Una notte di bestiale follia. Una notte in mezzo a una giungla urbana in cui non c’è un attimo di respiro per provare a respirare. Questo è Una notte da rider, il bellissimo fumetto d’esordio di Arlen (pseudonimo di Arianna Lentini), pubblicato qualche settimana fa da Bao Publishing (lo abbiamo recensito qui). Un’opera prima piena di personalità e spunti di riflessione su un mestiere (quello del fattorino) che negli ultimi anni è diventato sempre più centrale e sempre più bistrattato.
I motivi li conosciamo tutti. Ma cosa ha spinto un’ex rider come Arlen a raccontare la sua esperienza dentro un fumetto dal gusto underground? Ne abbiamo parlato direttamente con lei. Ecco cosa ci ha raccontato.

Da esperienza personale a fumetto
Il tuo fumetto è ispirato alla tua esperienza diretta da rider. Qual è stata l’esperienza vissuta in prima persona che ti ha fatto pensare: “Questa cosa la devo raccontare in una storia”
“Non credo sia stato un episodio specifico a farmi decidere di scrivere la storia, ma è capitato spesso che io avessi degli aneddoti da raccontare dopo il lavoro, a volte buffi e altre volte molto fastidiosi. Penso che inconsciamente questa serie di avvenimenti mi abbiano portato a immaginare un protagonista rider e quella che era la prima idea per la storia, nella quale ho poi inserito proprio alcuni di questi aneddoti. Allo stesso tempo una delle spinte principali per realizzare questa storia, è stato proprio il bisogno di raccontare la condizione lavorativa, che non ho vissuto solo io, ma anche molti dei miei coetanei, un lavoro precario e la mancanza di tutele e diritti necessari.”

La scelta di un protagonista umano che si muove in un mondo di animali antropomorfo quando è arrivata nel tuo processo creativo? E con quale criterio hai associato certi personaggi a certi animali?
“È arrivata molto presto, nell’idea iniziale che ho avuto, il protagonista era un ragazzino che lavorava in un mondo retropunk molto sgangherato, e consegnava a dei clienti dalle sembianze mostruose, ma disegnati con uno stile caricaturale e ironico. Poco dopo i clienti mostruosi sono diventati animali antropomorfi e il ragazzino è diventato un ventenne ed è stato molto meglio così, non solo perché volevo parlare di una generazione più vicina alla mia, ma anche perché in questo modo ho potuto utilizzare gli animali come maschera, in modo bizzarro e simbolico insieme. Per la scelta degli animali da utilizzare, infatti, ho usato due metodi diversi, a volte ho scelto in base a cosa mi ricordavano i tratti fisici di quella persona (perché come nel caso dei clienti, a volte mi sono ispirata a persone reali) altre volte ho scelto in base ai significati che si associano all’animale in questione. A volte ho usato entrambi i metodi contemporaneamente”
Una vita da pixel
La struttura del fumetto assomiglia molto a quella di un videogioco con una quest da portare a termine. Quanto ti hanno influenzato i videogame nella tua vita da fumettista?
“L’obiettivo era proprio fare in modo che la storia ricordasse al lettore un videogioco, perché questa è la passione del protagonista. È un po’ come se i videogiochi inseguissero Malakia anche nella vita vera, come un sogno che hai abbandonato, ma che continua a tormentarti. Inoltre la struttura da videogioco riesce a rendere più avvincente tutti i mestieri umili che ho inserito nella storia”

“Per quanto riguarda me, invece, devo ammettere che non sono mai stata una grande videogiocatrice, anzi, nonostante sia un mondo affascinante, devo dire che sono molto ignorante in merito. Tutta l’ispirazione è arrivata principalmente dai videogiochi che giocavo da ragazzina, platform per lo più. La scelta di dare al protagonista una passione lontana dalla mia, tuttavia, non è casuale. Volevo allontanare da me e dalla mia storia personale, il personaggio di Malakia, volevo che questa storia, pur avendo degli elementi di autofiction fosse indipendente dalla mia persona. Allo stesso tempo ho dato a Malakia una passione creativa, cosa nella quale posso rispecchiarmi anche io.”
Rider & Comics
Da quello che hai visto finora il mondo del fumetto è spietato e agguerrito come quello dei rider o è stato più accogliente?
“Dato che ho lavorato come rider per un unico ristorante, non l’ho vissuto come un ambiente competitivo, a differenza del mondo di illustratori e fumettisti, che è necessariamente più gremito. Nonostante questo, ho trovato, per adesso, un ambiente molto accogliente, pieno di persone molto gentili e disponibili. Questo non è un lavoro facile, sarebbe bello se i fumettisti si sostenessero a vicenda in un clima di solidarietà.”
Domanda di vita extra fumetto: dopo aver lavorato come rider, ordini mai da mangiare sulle app di delivery?
“Non ordino praticamente mai cibo da asporto e nelle rare occasioni in cui questo accade, mi preoccupo di dare una mancia al rider e scendere io al portone invece di farlo salire, mi raccomando fatelo anche voi, eh!”