Elon Musk non si ferma mai. Dopo aver rivoluzionato l’automotive elettrico, nonostante i gravissimi pericoli riscontrati di recente, lo spazio che si contende con Google e i social media, ora punta a conquistare l’industria dei videogiochi e del cinema. La sua azienda di intelligenza artificiale, xAI, ha annunciato piani ambiziosi per creare contenuti interattivi e cinematografici generati interamente dall’AI. Non stiamo parlando di semplici assistenti per sviluppatori o strumenti di supporto, ma di videogiochi completi e film prodotti da algoritmi, con una timeline che punta alla fine del 2026.
In un post su X, Musk ha dichiarato senza mezzi termini: “XAI si butterà a capofitto nei videogiochi, perché amo e gioco ai videogiochi. Fare soldi è una preoccupazione secondaria“. Una promessa che suona quasi romantica, se non fosse per le implicazioni profonde che porta con sé. L’obiettivo dichiarato è quello di rilasciare un grande videogioco generato dall’AI e un film almeno guardabile entro la fine del prossimo anno. Ma cosa significa realmente tutto questo per l’industria del gaming e dell’entertainment? E soprattutto, siamo davvero pronti per videogiochi costruiti da intelligenze artificiali invece che da team di creativi in carne ed ossa? Il caso conclamato di Tilly Norwood e le dichiarazioni aspramente criticate della sua creatrice hanno dimostrato che l’utenza non è contenta di queste scelte, ma fermeranno Musk?
The XAI game studio will release a great AI-generated game before the end of next year https://t.co/F14rJXNzk9
— Elon Musk (@elonmusk) October 6, 2025
Per capire la portata del progetto, bisogna guardare a cosa sta costruendo xAI dietro le quinte. L’azienda ha recentemente reclutato talenti chiave provenienti da Nvidia, tra cui Zeeshan Patel ed Ethan He, entrambi con esperienza consolidata in simulazioni e modellazione di ambienti virtuali. Il loro compito? Sviluppare i cosiddetti world models, sistemi di intelligenza artificiale in grado di comprendere come gli oggetti interagiscono, si muovono e rispondono alle leggi della fisica nel mondo reale. A differenza dei modelli generativi tradizionali che producono testo o immagini statiche, i world models puntano a creare ambienti dinamici, realistici e interattivi. In teoria, potrebbero permettere di costruire interi mondi di gioco senza dover programmare manualmente ogni singola interazione o animazione. Immaginate un universo virtuale che capisce la gravità, il comportamento dei materiali, le collisioni, le reazioni chimiche, tutto appreso da dati video e robotici invece che codificato riga per riga.
Eppure, nonostante l’entusiasmo tecnologico e le promesse di efficienza, c’è un lato oscuro in tutto questo. L’industria dei videogiochi e cinematografica sono già in crisi: i costi di sviluppo sono alle stelle, i team vengono tagliati, gli studi chiudono, le console diventano sempre più costose, e ora rischiamo di aggiungere un nuovo problema invece di risolvere quelli esistenti. Cosa succede quando il lavoro viene delegato a un modello addestrato su milioni di dati esistenti? Il rischio è quello di generare contenuti sterili, derivativi, privi di quella scintilla che rende un’opera memorabile.

E poi c’è la questione del lavoro. Se l’AI può costruire un gioco dall’inizio alla fine, dove finiscono i designer, gli artisti, i programmatori, i narratori, i registi e gli attori che hanno speso anni a perfezionare il loro mestiere? C’è anche un problema etico spinoso. Su cosa vengono addestrati questi modelli? Se l’AI impara osservando giochi esistenti senza consenso o compenso per gli sviluppatori originali, chi possiede davvero i contenuti generati? Non è un’ipotesi astratta: recentemente Sora 2, il generatore video di OpenAI, ha prodotto contenuti ispirati a proprietà intellettuali di Nintendo senza alcuna autorizzazione. E sappiamo tutti quanto Nintendo sia agguerrita nel difendere i propri marchi. Prepariamoci a battaglie legali che potrebbero durare anni.
La visione di Musk è senza dubbio ambiziosa. Ridurre i costi di sviluppo nel settore è un obiettivo comprensibile, ma la soluzione non può essere quella di eliminare l’elemento umano dalla creatività. La domanda che resta è semplice ma fondamentale: vogliamo davvero un futuro in cui i nostri giochi e film preferiti siano prodotti da intelligenze artificiali? O preferiamo ancora credere che la creatività umana, con tutte le sue imperfezioni e la sua unicità, sia insostituibile? La risposta potrebbe arrivare prima di quanto pensiamo, entro la fine del 2026 per la precisione. E forse, quando vedremo il primo grande videogioco AI o un film promesso da Musk, capiremo finalmente se questa rivoluzione era davvero necessaria o se era solo l’ennesima soluzione in cerca di un problema.