È la più amata e la più odiata. La più seguita e la più ignorata. La più emulata e la più denigrata. Chiara Ferragni è tutto questo e molto di più. Nonostante alcune persone amino pensare il contrario incastonandola all’interno di un cliché limitato, dove vige il dominio del biondo e della griffe a tutti i costi. In effetti, se c’è un particolare che è emerso chiaramente dalla sua doppia partecipazione al Festival di Sanremo, è proprio quanto i detrattori la sottovalutino, mentre alcuni sostenitori, in qualche modo, sottostimino i passi fatti per raggiungere, mantenere e far crescere un successo che va ben oltre il fare shooting fotografici, o prestarsi a manifesto pubblicitario vivente.
Ma andiamo con ordine e iniziamo con il dire che, per comprendere l’effetto scatenato dalla Ferragni sul mondo esterno è fondamentale usare come strumento di analisi un contesto a lei familiare come i social. Un angolo d’osservazione dal quale lei non si dissocia assolutamente, accogliendo il positivo e il negativo con la consapevolezza di chi conosce alla perfezione le insidie dello strumento.
Chiara secondo il mondo
Questo vuol dire, dunque, che la Ferragni non sarà certo rimasta stupita nel leggere il numero imprecisato di commenti scritti dal momento stesso in cui è apparsa sulla scalinata del teatro Ariston con il primo abito Dior e la stola manifesto “Pensati Libera”. Con grande probabilità avrà anche previsto il numero di meme che ne sarebbero derivati e tutte le polemiche che sarebbero state sollevate figlie dello sdegno di chi non la ritiene degna di parlare, figurarsi avere un’opinione.
Allo stesso, tempo, poi, avrà anche messo in conto i commenti sprezzanti riguardo la sua posizione privilegiata e la condizione economica favorevole di chi la vede come una sorta di minaccia consumistica. Per non parlare della così detta intellighènzia che, stringendosi con determinazione alle pseudo sicurezze cultural intellettuali, giudica la superficialità della forma senza porsi il minimo problema di andare effettivamente a capire cosa si muove al di fuori del suo ristretto raggio d’osservazione.
A tutti loro, poi, si aggiunge anche la visione, parziale e sicuramente deviata, di chi la segue credendo che sia l’esempio di un successo raggiunto senza impegno o nessun tipo di acume cui è possibile ambire con il minimo sforzo. Tutti loro, indistintamente, anche se su posizioni nettamente diverse, sono uniti da una visione realmente superficiale del così detto “fenomeno Ferragni” intorno al quale, nonostante tutto, in molti si affannano.
In realtà, però, si parte proprio da un assioma sbagliato, ossia la definizione stessa di fenomeno. La fenomenologia, infatti, prevede il presentarsi di un evento improvviso ma destinato a non durare a lungo. Un effetto che, una volta trovata la causa, svanisce con la stessa velocità con cui è arrivato.
Una definizione che, evidentemente, non può essere certo applicata ad un successo che dura ormai da dieci anni. Se non di più.
In pochi, infatti, considerano che il suo percorso professionale sia iniziato nel non più vicino 2009. Insieme al fidanzato dell’epoca Riccardo Pozzoli, specializzato in marketing in America, intuiscono che negli Stati Uniti qualche cosa sta cambiando a livello di comunicazione ben prima dello scoppio virale dei social. Un’intuizione che li convince a tentare questa carta anche in Italia applicandola alla moda, la materia che Chiara padroneggia. Da quel momento la crescita è stata esponenziale. La Ferragni, infatti, ha contribuito ha creare una nuova figura professionale, strettamente collegata al linguaggio social per poi diventare altro.
Cosa, chiederanno alcuni? Imprenditrice, ovviamente. Perché questa giovane donna, che per molti sembra abitare l’universo di Barbie, riesce a muovere un numero imprecisato di cifre a molti zeri con attività commerciali legate al suo brand. Questo vuol dire, dunque, che il percorso tracciato dalla Ferragni è tutt’altro che casuale e, soprattutto, è figlio di uno studio a monte ben preciso in cui il marketing si unisce alla comunicazione e alla capacità d’identificare un cambiamento ancor prima che si verifichi. In sostanza, non si arriva sulle copertine di Forbes dal nulla solo per aver creato un fashion blog con qualche foto carina. Serve molto di più. Quell’esatto di più con cui Chiara ha studiato e programmato anche la sua avventura sanremese. E chiunque creda il contrario è un ingenuo o uno stolto.
Chiara e il linguaggio social
Rimanendo strettamente collegati agli eventi della sua partecipazione a Sanremo possiamo dire, senza ombra di dubbio, che le reazioni più evidenti siano nate a fronte del suo monologo. Per comprendere gli effetti di quel momento, dunque, partiamo da alcuni punti fermi. Uno di questi e, forse, il più evidente è che la Ferragni non sia una scrittrice. Nel senso che non ha un talento descrittivo e letterario. Indubbiamente è priva dell’incisività di un’Oriana Fallaci, di una poetica sognante come quella di Isabelle Allende o di quel senso del reale che si traduce in un ritratto storico e sociale in perfetto stile Ferrante.
Talenti, però, che non necessariamente deve avere. Sul palco dell’Ariston, infatti, lei ha portato se stessa. Esattamente come tutte le altre protagoniste. Questo vuol dire traslare in un intervento più ampio il linguaggio sintetico, semplice, anche elementare se vogliamo, dei social. E non dovrebbe certo creare stupore o indignazione, visto che per una buona comunicazione non si deve mai perdere di vista il pubblico di riferimento e il luogo dove si “pubblica”. Due elementi che la Ferragni ha tenuto in perfetta considerazione durante la preparazione del suo monologo.
