Il ragazzo di campagna con Renato Pozzetto è un film divenuto un cult e trasmesso a ripetizione negli anni in televisione. Grazie a questo lavoro è nato uno dei tormentoni più amati dall’attore milanese classe 1940, quel taac da lui usato qui per la prima volta e poi portato all’interno di diversi film, anche successivi.
Nel film lo vediamo utilizzare questa espressione mentre apparecchia la tavola nel suo mini-monolocale preso in affitto quando decide di lasciare la campagna per la città. Diverso tempo fa nel programma A ruota libera di Rai 2 Pozzetto decise di spiegare come nacque questa espressione: “Taac l’ho imparato da un nostro amico che frequentava il Derby, il locale dove ci esibivamo, e lo usava nel suo modo di fare”. Un’espressione dunque riportata nei suoi film un po’ per caso.
Aggiunge Renato Pozzetto su Il Corriere della Sera: “Era simpatico perché raccontava delle cose stupide e quando lo faceva metteva un dito in gola e diceva taac, oppure ti pestava un piede e diceva taac. Allora l’ho copiato e l’ho portato in casa e al cinema, come nel Ragazzo di Campagna. L’autore si chiamava Mario Valeria e non posso che ringraziarlo”.
L’utilità dell’espressione poi è spiegata così dall’interprete: “Posizioni il taac in fondo alle frasi, perché in quel momento sei felice e infelice. Felice perché hai tante cose, infelice perché le cose che non avevi prima ti mettevano a disagio e in quel momento vorresti tornare indietro alla tua semplicità”.