Abbiamo l’impressione che negli ultimi dieci anni il True Crime abbia saputo trasformarsi da prodotto di nicchia a vero e proprio genere trasversale, cinematografico e seriale. D’impressione si parla perché, curiosamente, l’interesse destato dai diversi casi di crimini realmente accaduti non è materia recente: pamphlet, fogli e chapbooks tutti incentrati su storie di assassinii e frodi in forma seriale risalgono addirittura al sedicesimo secolo e hanno proliferato nei due secoli successivi, in Europa come negli Stati Uniti e in Asia. Negli anni ’20, poi, arriva True Detective, e negli anni ’60 In Cold Blood di Truman Capote. Oggi c’è molto altro. L’essere umano, forse, è per sua natura attratto dal male e dai cattivi: cos’altro potrebbe spiegare, altrimenti, la longevità di questa categoria non-fiction di narrativa, oggi più feconda che mai?
True Crime: dai podcast alle serie
L’aumento di popolarità del True Crime è un flusso continuato, mai interrotto, che ha saputo trasmigrare da un medium all’altro cambiando di forma di pari passo con i mezzi di comunicazione. Lo spiega Tanya Horeck, autrice di Justice on Demand: True Crime in Digital Age. Secondo Horeck il successo del True Crime nell’era digitale sarebbe da ricercarsi nella natura stessa del genere, fondato sulla registrazione e sulla collezione d’informazioni come lo è l’esperienza dei motori di ricerca e dei social, spesso utilizzati per la loro capacità di permetterci di “scoprire cose su qualcuno”. In particolare è grazie all’exploit dei podcast che il True Crime ha trovato la sua forma digitale ideale, a metà fra la serie di finzione – per la sua natura di racconto – e la radio, per diffondersi in maniera capillare anche fra gli ascoltatori che alle playlist su YouTube preferiscono l’opportunità di ascoltare di questi episodi nelle piccole pause e nei lunghi tragitti di lavoro.
Le piattaforme e le miniserie documentario
Un discorso su questo genere, oggi, non potrebbe esaurirsi con un’analisi del fenomeno del podcast, perché dovrebbe necessariamente coinvolgere anche una riflessione sul mercato cinematografico e, nel dettaglio, sulle piattaforme di streaming. Solo su Netflix è presente un’intera sezione dedicata ai documentari, specialmente in forma di miniserie, che raccontano di efferati crimini, seriali e non, di sangue e non. Impossibile non ricordare Tiger King, apprezzata fra pubblico e critica, che narrava le vicende del criminale operatore di zoo Joe Exotic; difficile non menzionare The Night Stalker o Making a Murderer, con cui per la prima volta in assoluto Netflix ha deciso di pubblicare il primo episodio contemporaneamente anche su YouTube, suggellando nuovamente l’obliquità del true crime fra le piattaforme. Chi volesse arricchire la propria cultura in fatto di crimini violenti troverebbe pane per i suoi denti, tra storie di stalker e storie di falsi colpevoli (è il caso della bellissima The Confession Killer).
Conversazioni con Bundy e Dahmer
Dai documentari, era inevitabile, si è passati ai film e alle serie televisive. Ted Bundy – Fascino criminale (Extremely Wicked, Shockingly Evil and Vile il titolo originale), in cui spicca l’interpretazione di uno Zac Efron inedito e in grande spolvero, adatta un libro in cui la storica fidanzata dell’omicida – qui interpretata da Lily Collins – racconta il suo punto di vista. L’uscita del film viene affiancata da Conversazioni con un Killer: il caso Bundy, minidoc di Joe Berlinger che attinge a oltre 100 ore di registrazioni di interviste fatte al killer.
Una volta appurata la buona riuscita di quest’operazione la piattaforma ha le idee chiare sulla linea editoriale da prendere. Ed ecco che nel 2022 esce Dahmer, successo planetario di Ryan Murphy e rinforzato da ben due conversazioni (una con Dahmer e l’altra con John W. Gacy, che fa capolino nell’ultimo episodio della serie). L’unico prodotto che è riuscito a spodestare Dahmer nella classifica dei prodotti più cliccati e visti è stato The Watcher, altra serie true crime di Ryan Murphy. Se nel secondo caso Murphy esplora con una lente paranoide-polanskiana l’incubo di una famiglia vessata dai vicini di casa nella piccola e pacifica Westfield, in Dahmer l’approccio è misto: si racconta la psicologia di un mostro in divenire, ma al contempo si muove una critica sociale al sistema di istituzioni che hanno reso possibile il dilagarsi del suo agire.
Fascino criminale?
Secondo un esperimento condotto da due ricercatori della Nothwestern University, le persone tendono a prediligere ritratti di cattivi perché offrono la possibilità di indagare sui propri lati malvagi senza che questi siano attuati nella loro vita reale, e quindi senza che la loro immagine riflessa esteriormente ne risenta in alcun modo. Questo spiegherebbe a livello più profondo la fascinazione proibita, suggerita dal titolo italiano di Ted Bundy, su cui film e serie tv hanno a lungo fatto leva per conquistare l’attenzione di grandi masse di spettatori. Con gli antieroi divenuti mitici, come il Walter White/Heisenberg di Breaking Bad o il Jimmy/Saul del suo spin-off prequel, il discorso si fa ancora più essenziale. Empatizzare con il cattivo diviene facile, in questo caso, perché i protagonisti non sono cattivi ad litteram, quanto più non-buoni che sradicano il dualismo stesso di bene-male, di certo scomodo e castrante per qualsiasi approccio analitico nei confronti del fenomeno dell’immedesimazione. Lo spiega Roy Baumeister nel seminale “Evil: Inside Human Violence and Cruelty”: il Male propriamente detto non esiste, ma possiamo parlare di atti crudeli – compiuti da persone che non si reputano malvagie – in presenza di fattori quali il desiderio di ricchezza, idealismo o la ricerca di un piacere sadico.
Una questione etica
Diviene dunque possibile spiegarsi l’unanimità di plausi ricevuti da Dahmer, che specula sull’attrattiva esercitata dalle figure mostruose realmente esistite ma lo fa impiegando diversi punti di vista, compreso quello delle vittime. Questo perché non è possibile concepire un’opera True Crime, dalle radici conficcate in storie di carnefici, morti e dolore reali, senza prima affrontare la questione da un punto di vista etico e morale. Il True Crime è il terreno in cui l’inchiesta e l’approccio documentaristico incontrano la finzione e il romanzamento: l’antieroe viene rimaneggiato amplificando al massimo la distanza fra lo spettatore e il personaggio, sollecitando il compatimento umano per i danni provocati da un contesto ambientale difettoso ma negando qualsiasi sentimento di empatia nei confronti del carnefice.
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