Sei parole. Tanto è bastato a Kaitlan Collins per smontare un intero sfogo del presidente Donald Trump su Truth Social. La giornalista CNN, 33 anni, chief White House correspondent e volto noto del programma The Source, è finita nel mirino dell’ennesimo attacco del presidente contro le reporter donne. Ma questa volta la risposta è arrivata secca, chirurgica, senza fronzoli. Sabato 6 dicembre, Trump ha pubblicato un lungo post sul suo social network in cui definiva Collins “stupida e cattiva“, utilizzando termini che ormai sono diventati un marchio di fabbrica nei suoi confronti con la stampa femminile. Ma c’è un dettaglio che rende la vicenda ancora più grottesca: il presidente ha sbagliato a scrivere il nome della giornalista. Un errore ortografico in piena invettiva, come firmare una lettera d’accusa con la penna scarica.
Il fulcro dell’attacco presidenziale ruotava attorno alla controversa ristrutturazione della sala da ballo della Casa Bianca, un progetto multimilionario che ha fatto discutere per i costi lievitati da 200 a 300 milioni di dollari e per le questioni legate alla tutela storica dell’edificio. Trump, nel suo post, sosteneva che Collins lo avesse interrogato proprio su questo tema, vantandosi che i lavori procedono “sotto budget e in anticipo sui tempi“, come sempre accadrebbe con i suoi progetti. Ed è qui che arriva il contrattacco della giornalista. Poche ore dopo, Collins ha ricondiviso lo sfogo di Trump sulle sue Instagram Stories aggiungendo una semplice precisazione: “Tecnicamente, la mia domanda riguardava il Venezuela“. Sei parole che cambiano completamente la narrazione.
Ma cosa aveva chiesto davvero Collins? I filmati diffusi da FOX 5 Washington raccontano una storia diversa da quella dipinta dal presidente. Venerdì 5 dicembre, durante la cerimonia di lancio dei Mondiali di calcio 2026 a Washington, dove Trump riceveva un inedito premio per la pace dalla FIFA, la giornalista aveva posto una questione di politica estera tutt’altro che banale. “Signor Presidente, cosa direbbe a chi sostiene che questo premio potrebbe entrare in conflitto con la sua promessa di colpire il Venezuela?” aveva chiesto Collins, riferendosi alle crescenti tensioni tra Stati Uniti e governo di Nicolás Maduro, con tanto di bombardamenti di imbarcazioni sospettate di traffico di droga al largo delle coste venezuelane e minacce di escalation da parte dell’amministrazione Trump.
La risposta del presidente era stata la solita retorica: “Ho fermato otto guerre e ce n’è una nona in arrivo, cosa che nessuno ha mai fatto prima“. Aveva poi aggiunto di voler “salvare vite” e di aver “salvato milioni e milioni di vite“, prima di lanciarsi in un elogio dell’America come “il paese più caldo del mondo” dopo essere stato “un paese morto” un anno fa. Nessun accenno alla sala da ballo, quindi. Eppure nel suo post su Truth Social, Trump ha costruito un’intera narrazione attorno a una domanda che Collins non gli aveva mai fatto in quella circostanza. La giornalista ha semplicemente riportato i fatti, lasciando che fosse la realtà documentata dalle telecamere a parlare.
L’episodio con Collins non è isolato. Si inserisce in un pattern sempre più evidente di attacchi presidenziali contro le giornaliste donne che coprono la Casa Bianca. A fine novembre, durante il giorno del Ringraziamento, Trump aveva definito Nancy Cordes di CBS News “una persona stupida“. Il giorno prima aveva chiamato Katie Rogers del New York Times “brutta, sia dentro che fuori“. Due settimane prima ancora, aveva puntato il dito contro Catherine Lucey di Bloomberg urlando “Zitta, zitta, porcellina“.
All’epoca, Collins era intervenuta in difesa della collega Lucey su X, scrivendo che “fa un ottimo lavoro“. Una solidarietà tra professioniste che affrontano quotidianamente un ambiente ostile, dove fare domande scomode diventa pretesto per insulti pubblici e attacchi personali. La ristrutturazione della sala da ballo, quella che Trump voleva mettere al centro della discussione, resta comunque un tema controverso. L’East Wing della Casa Bianca è stato demolito a ottobre per far spazio al progetto, che secondo il presidente sarà “molto più grande e bello di quanto originariamente pianificato“. I costi sono stati finanziati da donatori privati, incluso lo stesso Trump, ma diversi parlamentari hanno sollevato dubbi sulla supervisione dei lavori e sulla protezione del patrimonio storico.



