Non pensiamo ci sia bisogno di una particolare presentazione per Squid Game. Quella serie coreana disponibile su Netflix, dove un gruppo di povera gente cerca di salvarsi dai propri debiti attraverso un gioco a premi molto particolare. Con i concorrenti che si divertono a fare “Un, due, tre, stella!” (o “Stai là” che dir si voglia), solo che se uno poi si muove viene fucilato. Quel tipo di gioco insomma. Squid Game ha poi raggiunto istantaneamente la fama mondiale, diventando il prodotto Netflix più visto del momento in praticamente tutti i paesi in cui è presente la piattaforma. La serie è però solo il punto di arrivo di un genere che ha attraversato tutti i media: dal fumetto al romanzo, dal cinema al videogioco. Stiamo parlando del battle royale, una sorta di lotta per la sopravvivenza dove un gran numero di giocatori combattono tra di loro per diventare “l’ultimo sopravvissuto”. Un archetipo narrativo che volendo si può far risalire al mito di Teseo e il Minotauro. Oggi ci limiteremo però alle sue influenze più moderne. Andiamo quindi a vedere la storia del genere battle royale.
Nomen Omen: Battle Royale
Ovviamente parlando di battle royale non potevamo che iniziare proprio da Battle Royale. Come detto in precedenza l’archetipo narrativo su cui si basa il genere esiste più o meno da sempre. Abbiamo citato Teseo e il Minotauro, con la richiesta di Minosse ad Atene di 7 ragazzi e 7 ragazze da sacrificare nel labirinto. Andando meno lontano potremmo anche fermarci a riflettere sul battle royale match del mondo del wrestling (di cui la Royale Rumble è la variabile più nota). È però con il romanzo Battle Royale di Koushun Takami che tutte le caratteristiche base vengono delineate. L’autore ambienta tutto in un Giappone totalitario conosciuto come la “Repubblica della Grande Asia Orientale”. Qua ogni anno viene sorteggiata una classe delle scuole medie per far parte del “Programma”. I ragazzi si troveranno in un’isola e saranno costretti a uccidersi a vicenda finché non rimarrà solo un sopravvissuto. Il romanzo viene scritto nel 1996 ma vede la pubblicazione solo nel 1999. L’anno successivo arriva l’adattamento manga, scritto dallo stesso Takami, e soprattutto la trasposizione cinematografica realizzata da Kinji Fukasaku.
Il film è semplicemente un capolavoro, un classico moderno. Pur considerando inflazionata la formula rafforzativa “Tarantino di questo film dice..”, in questo caso la consideriamo inevitabile. Il regista di Knoxville, quando interpellato, ribadisce costantemente che è uno dei suoi film preferiti. Non fatichiamo a credergli visto che troviamo citato il lungometraggio di Fukasaku più volte nella sua produzione successiva. Si pensi alla struttura di The Hateful Eight mettendola a confronto con la scena del faro del film giapponese. Tornando al discorso principale, guardando oggi Battle Royale vediamo tutte le caratteristiche del genere, nessuna esclusa. I “giocatori” che vengono mollati su un’isola, il loot casuale, le safe zone a tempo che costringono a fare delle rotazioni, il meccanismo di sopravvivenza e ovviamente l’unico vincitore. Abbiamo pure una sorta di Deus Ex Machina, figura presente un po’ in tutto il genere, qua interpretato da un Takeshi Kitano (nome che tornerà più avanti) divertito e divertente. Purtroppo è molto difficile da recuperare (ha una lunga storia di censure) ma è una visione imprescindibile, per il genere in questione e per il cinema tutto.
La formula occidentale: Hunger Games
Qualche anno dopo (nel 2008) esce il primo romanzo di Hunger Games, scritto da Suzanne Collins. Qua la formula viene riavvicinata al mito di Teseo e il Minotauro, con Snow in versione Minosse a richiedere dei tributi ai suoi distretti. Il successo è quasi immediato, la Lionsgate si premura di acquisire i diritti per una trasposizione cinematografica. Il primo film vedrà la luce nel 2012 e si ergerà subito come l’inizio di una nuova saga generazionale. I quattro lungometraggi ancora oggi si confermano, nonostante alcune lacune principalmente negli ultimi due episodi, come degli ottimi blockbuster d’azione. Con il grande merito ovviamente di aver creato una splendida eroina come Katniss Everdeen e aver lanciato agli occhi del grande pubblico Jennifer Lawrence.
