Un fiato. Un fiato ed è subito pelle d’oca. Basta un semplice respiro per aprire un mondo. Anzi, galassie intere.
Il trailer di Obi Wan Kenobi, la nuova serie Disney+ dedicata all’iconico mentore interpretato da Ewan McGregor, ha soffiato sulla polvere dei ricordi. La sabbia di Tatooine, il carisma di Obi Wan, il suono delle spade laser e il “verso” dei droidi: ogni cosa ci immerge dentro il ricordo di quella vecchia saga che ha fatto grande il cinema. Tutto dentro il trailer di una serie tv.
È un cortocircuito degno di C-3PO, il paradosso necessario per portare avanti il mito di Star Wars lontano dalla solita galassia di Star Wars. Una saga nata come puro evento cinematografico salvata dal piccolo schermo. Come se un pianeta girasse attorno al satellite. Cerchiamo di capire meglio questa rivoluzione copernicana, e perché Obi Wan Kenobi non fa che confermare lo strano destino della saga delle saghe.
Il risveglio fantasma
Una spada laser per spiegare qual è il problema. Vi ricordate la reazione di Luke Skywalker quando Rey gli porge la spada all’inizio di Star Wars – Gli Ultimi Jedi? La butta via con noncuranza. Ruoli invertiti nel film successivo. In Star Wars – L’ascesa di Skywalker è Rey a sbarazzarsi della spada laser, presa al volo dal fantasma di Luke che replica: “L’arma di un Jedi merita più rispetto”. Due film che si contraddicono. Due film in cui Luke Skywalker prima disprezza e poi rispetta il mito stesso di Star Wars. Un film che bacchetta l’altro con J.J. Abrams che fa la ramanzina a Rian Johnson per la sua scena blasfema. Esempio lampante per capire perché l’ultima trilogia di Star Wars non ha funzionato. Non c’era una visione coerente, non c’era un disegno d’insieme tratteggiato come si deve, ma singoli film affidati ad approcci opposti. Prima quello rispettoso e canonico di J.J. Abrams, poi a quello coraggioso e anarchico di Johnson e poi ancora Abrams, con un Episodio IX che sembrava quasi limitare i presunti danni del film precedente regalando pacche sulle spalle. Insomma, gli episodi 7, 8 e 9 di Star Wars sono come un cerbero che si azzanna da solo.
Non è un caso che nessuno dei nuovi personaggi dell’ultima trilogia abbia fatto breccia nell’immaginario popolare. Non ci sono riusciti Rey, Poe Dameron, BB-8 e persino l’intrigante Kylo Ren, secondo noi il grande incompreso della saga. Perché se sei costretto a travestirti da cosplayer di tuo nonno solo per esserne all’altezza, significa che dentro hai un conflitto che merita attenzione. Stesso discorso per la vecchia guardia, con Luke, Han e Leia che sono sembrati stanchi e imbolsiti, antichi ricordi ormai sbiaditi. Tutto questo per dire che se è il piccolo schermo a portare avanti il mito di Star Wars, è soprattutto demerito del cinema che con ha saputo tenere vivo il fuoco di un grande racconto epico. Un racconto che si è fatto sempre più domestico e intimo. Più piccolo ma non per questo meno stellare.
A-Mando Star Wars
Un dito. È bastato un dito per far innamorare tutti. L’entrata in scena di Baby Yoda (per gli amici Grogu) nel primo episodio di The Mandalorian ha divorato in un solo attimo l’intera trilogia sequel. Un personaggio diventato iconico nello stesso momento in cui è apparso. Merito di una serie tv che ha capito due cose fondamentali. La prima: ci ha ricordato che Star Wars non è solo fantascienza, solo fantasy o soltanto una grande soap opera interstellare, ma un contenitore di generi. Tra questi c’è anche il western, ed è su questo immaginario che The Mandalorian ha seminato il suo successo. Forte di un protagonista carismatico, la serie di Jon Favreau ha pochi fronzoli e tanto cuore. The Mandalorian va subito al sodo, non ha tempo da perdere, ha una marea di spettatori a cui dare la caccia. Spettatori a cui sembra sussurrare: “Sì, lo sappiamo che siete pieni di serie tv. State tranquilli, vi daremo qualcosa di agile, asciutto, a presa rapida“. Lo fa con un piglio quasi videoludico: ogni episodio è una quest da risolvere. Una mini-avventura fatta di personaggi con cui parlare, oggetti da ritrovare o persone da salvare. Il tutto immerso in una perfetta miscela di polvere e fango, brutalità e innocenza. Con un’impalcatura da western puro (duelli, ricercati, assalti, imboscate, cavalcate e terre sconfinate), The Mandalorian ha riacceso l’amore per Star Wars cercando la sua indipendenza da Star Wars. Perché si è affidato a personaggi nuovi, lontani lontani dall’albero genealogico degli Skywalker. Lontano dalle radici per far crescere nuovi rami del mito. Questo ha fatto The Mandalorian.
Una serie che non ha ceduto al comodo richiamo della nostalgia, ma che ha trovato la sua strada, la sua dignità e la sua indipendenza nel pieno rispetto della tradizione strarwarsiana. Senza mai adagiarsi su quanto mostrato e detto sul grande schermo, Favreau ha fatto tesoro della mitologia di Star Wars per forgiare qualcosa di nuovo e rispettoso allo stesso tempo. Con la tv che di colpo sembrava l’habitat naturale della galassia immaginata da George Lucas. Uno show dal tocco magico degno di Re Mida. Talmente magico da aver salvato la faccia (o meglio, il casco) di The Book of Boba Fett, serie diventata accettabile soltanto quando si è trasformata in una specie di The Mandalorian 2.5. Insomma, dopo aver respirato western e giocato a uno splendido gioco di ruolo in cui abbiamo potenziato il nostro personaggio episodio dopo episodio, adesso sappiamo che tra le braccia di The Mandalorian, Star Wars è come Baby Yoda: al sicuro.
Colmare un vuoto
Nove anni dopo Episodio III. Dieci anni prima di Episodio IV. Questo l’intervallo temporale in cui sarà ambientata Obi Wan Kenobi. In mezzo un vuoto da colmare. Un abisso che non deve essere riempito dalla vita da vagabondo del mitico Obi Wan, ma dall’amore verso il primo Star Wars. Quello fatto di spade laser, conflitti familiari, mentori e allievi. Un amore che va riacceso, coltivato su un terreno bruciato. Se The Mandalorian ha saggiamente preso le distanze dai personaggi visti al cinema, Obi Wan Kenobi ci è dentro con tutti gli stivali pieni di sabbia di Tatooine. Questa volta non si può girare attorno al mito. Bisogna affrontarlo di petto, guardandolo in faccia sotto il casco di Darth Vader.
Sarà una sfida difficile. Una sfida per ora vinta soltanto dall’animazione, che con la splendida The Clone Wars ci ha alimentato la lore starwarsiana con grande amore. Eppure, basta guardarsi attorno per capire che la salvezza di Star Wars (ovvero la saga cinematografica pura per eccellenza, nata sul grande schermo senza romanzi o fumetti alle spalle) potrebbe passare ancora una volta da una serie tv. Merito dello star power di Ewan McGregor, di un personaggio affascinante che ha sempre avuto altro da dire e di quel respiro inquietante che ci farà sognare il grande schermo anche sul divano di casa. È un paradosso, lo sappiamo, ma i miti non fanno mai gli schizzinosi.
Quello di Star Wars sta semplicemente passando da un grande rito collettivo vissuto in sala a una bella storia raccontata davanti al fuoco di casa nostra.
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