Il reboot di DOOM pubblicato nel 2016 non è un semplice videogioco, ma una vera e propria rivoluzione del genere. Potremmo anche osare espressioni provocatorie, dicendo che se non fosse mai uscito, sicuramente oggi non avremo un mercato così florido per quanto riguarda gli FPS. Il rilancio di DOOM infatti ha salvato il genere, in un momento di smarrimento produttivo e creativo dietro a sperimentazioni tecniche di varia natura che spesso non portavano a nulla di concreto.
Dalle parti di id Software e Bethesda deve esserci stata sicuramente una forte crisi durante la realizzazione di DOOM 4, con uno di quei classici eventi per cui, dopo anni di produzione, ti svegli nel cuore della notte e ti rendi conto, con una sinistra lucidità, che il gioco che stai realizzando è tutto sbagliato e se vuoi salvare il franchise, non devi curare le ferite causate da DOOM 3, ma devi proprio staccare la spina e ricominciare tutto dall’inizio.
DOOM, dalle ceneri dell’inferno
Le ceneri da cui sorge il reboot di DOOM sono essenziali per capire come si sia arrivati fin lì. Spesso, nelle grandi e tristi storie di fallimenti, i segnali del destino nefasto sono da ricercare proprio negli attimi che precedono l’arrivo sul mercato di un prodotto che causerà il diretto cataclisma letale. Per il franchise, questo cataclisma ha il nome di DOOM 4.
Di quei quattro anni di sviluppo, a cavallo tra il 2008 e il 2012 oggi abbiamo pochissimo, brandelli di video, cutscene, prototipi e bozzetti, sufficienti tuttavia per capire la natura del gioco, elaborato per la prima volta fuori da contesti infernali, abbandonando Marte per spostarsi in un’invasione demoniaca sulla Terra, con il nostro doomguy facente parte di una milizia a sorreggere una resistenza contro il nemico. Una soluzione che ricorda tantissimo i gloriosi fasti di Half Life 2, ma con DOOM, tutto questo non aveva nulla da spartire.
Dopo la cancellazione di DOOM 4 è chiaro a tutti gli sviluppatori che la situazione non è tanto critica, quanto delicata, infatti l’assenza di informazioni circa il destino del franchise, che dal 2004 manca di battere colpi vitali, non è mai buon segno, figurarsi quando il progetto su cui stai lavorando da tempo viene definitivamente cancellato. Adesso c’è bisogno di rimboccarsi le maniche e ricominciare da zero, ripensare il progetto sin dalle fondamenta e da qui ecco l’approccio geniale: spogliare il gioco di tutto il superfluo e concentrarsi sull’essenziale.
Un gioco moderno che guarda al passato

Come erano strutturati i primi DOOM? Arma al centro dello schermo, fuoco contro i numerosi demoni nemici e nulla più. In un momento storico estremamente delicato per gli FPS, id Software rivoluziona la grammatica di gioco tornando alle scuole elementari: il reboot di DOOM sarà un gioco che richiederà al videogiocatore poche e semplici azioni, quali velocità di esecuzione, fuoco continuo e riflessi pronti.
Siamo in un periodo decisamente particolare, gli Arena Shooter ormai sono al tramonto, proprio quelli che hanno fatto la fortuna del genere su PC e non mancano giocatori lì fuori che sognano ancora ad occhi aperti di avere tra le mani un Quake, un Serious Sam o anche Unreal. Quella velocità di esecuzione e movimento brucia nei polpastrelli di tanti e DOOM si presenta al mercato rispondendo a quella tacita esigenza.
I primi minuti di gioco sono esemplari: il doomguy, qui Doom Slayer, viene svegliato e inizia subito ad annientare i molteplici demoni attorno a lui. C’è anche un momento in cui un personaggio, il dottor Samuel Hayden in un piccolo intermezzo mentre ci troviamo in un ascensore, prova ad aggiornare il nostro eroe di cosa sia successo, con il più classico degli spiegoni, ma il Doom Slayer sferra un pugno violento all’interfono, mettendolo a tacere. Le porte si aprono davanti a lui, la sabbia rosso sangue di Marte è un invito glorioso mentre carichiamo il colpo in canna del nostro fucile a pompa. Le chiacchiere stanno a zero, qui c’è uno sterminio di demoni da portare avanti.
Sono disposto a prendermi la responsabilità degli orribili eventi delle ultime 24 ore, ma devi assolutamente capire una cosa: il nostro interesse nel loro mondo era solo per il bene dell’umanità. Chiaramente, ora, ci è sfuggito tutto di mano, ma valeva la pena di correre il rischio, te lo assicuro.
Risveglio sensoriale

Alla luce di quello che sono stati i successivi DOOM Eternal e il recente DOOM The Dark Ages, il reboot di DOOM del 2016 è quello che più si avvicina ad un risveglio totale dei sensi. È il gioco stesso che ci invita a scordare tutto quello che sappiamo sugli FPS moderni, per abbracciare uno stile frenetico e viscerale, fatto di armi che non necessitano di mirino o di ricarica manuale.
Come detto poco prima, può sembrare esagerato attribuire a questo DOOM lodi da salvatore, ma è bene tenere a mente che spesso, nello sviluppo di un videogioco, creativi e game director si avvicinano alle loro creature infiocchettandole con meccaniche sempre nuove, proprio per differenziarsi dall’alto tasso di concorrenza. Pensate al glorioso Titanfall 2, gioco sublime per grammatica di gioco e narrazione tutta condensata in un matrimonio di stile e tecnica che, purtroppo, ha fallito.

DOOM invece riesce nella missione, facendoci immergere in un brodo primordiale di cui avevamo scordato l’odore come il sapore, donando una piena consapevolezza ludica del passato, applicata ad oggi. Detto questo viene dunque spontaneo pensare a DOOM The Dark Ages, ennesima rielaborazione che propone invece un DOOM più tecnico – per via dell’utilizzo dello scudo – che non ha fatto mancare critiche come altrettante lodi dalla fanbase storica.
Al netto di quello che più amate di questo glorioso franchise, che è sempre un bene vederlo attivo ancora oggi, il maggior invito è quello di tornare a giocare al DOOM del 2016 una volta ogni tanto, soltanto per sentirvi praticamente privi di una qualsivoglia armatura fatta di strategia o bonus, per attingere esclusivamente ai vostri riflessi. Ancora oggi, il reboot di DOOM è una delle esperienza più rivoluzionarie che potrete trovare sul mercato.