Vedere la luce dove qualcun altro vede il buio. Per farlo, si tratta solo di trovare un ricordo felice e nascondersi lì, nella luce. È con queste parole che iniziamo la recensione del finale di Stranger Things 4, cioè del volume 2 della quarta stagione della serie, che comprende gli episodi 8 e 9 ed è disponibile dal 1° luglio in streaming su Netflix. Sono ancora una volta le parole della Max di Sadie Sink, anche qui grande protagonista come lo è stata in tutta la stagione. È il suo piano – il centro di un piano molto complicato – per sconfiggere finalmente Vecna e salvare Hawkins, e forse tutto il mondo. Ma in quelle parole non c’è solo una via per sconfiggere il terribile villain di questa stagione. C’è, come vedremo, tutto il senso di Stranger Things. Che, con questa stagione 4, si conferma una delle migliori serie realizzate negli ultimi 10 anni, e un vero e proprio simbolo per Netflix. Il finale di stagione è magniloquente, ambizioso, adulto, commovente e doloroso. Per fare un paragone, anche azzardato, possiamo dire che è l’Avengers: Infinity War delle serie tv. Per la sua durata, per il suo tono apocalittico che, da premesse più leggere, si staglia man mano che la serie prosegue, per il carattere collettivo dell’opera. E per due grandi cliffhanger che chiudono la stagione e ci preparano inequivocabilmente per la stagione 5. D’altra parte, ce lo avevano detto: ogni fine ha un inizio. E ci sarà ancora da salire. “Be running up that road, be running up that hill, be running up that building”.
Durata: 2 episodi/85 minuti e 150 minuti
Uscita: 01 luglio 2022 (Netflix)
Cast: Millie Bobby Brown, Finn Wolfhard, Winona Ryder, David Harbour
La trama: dove eravamo rimasti
Ci eravamo lasciati con un episodio 7 riuscito e sconvolgente, che era stata una vera e propria origin story, quella di Vecna, il villain di questa stagione 4. Ripartiamo da qui. Nancy (Natalia Dyer) è rimasta intrappolata nel Sottosopra e Vecna le fa vedere il futuro di Hwkins, un futuro fatto di distruzione. Insieme ai suoi compagni di avventura, Dustin (Gaten Matarazzo), Lucas (Caleb McLaughlin), Max (Sadie Sink). Steve (Joe Keery), Robin (Maya Hawke) ed Eddie (Joseph Quinn) decide di mettere a punto un piano e di sfidare Vecna. Joyce Byers (Winona Ryder) e Hopper (David Harbour), si sono appena ritrovati, in Russia. Ma devono compiere ancora uno sforzo per aiutare i loro ragazzi, anche se sono lontani. Undici (Millie Bobby Brown) è ancora nel laboratorio, e deve fare definitivamente i conti con Papà (Matthew Modine), prima di salvare i suoi amici e sfidare Vecna. È l’unica che ne ha i poteri, e lei lo sa. Nel frattempo, Mike (Finn Wolfhard), Will (Noah Schnapp) e Jonathan (Charlie Heaton), insieme ad Argyle (Eduardo Franco) sono in viaggio nel deserto, alla ricerca di un misterioso luogo dal nome in codice Nina. Tutte queste linee narrative sono destinate a incrociarsi e incontrarsi solo alla fine. E in un modo che è meno scontato del previsto.
Love Makes The World Go Round
Si tratta di salvare Hawkins, si tratta di salvare il mondo. È questa la missione di Undici e dei suoi amici. Ma per farlo, per essere così uniti e telepatici anche a distanza di chilometri c’è solo una cosa che serve. È l’amore. Non vi stupite, in fondo non dimentichiamo che siamo in un film degli anni Ottanta. Dove funzionavano le cose semplici. E così è l’amore – e tutto quello che comporta – a connotare il Volume 2 di Stranger Things 4 mentre ci avviciniamo allo scontro finale. Mike è pieno di dubbi su quanto sia importante per Undici, e crede di essere solo “un nerd che ha avuto la fortuna di incontrare Superman”, e ci fa venire in mente tutte le volte che, in amore, non ci siamo sentiti all’altezza di chi avevamo accanto. Lucas, mentre Max parla dei suoi ricordi più belli, quelli in cui si è sentita felice, teme di non farne parte. Steve, sempre più un personaggio da amare, confessa a Nancy i suoi sogni: una famiglia numerosa, con sei figli, e un camper per portarla in giro per l’America. E lei, sembra guardarlo intenerita e affascinata. E ci ha fatto venire in mente quando stavamo con una persona, e magari pensavamo ad un’altra. E poi ci sono loro, Joyce e Hopper, che a cinquant’anni hanno l’occasione di rifarsi una vita, che sono fatti l’uno per l’altro, e che aspettano ancora quel primo appuntamento, a un ristorante italiano tra lasagne, grissini e Chianti.
