I libri sono fatti per essere letti. Le serie Tv sono fatte per essere guardate.
Potremmo chiudere già qui tutto il discorso perché, analizzando la frase, essa ci dice già tutto. Non si usano verbi differenti a caso. Leggere è un tipo di attività estremamente attiva, guardare – dal canto suo – passiva. In questo assunto si trova il fulcro di tutta la faccenda: tutti dobbiamo scegliere, in determinati momenti della vita o semplicemente della giornata, se essere attivi o passivi. I libri e le serie Tv non fanno eccezione, occupano momenti diversi della nostra vita per forza di cose (se leggo non guardo, se guardo non leggo) eppure c’è, in entrambe le azioni una minima parte dell’altra.
Questione di linguaggio (e linguaggi)
Se leggo immagino, mi figuro (il “nel pensier mi fingo” leopardiano se vogliamo) e dunque guardo la mia creazione immaginativa derivata dal leggere. Se invece guardo ecco che leggo, perché situazioni, dialoghi e ambiente mi parlano in un linguaggio che va oltre la semplice visione (ecco perché si possono “leggere” le immagini). Questo è, se vogliamo, il Dao dell’immaginazione. Ma perché questo preambolo?
I libri, nella nostra epoca, si sono prestati varie volte e in vario modo agli adattamenti cinematografici (fra cui racchiudiamo anche la serialità, ovviamente) con premesse e risultati diversi. Accade allora che ci si creino sempre degli schieramenti più o meno accaniti nella difesa del proprio pensiero e delle proprie idee. Tre sono gli esempi “principi” di questa operazione: Il Trono di Spade (tratto dai libri George R. R. Martin), Il Signore degli Anelli e Gli Anelli del Potere (tratto dalle opere di John R. R. Tolkien) e The Witcher (tratto dalle opere di Andrzej Sapkowski). Tre opere profondamente diverse scaturite da libri profondamente diversi. Inutile star qui a fare l’elenco delle differenziazioni tra high-fantasy e il resto, non se ne uscirebbe. Ciò che è importante capire è quali destini sono toccati a queste opere letterarie.
Tre casi studio
Tutti e tre i nostri esempi hanno messo sullo schermo adattamenti che in qualche maniera divergevano comunque da quello che era scaturito dalle penne dei creatori originali. Questo accade perché le opere visive, fruite passivamente, hanno bisogno di un ritmo differente e perciò la narrazione appare per forza di cose storpiata, come se fosse vista attraverso una lente che ora ingrandisce, ora rimpicciolisce e ora non ci fa vedere chiaramente.
Eppure, l’atto stesso di modificare qualcosa che ci piace innesca immediatamente un meccanismo di difesa della nostra passione e della nostra percezione di un prodotto. È già successo con Star Wars ed è di poche settimane fa la notizia clamorosa dell’abbandono di Henry Cavill alla serie Netflix basata sullo strigo Geralt di Rivia. Alcuni dicono, infatti, che proprio la divergenza tra la serie e i libri siano stati la causa del divorzio, anche se Cavill stesso non ha dato indicazioni in tal senso. Questo però non ha fermato le elucubrazioni mentali degli appassionati e dal cielo sono piovuti i “ve l’avevo detto”, preventivamente.
Da questo si evince che il pubblico, o una buona fetta di esso, non voglia dei contenuti originali, degli show che mostrino una storia differente da quella descritta nei libri; e questo nonostante le differenze, in alcuni casi, siano davvero risibili, come nel caso de Gli Anelli del Potere.
Sarà poi forse un caso se le serie fantasy non basate su libri divenuti ormai dei “classici” proposte sulle maggiori piattaforme di streaming non riscuotono un grande successo? Lì fuori è pieno di serie cancellate, una su tutte: Lettera al Re. Vuole forse dire che non vogliamo niente di nuovo ma la ripetizione e la reiterazione di ciò che già conosciamo? Forse. D’altronde scriviamo ancora film che sono dei semplicissimi riadattamenti delle tragedie greche, quindi perché stupirsi? Al di là però dell’amore per qualcosa che vorremmo conservare intatto e perfetto per sempre c’è anche il rischio di rattrappire la propria mente, non riuscendo più a concepire più nulla di nuovo e di diverso rispetto a quello che vorremmo o che ci aspetteremmo di vedere.
Il caso Sapkowski
Come vedremo anche nel caso successivo, parliamo di un adattamento che ha visto la partecipazione più o meno attiva dell’autore. Sapkowski ha infatti non solo collaborato come consulente alla realizzazione della serie targata Netflix ma ha anche richiesto espressamente di essere informato circa tutti i cambiamenti apportati per esigenze di messa in scena. Ne consegue che Cavill possa avere tutte le opinioni che vuole sulla storia e sulla serie, ma se queste sono avallate dal creatore stesso di quell’universo… forse non sarebbe il caso di urlare allo scandalo.
Prima di tutto perché non è chiaro il motivo che ha spinto l’attore britannico a lasciare la serie e in secondo luogo perché Andrzej Sapkowski è un tipo “spigoloso“, capace di fare la guerra a chi storpia la propria creatura. Per un esempio concreto basti pensare alla causa intentata (e finita in pareggio) alla software house CD Projekt RED che ha creato i videogiochi ambientati nel mondo di Geralt di Rivia. Lo studio polacco ha infatti ottenuto il permesso di usare quei personaggi e quell’universo fantastico ma ha anche ricevuto il divieto assoluto di raccontare la vera storia inventata da Sapkowski.
