Togliamoci subito il dente, perché tanto sappiamo che gran parte delle polemiche e delle discussioni riguardanti questo The Last of Us Parte II Remastered verteranno su questo: no, non c’era alcun bisogno di fare una remastered di un videogioco di nemmeno 4 anni fa. Soprattutto perché il videogioco di Naughty Dog già nel giugno del 2020, con l’arrivo su PS4, rappresentava un’eccellenza sotto ogni aspetto.
Ma d’altronde, ne avevamo già parlato in passato, non serviva davvero nemmeno il remake del primo capitolo. Eppure siamo grati che ci sia stato, perché – ovviamente anche e soprattutto per merito dell’ottima serie TV HBO – tante persone in più si sono potute accostare e godere quella che, in breve tempo, è diventata una delle saghe videoludiche più belle e significative dell’ultimo decennio. E, grazie alla versione PS5, sono riuscite a farlo nel modo migliore possibile. Esattamente come possono fare per questa Parte II Remastered, che rappresenta il modo migliore per avvicinarsi da zero ad un gioco che era già perfetto alla sua uscita.
Il senso tecnico della remastered
Fatta questa doverosa premessa, però, va detto che se per il primo The Last of Us c’era la scusante di un videogioco molto più vecchio (2013) e basato su un “motore” superato, non si può dire lo stesso della parte II. Qualcuno potrebbe obiettare sottolineando come, all’uscita del titolo in questione, la Playstation 5 non fosse ancora uscita e con lei non avesse ancora visto la luce la proverbiale next – ora current – gen. Ma Naughty Dog, esattamente come con Parte I, aveva spremuto talmente tanto il potenziale degli hardware a disposizione dal rendere The Last Of Us Parte II una meraviglia tecnica. In parole povere The Last of Us Parte II era più next gen di tutti i giochi next gen usciti negli anni seguenti fino ad arrivare a oggi.
Infatti sin da un primo sguardo e nonostante il nome, quella che abbiamo davanti non è un’effettiva remastered. Non c’è un vero lavoro di restauro e questo perché, come detto, non ve ne era bisogno. O quantomento lo sforzo che avrebbe richiesto un lavoro di quel tipo non avrebbe portato a miglioramenti sensibili, proprio a causa della bontà di quanto fatto in origine. Il termine remastered è stato utilizzato perché più riconoscibile dal pubblico, un’etichetta a cui la massa di giocatori nel tempo si è abituata. Marketing in sostanza, non dissimile dal caso di Death Stranding e della sua “Director’s Cut”.
Le aggiunte in The Last of Us parte II Remastered
E quindi, sì, questa volta le critiche ad un’operazione commerciale quantomeno discutibile sono forse più condivisibili. Soprattutto perché di sicuro più che prevedibili da parte di Naughty Dog, tanto che la software house californiana ha giustamente previsto alcune inaspettate novità: un costo di upgrade di soli 10 euro per chi possiede già il gioco originale, una nuova modalità e contenuti inediti, per chi non si accontenta semplicemente di rigiocare la storia. Sulla prima non c’è molto da dire. Si tratta di un trattamento sicuramente onesto da parte della software house.
Magari non virtuoso quanto quello offerto da Santa Monica col supporto post lancio di God Of War Ragnarök ma nulla di cui potersi lamentare, in particolare se consideriamo le perdite che Naughty Dog ha dovuto affrontare in seguito allo sviluppo del progetto – recentemente cancellato – di un game as a service legato a The Last of Us. Riguardo alla modalità aggiuntiva e in generale ai contenuti inediti il discorso cambia. Partiamo da Senza Ritorno, la modalità roguelike che accompagna l’uscita di questa remastered e su cui si è incentrata gran parte della campagna comunicativa. Si tratta – e dispiace dirlo – di un piccolo passo falso.
Il gameplay di The Last of Us Parte II è splendido ma totalmente funzionale, nel suo ritmo trascinato e faticoso, alla componente narrativa del gioco. Capiamo l’intento di prendere e cercare di adattarlo a un roguelike, soprattutto nell’ottica di riutilizzare degli asset dal già citato progetto multiplayer fallito, ma purtroppo l’amalgama non funziona. Senza Ritorno non diverte davvero e non stimola il giocatore a proseguire nelle varie partite e questo per un roguelike è un problema non di poco conto.
Ancora differente è il punto di vista sugli altri contenuti aggiuntivi. Senza soffermarsi sulla possibilità di suonare la chitarra liberamente (che è un semplice divertissement) o sull’extra rappresentato dal commento di Druckmann e degli attori dei vari filmati (disponibile a gioco concluso), limitiamoci agli stage extra. Ovvero tre livelli che sono stati tolti dal gioco finale e che qua vengono riproposti, sgrezzati ma non del tutto, assieme al commento dello stesso Druckmann e di altri membri del team. Sono senz’altro l’aggiunta più interessante di questa remastered, sia per farsi un’idea di come funziona uno sviluppo a livello pratico sia per effettive aggiunte narrative. Ma rappresentano un’esperienza fin troppo breve per poter diventare una motivazione d’acquisto.
Un’esperienza unica
In definitiva per questo The Last of Us Parte II Remastered vale quanto detto all’inizio. Per chi ha già intrapreso il percorso creato da Neil Druckmann e Naughty Dog l’acquisto ha senso per ragioni di completismo e per via del prezzo davvero ridotto dell’operazione, non tanto per i contenuti aggiuntivi. Per chiunque invece non abbia ancora affrontato questa avventura – e magari si è avvicinato al titolo per via dello straordinario lavoro fatto da HBO con la serie tv – la questione cambia radicalmente. The Last of Us Parte II è una delle più estenuanti e faticose esperienze videoludiche che si possano affrontare. Lo sappiamo, detta in questo modo non sembra molto invitante. Eppure quella fatica, psicologica ed emotiva, è uno dei risultati maggiormente stupefacenti della storia del medium videoludico.
Neil Druckmann e Naughty Dog sono riusciti a costringere i giocatori di tutto il mondo a cambiare prospettiva, a mettere i panni “dell’altro”, inteso come diverso da sé. Senza timor di iperbole si tratta di un punto di arrivo toccato da pochissime produzioni narrative anche spingendosi al di fuori del medium. Si cambia a giocare The Last of Us Parte II. E forse è proprio questa sua caratteristica a rendere per noi di così difficile comprensione tale operazione.. Perché determinate esperienze non necessitano di remastered, vanno semplicemente vissute. Capitano una volta e poi mai più. Ma per chi quel cambiamento non l’ha ancora raggiunto questa rappresenta di certo una buona occasione.
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