Per comprendere partiamo proprio dall’elemento più importante, ossia il target cui si rivolge. Nonostante lei abbia raggiunto la trentina, la compagine più numerosa di follower è composta da ragazze giovani. Le stesse che hanno ripreso a seguire il festival grazie all’ondata di cantanti che rappresentano meglio i gusti e le aspettative di quella che viene chiamata la generazione Z. Una nuova tendenza che trova conferma anche negli artisti che hanno composto la cinquina dei finalisti.
Ed è a loro che si è rivolta quando ha parlato di fragilità personale, inadeguatezza, paternalismo e difficoltà ad accettare il proprio corpo. Concetti che, per un pubblico più adulto, sono risultati stantii e scontati grazie ad una consapevolezza maggiore raggiunta a colpi d’esperienza. Questo, però, non può essere visto come un limite del monologo dato che la Ferragni non ha mai avuto intenzione di rivolgersi a loro. Il messaggio, invece, è arrivato perfettamente a chi di dovere che, oltretutto, ha dato il via ad un dialogo piuttosto serrato.
Quello che le generazioni passate non tengono in conto, poi, è la capacità dei social di azzerare le distanze sociali. Il che vuol dire che è molto più semplice creare delle comunità basate su una condivisione specifica. Ma altrettanto vale per quanto riguarda il rapporto con un personaggio noto. In questo senso, dunque, la Ferragni è riuscita ad aprire un varco grazie ad una comunicazione molto semplice e diretta. Qui ha assunto il ruolo di “sorella maggiore”, “miglior amica” a cui spesso le così dette “bimbeminkia”, come sono state definite le sue fan dai detrattori, le rivolgono questioni personali che esulano dalla moda o dall’acquisto dell’ultima collaborazione con Tiffany.
Al centro di molte discussioni, invece, c’è il concetto di autodeterminazione, indipendenza psicologica, padronanza del proprio tempo e del percorso che si vuole intraprendere per tratteggiare l’immagine di una donna che sia capace di decidere andando oltre le strutture sociali ed i concetti prestabiliti di bello e perfetto. Una realtà effettiva e ben radicata di cui certo la Ferragni non è responsabile e che, piuttosto, dovrebbe porre una domanda ben più pressante: perché le ragazze hanno bisogno di confrontarsi e parlare con un’estranea? Quanto profondo è la solitudine con cui sono ormai abituate a definire la loro quotidianità?
Da The Blonde Salade alla concettualizzazione della moda
Come abbiamo già specificato, tutto è iniziato con un blog, The Blonde Salade, ma non si è fermato li. Ed è proprio quello che ha fatto della Ferragni una professionista del settore e non una meteora. Ossia il comprendere come l’ambito della comunicazione social sia una materia in evoluzione e quanto sia necessario attrezzarsi per far fronte a questo. Il che vuol dire circondarsi di un team in grado di condurla esattamente nella direzione giusta. Perché essere un buon imprenditore o un capo efficiente non prevede l’onniscienza quanto, piuttosto, la capacità di costruire la giusta squadra.
In questo modo, dunque, è riuscita ad esprimersi, sempre nell’ambito della moda, in modi diversi fino ad arrivare ad una concettualizzazione della materia stessa. Una visione che non è rivoluzionaria ma non giustifica nemmeno l’indignazione di molti. Chiunque si sia stupito o sentito offeso dagli abiti manifesto indossati durante la 73esima edizione del Festival di Sanremo, parte innanzitutto da una considerazione errata della moda stessa. Spesso interpretata come qualche cosa di effimero e assolutamente vuoto, in realtà ha un contenuto ben più importante. Gli abiti, infatti, hanno sempre avuto il potere di raccontare la storia sociale, le evoluzioni ed i cambiamenti culturali. Spesso anticipandoli.
In quest’ottica, dunque la Ferragni ha deciso di affidare alle creazioni di Dior e Schiaparelli il compito di una narrazione femminile ben precisa. Perché è sempre bene ricordare che si tratta di una comunicatrice. Un racconto, dunque, che ha tratteggiato l’immagine di una donna del presente e del futuro che si ottiene anche attraverso la normalizzazione del corpo femminile, liberato dalle interpretazioni settoriali siano esse sessuali, genetiche o morali.
Peccato che questo da alcuni sia stato recepito quasi come un’offesa dai tratti superficiali e scontati. Reazioni che hanno rivelato, sempre nell’ambito di una comunicazione social, una realtà fortemente settoriale che decide a colpi di ISEE chi ha diritto ad avere determinate opinioni e, soprattutto, ad esprimerle. In questo modo, dunque, si è fatta strada, con voce piuttosto alta, la visione di chi rivendica l’esclusiva alle difficoltà quotidiane ed economiche. Unici due elementi che garantiscono il diritto di parola e, soprattutto, la veridicità delle proprie intenzioni.
Ovviamente tutto questo non vuol dire che Chiara Ferragni sia la persona deputata a cambiare le cose. Piuttosto ci dovrebbe essere un concorso d’intenti ben più ampio e convinto da parte del mondo della cultura. Soprattutto nel mettersi finalmente in contatto con le fasce più giovani. Nonostante questo, però, è riuscita a sfruttare la forza dei suoi followers e la visibilità offerta dal festival per portare sul palco dell’Ariston le rappresentanti dell’associazione Dire, all’interno della quale si riuniscono diversi centri antiviolenza per sostenere le donne. Una realtà che, da oggi, anche le ragazze più giovani stanno imparando a conoscere. E questo non sembra poi così negativo.