A quasi un anno dalla sua presentazione al Festival di Cannes, Bird di Andrea Arnold (qui la nostra recensione) arriva finalmente nelle sale italiane. Un progetto libero, cangiante e per certi versi nuovo rispetto alla filmografia travolgente della cineasta britannica, che negli anni ha saputo emergere con una personalissima poetica del sentire ai margini della società. Un mix di elementi e stilemi che dà voce all’esigenza sociale tipica dell’autorialità inglese, ma che ha saputo evolversi in una maturità ancor più intima – e forse persino più poetica.

Lo sguardo della Arnold riflette sul vivere moderno e ne riflette i contorni sempre più sfumati. Nelle opere della regista, astro fulgido nel firmamento indipendente, emergono ardore e sensibilità, dolore e bellezza: contrasti tra esistenze dissolte, solitudini moderne che si incrociano tra gioventù spezzate e realtà smarrite. Pochi artisti al mondo possiedono uno stile tanto riconoscibile, figlio di un’indipendenza assoluta e mai smorzata: la Arnold è l’unica a saper tradurre in immagini quei flebili sussurri d’esistenza di chi cerca il proprio posto nel mondo e rischia di smarrirsi nell’eterno fluire di un tempo che non perdona.

Bird si inserisce, torbido e sprezzante, all’interno di questa corrente. Lo fa guardando sempre più ai margini, raccontando la formazione giovanile con un’inaspettata impronta fantastica, quasi romantica. Forse incespica nella sua costante ascesa, ma riesce a diventare una vera fiaba suburbana, di quelle che si avvinghiano alla mente per colpire dritto al cuore. Un’operazione spregiudicata che ride in faccia alla perfezione.

Sul mondo di oggi

“Per combattere tempi bui come questi, l’ottimismo è un obbligo.” – Andrea Arnold

Perdersi è un atto di ribellione

La gioventù in Bird - ©Lucky Red
La gioventù in Bird – ©Lucky Red

Dalle periferie sconfinate di American Honey, il ritorno al sud-est britannico ha un sapore di mistero e scoperta. Il cinema della Arnold nasce nelle terre di nessuno, abbracciando quei nessuno che tentano di far proprio un mondo fatiscente che ha saputo soltanto rigettarli. Lo spirito della pellicola mescola scelte azzardate e dolori profondi – e qui, per la prima volta, viene elevato al punto da prender corpo e forma: Bird diventa un personaggio a tutti gli effetti, l’incarnazione di un’opposizione che brama libertà. Il coming of age si trasforma in un coming to senses in cui è lo sguardo giovanile a dominare la scena (tanto quello di giovani costretti a diventare grandi, quanto quello di adulti troppo fragili per rassegnarsi al tempo che sfugge).

Il film della Arnold si fa così icona di un cinema universale, alieno eppure incredibilmente vicino a prospettive reali. Nella ribellione del suo personaggio chiave, Bird coglie gli stimoli di tanti sognatori infranti, dipingendo una surreale rivolta silente. A metà tra il sentire di Xavier Dolan e l’etereo di Alice Rohrwacher, la regista ha il coraggio di mostrare un’adolescenza matura, dall’enorme carica simbolica e dall’identità chiarissima. Un’allegoria che abbraccia l’esistenza più pura ai confini del mondo.

Liberi di vagare

La protagonista di Bird
La protagonista di Bird – ©Lucky Red

In un susseguirsi di inseguimenti camera a mano, i toni tenui e sporchi dell’immagine si imprimono sui personaggi e rilasciano una scia che permette anche a chi osserva di vagare, perdendosi in un piccolo angolo fatto di esperienze autentiche. Le scelte del cast, in questo senso, rispecchiano alla perfezione il dualismo delle coscienze, in costante bilico tra il dolore e l’incanto. In Bird c’è poco spazio per l’ingenuità, eppure la meraviglia viene protetta gelosamente, lasciando che prenda il sopravvento in modo dirompente e poetico. L’ottimismo sovrasta l’orrore suburbano, portando la luce nell’abisso mentre la giovane protagonista di Bird si spinge al largo, inseguendo la libertà senza paura di sprofondare.

Il cinema di Andrea Arnold cambia con il tempo che viene. Le lotte di ieri diventano le fughe di oggi – e chissà cosa saranno domani. Quella meraviglia, una chimera dalle molte forme, trova proprio nel cambiamento il senso della sua speranza – sia come metafora di transizione giovanile, sia come simbolo assoluto dell’arte che evolve. Un concetto che soltanto l’autrice sa tradurre nel vagare dei giovani con tanta efficacia. Così la periferia più alienante si fa teatro dei sogni più vividi, tenuta a galla dallo sguardo di chi lotta, occhi al cielo, nella speranza di prendere il volo.

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Classe '94. Critico e copywriter di professione, creator per passione. Ha scritto e collaborato per diverse realtà di settore (FilmPost.it, Everyeye) con la speranza di raccontare il Cinema e la cultura pop per il resto della sua vita.