L’attesa e la curiosità sia da parte del pubblico che degli addetti ai lavori verso Non siamo più vivi, nuovo prodotto Netflix proveniente dalla Corea del Sud disponibile dal 28 gennaio, è tanta. Un’attenzione confermata ad esempio dalla localizzazione italiana presente fin dal lancio, a differenza del trattamento iniziale riservato a Squid Game. Sull’evidente fascinazione dei mercati occidentali verso i prodotti d’intrattenimento sudcoreani (dal K-pop a Parasite, da Squid Game a Non siamo più vivi) si potrebbe riflettere e scrivere per ore. Un’operazione molto interessante di Soft Power che sta portando la Corea del Sud ad assumere quel ruolo in Occidente che per decenni ha ricoperto il Giappone.
Una piccola premessa prima di iniziare la nostra recensione di Non siamo più vivi. Dei dodici episodi che la compongono, tutti della durata variabile tra i 60 e i 70 minuti, ne abbiamo visti in anteprima sette. Un numero di ore consistente e sufficiente per notare i molti punti di forza e alcune debolezze della serie. Nei paragrafi successivi analizzeremo le varie componenti che danno vita a Non siamo più vivi. Un prodotto che riesce abilmente a unire teen drama e zombie-movie, con molte variazioni di toni e di genere, mantenendo uno sguardo attuale sulla società e sulla cultura sudcoreana.
Non siamo più vivi (2021)
Genere: Horror
Durata: 12 episodi/60-70 minuti ca.
Uscita: 28 gennaio 2022 (Netflix)
Cast: Yoon Chan-young, Park Ji-hoo, Cho Yi-hyun
Un incipit lineare spostato in Oriente
Gli studenti di un liceo sudcoreano vivono la loro quotidianità con gli alti e bassi dell’adolescenza: le lezioni a scuola, il rapporto con i genitori, le prime storie d’amore, i gruppi di amici, la lotta e la resistenza al bullismo. Questo finché non inizia a diffondersi un virus, creato dal professore di scienze del liceo, che trasforma gli infetti in una forma abbastanza particolare di zombie (su cui torneremo). Il morbo riuscirà a espandersi oltre le mura scolastiche e a raggiungere il resto della città, tanto da portare il Governo e l’esercito coreano a mettere in quarantena la città. Nel corso della storia seguiremo più gruppi che tenteranno di sopravvivere. Questo nella sostanza è l’incipit di Non siamo più vivi, tutto racchiuso in un primo episodio molto introduttivo.
Come il lettore può notare, in queste poche righe non vi sono particolari novità narrative rispetto alle produzioni classiche a tema zombie. Le differenze che si possono riscontrare risiedono nella parte teen drama e nelle descrizioni delle dinamiche che intercorrono tra i personaggi. Non siamo più vivi poggia le basi del suo racconto sulla struttura della società della Corea del Sud. Lo fa più e meglio di quanto non abbia fatto Squid Game, serie che per la sua natura da battle royale spostava i suoi protagonisti in un’isola sottraendoli per lunghe parti dal contesto sociale e nazionale. Gli stessi personaggi, come in altri produzioni orientali, trovano una loro compiutezza attraverso la collettività più che presi come singoli.
La scelta fatta dai creatori di Non siamo più vivi può diventare un’arma a doppio taglio. Da una parte questa caratteristica porta una maggiore tridimensionalità alla vicenda e permette di giocare maggiormente con toni e generi differenti. Dall’altra può causare, nello spettatore occidentale meno interessato a queste dinamiche, un possibile senso di straniamento davanti a certe scene e certi dialoghi.
Bullismo e sfiducia negli adulti: una storia di scontri
Nel perseguire questa strada la serie sceglie due temi cardine su cui basare il racconto: il bullismo e il rapporto tra adulti e ragazzi. Il primo, oltre a essere un topos ricorrente del mondo orientale, rappresenta un cardine anche per i risvolti relativi alla nascita e alla diffusione del virus. Svolte che verranno raccontate col proseguo degli episodi in modo fin troppo didascalico. Un bullismo portato avanti attraverso aggressioni fisiche, molestie sessuali e insulti su differenze sociali.
Nel rapporto tra generazioni differenti sta l’altra chiave di lettura di Non siamo più vivi. Un legame conflittuale e caratterizzato da sospetti e poca fiducia. A più riprese i giovani personaggi diranno apertamente di non fidarsi dei grandi. Lo stesso virus nasce, simbolicamente, dall’ingerenza del professore nella vita del figlio.
