Tanto tempo fa
Erano queste le parole che introducevano le storie di Star Wars.
Una coordinata temporale, che trasportava subito lo spettatore in un universo appartenente al mito, alle fiabe, alle storie tramandate oralmente. Quelle storie che, sebbene ambientate in un tempo indefinito del passato, sembravano provenire dal futuro e riuscivano – perché no – a parlare del presente.
Quelle tre parole azzurre non le vediamo sullo schermo dal 2019, quando L’ascesa di Skywalker ha chiuso, nel bene o nel male, un’epoca. Perché Star Wars, poi, è passato principalmente dal grande al piccolo schermo, costituendo un paradosso legato al franchise. E come spade laser perse e nascoste nelle sabbie di Tatooine, quelle parole non sono più servite alla saga. Sono state date per scontate, superflue. Forse a ragione.
Perché Star Wars ha dimostrato di non saper andare oltre quel “tanto tempo fa”, tempo mitologico delle storie che vuole raccontare, ma anche passato di un brand che appare sempre più insormontabile. La miniserie Obi-Wan Kenobi si è conclusa con un sesto episodio che ha confermato i problemi di una saga che rischia di autofagocitarsi, adagiandosi ormai da troppo tempo sulla nostalgia e sull’incapacità di osare. Ma quasi inaspettatamente il finale della serie ha, per la prima volta, anche ripreso alcuni discorsi, già presenti nella saga cinematografica e poi accantonati, che lasciano lo spettatore con un dubbio: quale sarà il futuro della saga di Star Wars?
Il significato del finale di Obi-Wan Kenobi
Alla fine che cosa ha raccontato Obi-Wan Kenobi in sei episodi? Qual è il vero significato della serie? Obi-Wan Kenobi è, in definitiva, una serie sul passato, sugli errori commessi e i sensi di colpa difficili da superare. Il “rematch del secolo” (così hanno pubblicizzato il nuovo scontro tra Obi-Wan e il suo vecchio discepolo Anakin, ora diventato Darth Vader) è stato prima di tutto un duello di identità, più che fisico. Il vecchio cavaliere Jedi, chiuso alla Forza, disilluso e sconfitto contro l’allievo, il fratello, l’amico, che lui stesso ha creato (“Sono ciò che mi hai fatto diventare” dirà Vader a un incredulo Obi-Wan). Uno scontro di fallimenti che ha generato mostri.
Nel sesto episodio, il duello tra Obi-Wan e Vader, ambientato in un pianeta spoglio e desolante, in controtendenza rispetto al primo maestoso duello apparso nel film La vendetta dei Sith, rappresenta perfettamente la situazione dei personaggi e della saga: dopo fiamme e incendi non rimane altro che una terra bruciata. Bruciano i corpi (Anakin in Episodio III, Obi-Wan nell’episodio 3 della miniserie), bruciano gli ideali, bruciano le vecchie identità (Obi-Wan si cambierà d’abito a fine episodio; Vader dovrà ricostruirsi il casco e sarà l’ultima volta che sentiremo la sua vera voce alternata a quella meccanica).
Ciò che rimane sono le cicatrici del passato, ancora dolorose. Entrambi i due protagonisti sembrano volersi dare la possibilità di rimarginarle, senza successo.
Se non riesci a superare il tuo passato…
Guardando il finale di Obi-Wan si ha l’impressione di star assistendo a una metafora sullo stesso brand di Star Wars. Anche la saga stessa, dopo un ritorno esaltante nel 2015 non è riuscita a mettere tutti gli spettatori d’accordo, perdendo in poco meno di cinque anni, gran parte della sua eccezionalità rispetto ad altri franchise. Se i Marvel Studios sono la nuova saga sci-fi che appassiona grandi e piccini, Star Wars è diventata una saga per vecchi, incapace di stimolare allo stesso modo un pubblico trasversale. Sia chiaro, non parliamo del successo meritato di The Mandalorian (quasi un mezzo miracolo vista l’accoglienza dei successivi titoli targati Lucasfilm dal 2017 in poi), ma di una linea editoriale controversa e piena di punti oscuri.
