinite rampe sono volutamente ispirate da un’opera dell’artista olandese M. C. Escher: Relatività. Uomini tutti identici tra di loro, come delle pedine di scacchi, rappresentano il principio cardine del gioco ribadito più volte dallo stesso Front Man, ossia l’uguaglianza. Alcuni salgono le scale, altri le scendono, altri ancora si affacciano al balcone e non partecipano al gioco ma stanno lì a guardare. I loro percorsi sfociano nell’incomunicabilità più totale perché, in un mondo in cui gli uomini svolgono ognuno il proprio compito, per quanto vicini sono destinati a non incontrarsi mai. Una sorte che accomuna i giocatori e le guardie, rinchiusi nello stesso contesto ma costretti a percorsi diversi.
3. La Muralla Roja, di Ricardo Bofill (1973)
Oltre a ricordare l’opera di Escher, l’edificio in cui si svolgono i giochi trae ispirazione nel suo stile architettonico anche dal progetto di Ricardo Bofill, La Muralla Roja, realizzato in Spagna sulla costa Blanca di Calpe. Un edificio post-moderno in cui l’architetto ha creato un labirinto di pareti rosse, in varie tonalità di colore che accentuano il contrasto con il paesaggio. Le scale e le superfici di circolazione sono invece dipinte nei toni del blu che vanno dall’azzurro all’indaco. La particolarità di questo edificio dipende però dalla condizione della luce: in base alle variazioni del giorno si creano soluzioni di contrasto o di continuità con l’ambiente circostante. Questo perché le cose non sono mai sempre uguali, dipende dal contesto, da come le osservi.
4. Il ballo surrealista di Rothschild (1972)
In questo spettacolo ogni gruppo sociale ha la sua estetica: i giocatori sono rappresentati come delle pedine tutte uguali e senza carattere; le guardie sebbene siano identiche tra loro mantengono un aspetto più incisivo richiamando i protagonisti de La Casa di Carta, grazie alle loro tute rosse, le armi e le maschere da loro indossate. I vip, invece, ci ricordano uno dei movimenti d’Avanguardia simboli del Novecento: il Surrealismo. Nel 1972, la baronessa Marie-Hélène de Rothschild e suo marito organizzarono un ballo surrealista, al quale parteciparono personalità del calibro di Salvador Dalí, Audrey Hepburn, il barone Alexis de Redé, Hélène Rochas e la top model Marisa Berenson. Il codice di abbigliamento era semplice: cravatta nera, abiti lunghi e teste surrealiste. Gli ospiti si presentarono con maschere che, elaborate ed eccentriche secondo i dettami del movimento artistico, sono molto simili a quelle presentate in Squid Game.
5. The Dinner Party, di Judy Chicago (1974)
Non si vedono molti tavoli triangolari in giro, quindi tendiamo a ricordarcelo quando ne vediamo uno. Nell’episodio 8 i finalisti sopravvissuti al gioco del ponte di vetro (Seong Gi-hun, Cho Sang-woo e Kang Sae-byeok) vengono premiati con una lussuosa cena servita ad un tavolo triangolare, dedicando un lato a ciascun giocatore. Simbolo della serie insieme al quadrato e al cerchio, in questo caso il triangolo della tavola richiama volontariamente l’opera dell’artista e femminista americana Judy Chicago, The Dinner Party, per la quale prepara un tavolo con 39 coperti per 39 donne simbolo di forza ed emancipazione. Tra gli ospiti illustri vi sono Sacajawea, Soujourner Truth, Eleonora d’Aquitania, l’imperatrice Teodora di Bisanzio e Virginia Woolf. Curioso come a non superare il banchetto, in un certo senso, sia stata proprio l’unica donna concorrente.
6. L’impero delle luci, di René Magritte (1949)
Non c’è da stupirsi se in questo clima così surreale il Front Man stesso sia appassionato di surrealismo. Si tratta di uno dei personaggi più misteriosi, di cui scopriamo l’identità solo nell’ottavo episodio, ma che quando Hwang Jun-ho sta cercando il fratello scomparso ci porta con sé ad ispezionare la sua stanza. Se quella è davvero la stanza del Front Man, allora deve essere un amante dell’arte come noi. La telecamera fa una panoramica sulla sua scrivania dove ci sono alcuni libri d’arte scritti in coreano e inglese, tra questi spiccano dei testi di Van Gogh, Picasso, ma soprattutto di Magritte. Oltre al libro, di quest’ultimo ha una cartolina de L’impero delle luci attaccata alla parete. Un cielo diurno e una casa che sprofonda tra le ombre della notte, la cui oscurità è interrotta da alcuni spiragli di luce: quelli del lampione e delle finestre. Simbolo di una vita che continua ad andare avanti sempre e comunque, tra luci ed ombre. Metafora forse dello stesso Front Man, che nonostante l’oscurità apparente nasconde degli spiragli di luce? Lo scopriremo forse nella seconda stagione della serie.