Questo scontro generazionale non è una novità per quanto riguarda l’Oriente, basti pensare a Battle Royale (2000) che su questo tema poneva le sue basi. Non siamo più vivi però lo attualizza portandolo ai giorni e alle generazioni nostre e ponendolo nel contesto sudcoreano. Un quadro quest’ultimo in cui lo scontro generazionale è molto forte e legato a vari motivi: questioni economiche legate ai forti debiti dei genitori (come visto in Squid Game) destinati a ricadere sui figli; la voglia e la necessità di rompere barriere come quelle legate ai dogmi sessuali passati; il tema della storica divisione dalla Corea del Nord difficilmente comprensibile dalle nuove generazioni.
Quello che traspare quindi è una storia di scontri che siano essi intra-generazionali come nel bullismo o inter-generazionali come nel rapporto tra giovani e adulti. Conflitti che Non siamo più vivi cerca di risolvere in parte attraverso l’introduzione della variabile virus/zombie. Ed è qua che la serie trova la sua vera forza.
Parliamo di Zombie
Non siamo più vivi è tratto dal webtoon Now at our School. Cos’è un webtoon? Una tipologia di fumetti digitali tipica della Corea del Sud. Il loro essere slegati dalla produzione editoriale classica gli permette di giocare con formati, layout, formattazione e varietà multimediale. Insomma libertà completa. Una indipendenza che la serie cerca (e in parte trova) nella messa in scena. Non siamo più vivi è una serie che basa il suo ritmo e buona parte del suo racconto sul movimento. C’è un ampio utilizzo della camera a mano per dare l’idea di frenesia e confusione ma non mancano i long-take, i piano sequenza e inseguimenti dalle coreografie più ricercate. Si prosegue veloci, il ritmo è alto e sempre all’insegna delle immagini in movimento ma sopratutto dell’utilizzo dello spazio, con una grande ricerca di verticalità.
Veniamo ora agli zombie, in tutto e per tutto i co-protagonisti di questa serie. Le produzioni sudcoreane da qualche anno hanno riscoperto i morti viventi. Abbiamo avuto ad esempio il fortunato e splendido Train to Busan e il meno riuscito sequel Peninsula. Sempre pensando a produzioni sudcoreane Netflix con gli zombie è stata la volta di #Alive e della sottovalutata serie Kingdom. Non siamo più vivi è cosciente di questo percorso. Gli stessi personaggi lo sono, riconoscendo immediatamente gli zombie come tali. Più volte citano Train to Busan ma anche Benvenuti a Zombieland.
Nella serie non ci troviamo con dei morti viventi simili a quelli di The Walking Dead. Siamo davanti a degli infetti: la trasformazione è rapida, corrono veloci, sono estremamente aggressivi. Ciò contribuisce al ritmo della componente action e della presenza costante di tensione. Così come fondamentale è l’alto livello produttivo, con una ottima realizzazione degli effetti speciali, di quelli digitali e un gran numero di comparse. La mutazione è dove la componente horror si fa più presente. Rumori e movimenti delle vittime sono simili a quelli delle opere a tema possessioni. Ciò che più traspare in tutta la serie è la violenza e il rischio imperante per tutti. Non ci sono limiti, troverete criceti zombie, bambini infetti, neonati a rischio e tutti i personaggi principali saranno potenziali vittime.
Siamo certi che per gli appassionati di cinema di genere troveranno in Non siamo più vivi una bella ventata di aria fresca, una garanzia di divertimento.
Attualità tra strumenti e virus
Non siamo più vivi tiene i piedi ben saldi nell’attualità. Una componente ben riscontrabile nell’utilizzo della tecnologia. Gli smartphone diventano armi per quanto riguarda il bullismo ma anche mezzi con cui chiedere aiuto o ricercare informazioni su cosa sta avvenendo. Sono presenti anche le live streaming (simil Twitch) a cui è dedicata una delle scene più comiche della serie. Abbiamo poi una lunga sequenza che si basa sull’utilizzo di un drone. Tutti mezzi appunto che sottolineano nuovamente le differenze tra generazioni.
Sempre stando sull’attualità è chiaro anche che Non siamo più vivi è una serie “post-Covid”, nel senso che ne tiene conto e che vi si possono trovare possibili riferimenti. Non solo viene continuamente menzionata la parola virus, i tentativi tramite lockdown di circoscriverlo, le tensioni di trovarsi davanti a una possibile pandemia. In un’occasione in particolare viene menzionato direttamente il Covid. Dato, questo, piuttosto interessante e che in parte differenzia Non siamo più vivi da altre produzioni recenti.
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Conclusioni
Non siamo più vivi continua il percorso di espansione dei prodotti di intrattenimento sudcoreani. La serie riesce a fondere il teen drama con gli zombie movie, ambientando il tutto nel contesto sociale della Corea del Sud di oggi con un forte sguardo all'attualità. La sua forza risiede nella qualità della produzione e in una regia curata, in grado di mantenere un ritmo elevato e di divertire lo spettatore con un sapiente uso della tensione.
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Voto Screenworld