Ne consegue che in questo caso gli amanti dei libri possano dormire sonni tranquilli: tutto è come Sapkowski vuole.
Il caso Martin
Nel caso di Martin e delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco la questione è leggermente diversa. Martin stesso ha infatti collaborato alla messa in scena della sua creatura, quindi lamentare differenze è abbastanza futile. Forse non ci si è semplicemente voluti chiedere se lo scrittore statunitense avesse semplicemente accettato l’idea di raccontare una storia leggermente diversa da quella scritta nelle sue pagine. Viviamo costantemente nella polemica. L’ultima stagione de Il Trono di Spade aveva visto i lettori scagliarsi contro gli showrunner per vari cambiamenti, anche se, di fatto, la serie aveva preso un’altra strada già da un bel po’.
Nei libri ci sono personaggi che non compaiono nella serie e in quest’ultima ci sono personaggi che non compaiono nei libri, ma è davvero un problema così insormontabile? Anche in questo caso parliamo di un’attenta supervisione da parte dello scrittore, autore e proprietario (è bene ricordarlo) della sua creatura. Differenze su luoghi e contesti sono perfettamente normali ma c’è una differenza importante tra i libri e la serie: il finale. Forse è proprio questo che è divenuto “imperdonabile” per gli amanti di questa saga fantasy. La differenza principale è che, nei libri, Jon Snow non è affatto Aegon Targaryen e anzi, Aegon Targaryen, creduto morto, sbarca improvvisamente a Westeros, pronto a spargere fuoco e sangue…
Ancora una volta però le chiacchiere stanno a zero, come si suol dire, perché tutto è come Martin vuole.
Il caso Tolkien
L’altra grande polemica ha riguardato Gli Anelli del Potere e il fatto che lo show di Amazon aveva condensato gli avvenimenti descritti da Tolkien come dipanatisi in migliaia di anni. Partendo dal presupposto che questa serie non è riuscita ad acquistare i diritti de Il Silmarillion ma solo delle Appendici de Il Signore degli Anelli, appare davvero come un controsenso urlare alla differenza ogni volta che questa appare su schermo. Sì, Galadriel non viene mai indicata come una guerriera assetata di vendetta ma resta comunque un fatto plausibile se si è letto Il Silmarillion. Dopotutto la sua stirpe viene quasi completamente eradicata dalla Terra di Mezzo (e prima ancora dal Beleriand), quindi avrebbe perfettamente senso vederla lanciare fiamme dagli occhi. A proposito: se per caso doveste vedere, nella serie, elfi con gli occhi pieni di luce durante la loro furia non scandalizzatevi: lo ha scritto Tolkien stesso…
È poi abbastanza palese che le cose andranno come devono andare nella serie e che alcuni avvenimento accadranno per forza di cose così come descritti da Tolkien. Che importa quindi la strada che viene presa per arrivare dal punto A al punto B? Il risultato è lo stesso. 4+4 fa 8, ma lo fa anche 5+3, tanto per dire.
Forse questo è però il caso più spinoso. Non tanto per le famose “differenze” quanto invece perché sono davvero pochi gli spettatori che parlano a ragion veduta dell’operazione di adattamento fatta per Gli Anelli del Potere. I dati ci dicono che solo il 15% degli italiani è un lettore assiduo mentre il 40% legge un libro l’anno (dati Istat) Gli altri? Non pervenuti. Sarebbe quindi davvero interessante vedere, e lo diciamo con mal celato intento polemico, quanti di quelli che si sbracciano per l’adattamento di questa serie, abbiano davvero letto Il Silmarillion, Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli (dall’inizio alla fine, Appendici comprese).
Aver visto i film di Peter Jackson vale fino a un certo punto.
Il mondo sta cambiando…
Insomma: perché non vogliamo vedere storie alternative su schermo? Perché vogliamo a tutti i costi la fedeltà delle serie tv (e dei film) ai libri? Forse dovremmo accettare che le storie che tanto amiamo rimarranno per sempre su fogli di carta stampata. Non li toccherà nessuno, fissati per sempre nel tempo e nello spazio. Frodo porterà sempre l’anello a Mordor passando anche per la casa di Tom Bombadil. La khaleesi Daenerys giungerà sempre a Occidente gettando scompiglio a Westeros. Geralt amerà sempre una sola donna e proteggerà Cirilla sempre alla stessa maniera. Nessuno può cambiare quelle storie perché nessuno può cambiare quei libri, ma le serie Tv potranno sempre essere rifatte, modificate, allungate. Lo abbiamo visto già tante volte.
Accettiamo (finalmente) storie alternative su schermo e apriamo i libri per ritrovare il sapore genuino. Dobbiamo accettare il fatto che non siamo i proprietari di quelle storie e che chiunque le abbia lette possa averle immaginate diverse da noi, e soprattutto che gli autori (quando ancora vivi) possano disporne come meglio credono. A ognuno il suo “personal Jesus” insomma.
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