È ormai una garanzia il sodalizio artistico fra il regista Riccardo Milani e l’attore Antonio Albanese, alla quarta collaborazione dopo Papà o mamma? (2017) e il dittico di Come un gatto in tangenziale (2017 e 2021). Questa volta senza Paola Cortellesi, ma nuovamente, dopo la commedia sulla condivisione dei figli, alle prese con il remake di una pellicola francese (per l’esattezza Un anno con Godot di Emmanuel Courcol, uscito nel 2020 e a sua volta liberamente basato su fatti reali avvenuti in Svezia). Il terzo, per Milani, che nel 2022 ha anche firmato Corro da te con Pierfrancesco Favino e Miriam Leone. Un filone che gli porta fortuna? Proviamo a rispondere nella nostra recensione di Grazie ragazzi.
Grazie ragazzi
Genere: Commedia
Durata: 117 minuti
Uscita: 12 gennaio 2023 (Cinema)
Cast: Antonio Albanese, Sonia Bergamasco, Fabrizio Bentivoglio, Vinicio Marchioni
La trama: la lunga attesa
Antonio Cerami è un attore squattrinato, ridotto talmente male che è costretto a doppiare film porno, campando con turni in cui se ne esce con gemiti ed orgasmi. Il suo amico Michele, che invece ha una fortunata attività teatrale, gli propone un progetto finanziato dal governo: un laboratorio teatrale in carcere. Dopo un primo approccio non veramente di successo, Antonio riesce a legare con alcuni detenuti che prendono sul serio il corso, e convince la direttrice del carcere a espandere il tutto, con alcuni mesi di prove per arrivare alla rappresentazione finale: Aspettando Godot di Samuel Beckett. Un testo che Antonio ha scelto per motivi pratici (sono previsti quattro attori, lo stesso numero di partecipanti al corso), filosofici (in quanto detenuti, i quattro protagonisti sono abituati a una routine quotidiana fatta di lunghe attese) e personali (è il primo spettacolo in cui ha recitato in vita sua, al fianco di Michele). Ma riusciranno ad arrivare alla sera della prima senza incidenti?
Il cast: il gruppo di Antonio
Antonio è, ovviamente, Antonio Albanese, qui in veste un po’ “malincomica”, mentre Fabrizio Bentivoglio gigioneggia amabilmente nel ruolo di Michele, attore di successo e un pochino egocentrico. La direttrice del carcere è Sonia Bergamasco, che per Milani è già stata l’ex-moglie di Albanese nei due Come un gatto in tangenziale. I quattro detenuti che finiscono nello spettacolo hanno le fattezze di Vinicio Marchioni, Giacomo Ferrara, Andrea Lattanzi e Giorgio Montanini. Ettore, la guardia, è Nicola Rignanese, amico di vecchia data di Albanese, con cui ha recitato, tra le altre cose, nella trilogia dedicata a Cetto Laqualunque. Bogdan Iordachioiu, ex-giocatore di hockey che è fuggito dalla Romania di Ceausescu durante una trasferta professionale in Italia, esordisce come attore nei panni di Radu, detenuto che si occupa delle pulizie e aiuta Antonio con gli aspetti tecnici della rappresentazione.
La prigione dell’anima
Presentando il film a Milano, il regista ha detto di essersi interessato al progetto per il suo fattore umano, e ciò risulta evidente in una drammaturgia che, pur puntando sul ridere, fin dalla prima scena (uno dei doppiaggi di Antonio), non perde mai di vista la verità che si cela sotto le risate. Difatti, proprio l’incipit è forse la parte più debole, per quanto spassosa, dal momento che mette in scena qualcosa di desueto (e lo stesso Albanese, partecipando alla medesima presentazione, ci ha scherzato su dicendo che avrebbe preferito recitare in tedesco per quei momenti), abbastanza lontano dalla realtà che altrimenti caratterizza il resto del film, in bilico tra grasse risate e amara verità quotidiana di chi è stato trascurato dalla società. È, da quel punto di vista, il più maturo dei lungometraggi scaturiti dal sodalizio fra Milani e Albanese, con una sincerità che accantona la caricatura.
L’arte dell’attore
Allo spaccato di società si aggiunge una riflessione non banale sul mestiere dell’attore, con i momenti di teatro che, paradossalmente, sono tra i più efficaci del film, senza mai però soffocare la componente cinematografica che gioca con gli spazi per isolare il palcoscenico e sottolineare, tramite un uso accorto di Beckett che funziona meglio qui rispetto al prototipo francese, le componenti talvolta assurde che vanno a formare una performance a tutto tondo. E se è davvero notevole il lavoro degli attori che, nei panni dei detenuti, riescono a spogliarsi dell’aura professionale per restituire l’essere umano per la prima volta a contatto con il fascino del teatro, alla fine il vero trionfo (citando il titolo originale del film transalpino) è di Albanese, che lascia cadere ogni maschera e si mette emotivamente a nudo con una delle sue interpretazioni più struggenti, trasformando l’attesa in grande catarsi.
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La recensione in breve
Riccardo Milani ritrova Antonio Albanese per una riflessione sulla solitudine, l'attesa e il mestiere dell'attore, adattando bene per il contesto italiano la storia vera già trasposta in ambito francese.
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Voto ScreenWorld