Star Wars, spaventata dalle reazioni dei fan, ha dovuto fare i conti con una veloce restaurazione tematica e narrativa dopo le critiche rivolte a Rian Johnson e al suo Gli Ultimi Jedi che aveva tentato una nuova strada per la saga. Invece, L’ascesa di Skywalker, cercando di andare incontro alla tradizione, è riuscita nel mirabile intento di scontentare un po’ tutti. Con l’esclusione del nostro amato Mando, che risulta un’eccezione sia per avere come protagonisti personaggi nuovi, sia per essere stata la prima serie live action di Star Wars (quindi con l’etichetta di novità ben stampata in bella vista), nessun altro prodotto partorito da Disney+ è riuscito a rispolverare quell’amore perduto per la saga in maniera netta e decisa. The Book of Boba Fett è stata ampiamente criticata per la messa in scena, Star Wars: Visions non sembra aver lasciato un segno profondo (come invece aveva fatto una serie d’animazione sperimentale come Love, Death & Robots su Netflix), The Bad Batch sembra essere stata seguita solo da una manciata di fan hardcore del brand. Infine, Obi-Wan Kenobi non ha ricevuto da parte del pubblico l’accoglienza prevista con critiche piovute – anche esagerate, va detto – settimana dopo settimana.
La creatura di George Lucas sembra come Obi-Wan e Vader, incapace di andare oltre il suo passato, bruciata e scottata da alcune scelte compiute in precedenza e che ora deve lottare per riemergere. Ed è a questo punto che la visione del sesto episodio di Obi-Wan Kenobi diventa interessante.
Tutto ciò che serve
Perché i semi del discorso intavolato dalla serie diretta da Deborah Chow li avevamo già avuti, pochi anni fa. Erano proprio ne Gli Ultimi Jedi di Rian Johnson: il bisogno di guardare oltre i vecchi libri, mai letti, di un canone ormai invecchiato; considerare la storia dei Maestri (fallimenti compresi) come terreno su cui far germogliare le novità; rompere quelle tradizioni che a distanza di quasi cinquant’anni dalla nascita della saga appaiono ormai una gabbia, più che un marchio. In definitiva, si impiega troppo tempo a domandarsi cosa sia Star Wars senza chiedersi cosa potrebbe essere.
La sensazione è che Obi-Wan Kenobi sia stata una serie che, nella sua forma a volte molto imperfetta, abbia giocato ancora una volta su un terreno scivoloso, a metà strada tra il rispetto della tradizione e la voglia di sperimentare. Certo, tornare ancora una volta su un periodo temporale ormai troppo spremuto, con personaggi ormai abusati e dinamiche sin troppo famigliari sembra essere controproducente. Manca ancora Star Wars: Andor all’appello, una serie in uscita tra qualche mese (annunciata però anni fa), ma la sensazione dominante mentre scorrono i titoli di coda di Obi-Wan Kenobi è quella di aver assistito alla fine di una Fase Uno, iniziata nel lontano 2015. Tutte le spade laser nascoste sotto la sabbia sono state riesumate. Ora, però, è tempo di fare pace col passato e puntare gli occhi al futuro. L’ultima battuta de Gli Ultimi Jedi, pronunciata da Leia/Carrie Fisher, recitava: “Abbiamo tutto ciò che serve“. Ed è così.
Forse quella scritta azzurra in apertura non deve più diventare una formula scontata. “Tanto tempo fa” dev’essere l’inizio di una nuova storia, non una coordinata che influenza i contenuti. Lo sguardo sul passato dev’essere sostituito da un occhio verso il futuro: solo così Star Wars può smettere di essere la saga di quei vecchi spettatori che ormai stanno dimostrando la stanchezza di un eterno ritorno ambito e voluto.
Come dice una vecchia conoscenza, alla fine della miniserie, abbiamo molta strada da fare.
Iniziamo a percorrerla.
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