Per quanto riguarda il genere battle royale i capitoli che più ci interessano sono i primi due. Qua abbiamo una sorta di land (che però viene da sottoterra e non dal cielo) casuale in una zona dove poter raccogliere armi e provviste. Viene marcata la mano specialmente nelle avversità legate al territorio e nella gestione delle risorse, diciamo un primo approccio al micromanagement. È molto interessante poi tutta l’operazione del secondo capitolo. In La Ragazza di Fuoco viene organizzata un’edizione speciale degli Hunger Games, in cui a essere sorteggiati come partecipanti sono i vincitori dei rispettivi distretti. Questa mitizzazione del “vincitore” (approfondita in modo critico nel film) verrà poi ripresa in ambito videoludico, specialmente nell’ambiente competitivo.
Il primo approccio videoludico: Minecraft
Minecraft meriterebbe un articolo a parte. Lo scorso anno, in occasione dell’undicesimo anniversario dall’uscita, sono stati comunicati i dati di vendita e di giocatori attivi del software. Parliamo di numeri come 200 milioni di copie vendute e più di 100 milioni di utenti attivi mensili. Cifre mostruose che testimoniano come l’IP creata da Markus Persson sia la più incredibile long-seller del mondo dei videogiochi e un fenomeno di massa incalcolabile.
Ad ogni modo, nel 2012 quando Minecraft entrava nella sua fase di massima popolarità, incrociò la strada di quell’altro nuovo fenomeno pop citato nel paragrafo precedente. La modalità Minecraft x Hunger Games (poi Survival Games) è un passaggio molto importante del percorso del genere. Grazie a essa il concetto di “Last Man Standing”, già presente in altri videogiochi, viene limato e portato su un altro livello. Inoltre, da non sottovalutare, la popolarità dell’epoca di Minecraft ha di fatto trascinato quella legata alla modalità e al genere.
Il passo in avanti e la nascita del battle royale moderno: PUBG
Nello stesso periodo c’era un altro gioco che godeva di grande popolarità. Si tratta di ArmA2, FPS piuttosto tattico sviluppato da Bohemia Interactive Studio. La facilità con il quale si poteva moddare, insieme al successo della Minecraft X Hunger Games, portò alla nascita di un gioco stand-alone: DayZ. Praticamente un survival puro a base di zombie che riscosse un immediato successo. È in questo punto della storia che si inserisce un protagonista del nostro percorso. Brendan Green, conosciuto online con il nickname “PlayerUnknown” carica online una mod per DayZ direttamente ispirata al Battle Royale di Fukasaku. A livello di meccanica di gioco la vera innovazione è il disseminare casualmente la mappa di armi utilizzabili dai giocatori. Anche in questo caso il successo non tarda ad arrivare, tanto da spingere la software house Daybreak Game Company a coinvolgere Green come consulente nello sviluppo della loro IP, H1Z1 (sempre un survival a tema zombie, ricordiamo che era il periodo di grande popolarità di The Walking Dead). Da questa collaborazione nasce H1Z1: King of the Kill, una versione battle royale del videogame originale.
È a questo punto che Green capisce la validità e le potenzialità del suo progetto. Carico dell’esperienza accumulata con le collaborazioni appena descritte sviluppa un progetto personale. Accetta la proposta dello studio sudcoreano Bluehole Studio e da questa collaborazione nasce nel 2016 un gioco destinato a impostare i dettami del genere, a macinare milioni di giocatori ed a essere un fenomeno di massa ancora oggi. Come lo ha chiamato? Come il suo nickname ovviamente: PlayerUnknown’s Battlegrounds, conosciuto da tutti come PUBG.
Il fenomeno mondiale: Fortnite
Nel 2017 PUBG sta infrangendo vari record, tra cui quello di giocatori simultanei su Steam. Da lì a poco però le cose saranno destinate a cambiare di nuovo. Esce Fortnite. Epic Games, fino a quel momento nota per aver sviluppato il motore grafico Unreal Engine e per aver avviato la saga di Gears of War, applica una strategia poi rivelatasi vincente (e replicata su larga scala). Prima di tutto rilascerà Fortnite su tutte le piattaforme di gioco. Non solo su PC quindi come PUBG ma anche sulle console del momento (PS4 e Xbox One), entrando potenzialmente nelle case di tutti i videogiocatori. In secondo luogo la mossa inaspettata: il gioco sarà un Free-to-play. Niente più acquisto, Fortnite si potrà scaricare e provare integralmente senza sborsare nulla. Immediatamente si diffonde il meccanismo del “lo provo, tanto è gratis”. Con questa doppia scelta Epic riesce a crearsi un bacino iniziale sostanzialmente smisurato. Il resto lo fa il gioco in sé.