Non è più un gioco
Siamo allo scontro finale, dunque, come recitava il sottotitolo di un famoso film degli anni Ottanta. O, almeno, al primo degli scontri finali. Le cose si fanno serie, c’è un senso di minaccia e di morte che aleggia su tutto il finale. Non è più un gioco, insomma, per i nostri ragazzi, e sembra finito il tempo di giocare, anche se loro sognano ancora una vita dove essere così ricchi da giocare tutto il giorno a Dungeons And Dragons e a Nintendo. È cambiato il tono di Stranger Things, che dai film Amblin si sposta sempre di più verso i Nightmare e le atmosfere di Stephen King, ma con un immaginario visivo comunque originale e in fondo non troppo derivativo, almeno per la parte horror. Non è più un gioco, ma I Duffer Brothers continuano a giocare con le citazioni, tra Rambo e il Mike Myers di Halloween, con madeleine proustiane anni Ottanta come la pizza all’ananas e l’heavy metal di quegli anni. Si gioca con la musica, con Master Of Puppets dei Metallica, ed Every Breath You Take dei Police, fino a Spellbound di Siouxsie And The Banshees. E poi, ovviamente, c’è lei, Kate Bush, con Running Up That Hill, vero e proprio tema di questa quarta stagione.
La grande bellezza di Undici
La stagione 4 di Stranger Things è quella in cui si chiudono delle porte e se ne aprono altre, anzi, per essere coerenti con la storia, si aprono dei portali. È la stagione in cui dire addio a un “genitore” per crescere, e ritrovarne un altro. È il momento in cui confessare i propri fantasmi, i brutti, terribili pensieri di cui non andare fieri. È il riscattarsi, il dimostrarsi eroe quando tutti ti credevano il cattivo. È il ritrovarsi ad essere il leader, il condottiero, il cuore, quando pensavi di non aver alcun potere e di non servire a nulla. Alla fine si torna sempre lì, all’amore. È stata la stagione delle ragazze, della problematica Max e dell’eroica Undici, uno dei personaggi più belli creati dalla serialità contemporanea, un personaggio che parla di rabbia, come ha fatto notare Marina Pierri nel suo libro Eroine, una rabbia femminile che si trasforma in superpotere e in cambiamento.
Cosa resterà degli anni Ottanta?
E allora torniamo alla luce, e ai nostri ricordi. Torniamo agli anni Ottanta. Quegli anni forse non erano così, non erano come Stranger Things o Bang Bang Baby, non erano così colorati, così neon, così carichi di tutto. Ma è così che li ricordiamo perché è così che sono stati fissati da un certo cinema, fantasioso e sfrenato, libero e incantato, che è nato in quegli anni e ne ha colto lo spirito, quello di un’ultima età dell’innocenza. Erano anni liberi, che lasciavano spazio all’immaginazione. E l’immaginazione di tanti artisti ha permesso di creare questo immaginario, ed è così che oggi sono arrivati a noi. Oggi gli anni Ottanta li vediamo attraverso i ricordi, e i ricordi sono anche i film, le canzoni, la tivù. E allora ha ragione Max: trovatevi un ricordo felice, e nascondetevi lì, nella luce.
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La recensione in breve
Stranger Things si conferma una delle migliori serie realizzate negli ultimi 10 anni. Il finale della stagione 4 è magniloquente, ambizioso, adulto, commovente e doloroso. Possiamo dire che è l’Avengers: Infinity War delle serie tv.