La meccanica del minare e costruire per garantirsi dei ripari, inizialmente sottovalutata, si rivela la caratteristica peculiare vincente. Il continuo aggiornamento di mappe e meccaniche, i season pass, l’acquisizione dei diritti di immagine di grandi proprietà intellettuali da cui ricavare le skin di gioco. E ancora il costante inserimento di nuovi maxi-eventi, come il concerto in live interno al gioco di Travis Scott, hanno portato Fortnite a essere uno dei più grandi fenomeni culturali del decennio scorso e in generale di questo secolo. Non ci riferiamo solo ai numeri (comunque impressionanti). Pensiamo ad esempio a Griezmann che esulta ai mondiali con un balletto di Fornite o altri eventi simili. Con il gioco di Epic esplode poi un altro fenomeno, quello legato alle streaming di videogiochi, al mondo di Twitch ed al pro-gaming online. Tutte cose già esistenti ma che con la popolarità del nuovo battle royale varcano i confini degli appassionati e vanno a creare un vero nuovo mondo dell’intrattenimento con tanto di nuovi mestieri.
Il ritorno al First Person Shooter: Warzone e Apex Legends
Dopo l’onda del successo di Fortnite si attendeva una risposta delle altro major. Magari proprio dal mondo dei First Person Shooter i cui giocatori si sentivano tagliati fuori dal gioco di Epic (uno sparatutto in terza persona con la complicazione del sistema di costruzione). La risposta non tardò ad arrivare. La prima risposta fu di Call of Duty, con la modalità battle royale denominata Black Out, rilasciata su Black Ops 4 nel 2018. La modalità era accessibile però solo dopo aver acquistato il gioco completo, cosa che impedì un vero successo trasversale.
Per il rilascio di un battleroyale FPS free-to-play si dovette attendere altri 12 mesi. L’anno successivo arrivò infatti Apex Legends, sviluppato da Respawn Entertainment. La softwarehouse prese tutte le sue conoscenze che aveva sviluppato durante la creazione dei due splendidi capitoli di Titanfall e prese ispirazione da Overwatch, soprattutto per quanto riguarda i personaggi con abilità uniche. Il risultato è uno splendido battleroyale, con una forte componente strategica legata alle composizioni dei team in base alle peculiarità delle varie leggende. Apex Legends oggi probabilmente sta vivendo il suo momento migliore, sia per quanto riguarda la varietà e l’equilibrio di gioco, sia per il numero di giocatori. Abbiamo parlato più nello specifico a riguardo della Season 11 di Apex Legends che alza l’asticella del battle royale.
L’anno successivo, in piena pandemia, arriva la vera risposta di Call of Duty. Warzone si rivela subito un successo di larga scala, andando a prendere tutta quella fetta di affezionati alla saga classica. Riuscendo tra l’altro a ibridare il battle royale free-to-play con il multiplayer classico dove poter fare esperienza e migliorare armi e accessori.
Una formula alternativa e giocosa: Fall Guys
“E se invece di far ammazzare i giocatori facciamo un battle royale con turni di giochi, un po’ come se fosse il Takeshi’s Castle?” Probabilmente è la domanda che si son posti i ragazzi di Mediatonic e da cui è nato Fall Guy’s. Il Takeshi’s Castle è stato un programma ideato da Takeshi Kitano e andato in onda in Giappone alla fine degli anni ’80. Il format era il seguente: 100 concorrenti si mettono alla prova in giochi di vario tipo (principalmente percorsi di resistenza con imprevisti), chi supera la prova passa al gioco successivo. Una volta superati tutti i giochi si raggiunge lo scontro finale contro il Conte Takeshi (lo stesso Kitano) nel tentativo di conquistare il suo castello. Il tutto con un premio in denaro per il vincitore. In Italia il programma è andato in onda con il commento della Gialappa’s Band per svariati anni sotto il nome di Mai dire Banzai.
Fall Guy’s è sostanzialmente la stessa cosa, con la differenza che qua i giocatori sono degli avatar pupazzosi e tutti i giochi hanno l’aspetto da paese dei balocchi.
A pensarci bene è possibile ricondurre tutto il mondo battle royale alla figura di Takeshi Kitano, in una sorta di KitanoVerse.
E alla fine arriva Squid Game
Eccoci al punto di arrivo di questo nostro viaggio. Una strada con delle radici in archetipi narrativi antichi che ha visto il genere mostrarsi in oriente prima come romanzo, poi come manga, successivamente come trasposizione cinematografica. Un sentiero seguito pedissequamente negli Stati Uniti, dove ha trovato una base interessata a vederlo in forma di videogioco. Infine il ritorno in oriente in veste di Serie Tv, diventando il prodotto più di successo di quest’anno. Un percorso che evidenzia da una parte la malleabilità del genere (ma alla fine quale non lo è?) e soprattutto la volontà del pubblico di tutto il mondo di vedere una gara dove il vincitore è l’unico partecipante sopravvissuto.
Qualcosa vorrà pur dire.