Interno, notte. È molto tardi, i bambini sono andati a dormire da poco. E, man mano che crescono, vanno a dormire sempre più tardi. Il vostro recensore si appresta a visionare gli screener di Stranger Things 4, pensando che riuscirà comunque a vedersi due o tre episodi in una sessione sola. Prima sorpresa: un episodio di Stranger Things 4 dura 80 minuti. Ottanta minuti. E non si tratta di un pilota. Gli episodi della quarta stagione sono tutti così. Il gran finale del volume 1, l’episodio 7, tocca i 100 minuti, un’ora e quaranta. Le cose non migliorano all’annuncio del Volume 2, con gli ultimi due episodi di stagione: l’episodio 8 avrà una durata di 1 ora e 25 minuti, mentre l’episodio 9 durerà 2 ore e 20 minuti, “per un epico finale di stagione di quasi 4 ore”. Parliamo ormai di durate che sono quelle di un film, e non quelle di un episodio di una serie tv.
Certo, per tre anni abbiamo affermato tutti a gran voce quanto ci mancasse Stranger Things, quanto ne volessimo tanto, e di più. I Duffer Brothers, i creatori della serie Netflix, evidentemente ci hanno sentito e ci hanno preso in parola. La sorpresa è stata la stessa quando ci siamo trovati di fronte a La casa di Carta: Corea, remake di una famosa serie spagnola che aveva fatto della concisione dei suoi episodi (40 minuti l’uno) il suo marchio di fabbrica. Gli episodi della serie coreana durano 80 minuti. È allora il caso di chiedersi che cosa siano diventate oggi le serie tv: sono ancora serie o sono un’antologia, una saga fatta da tanti film?
La gradevolezza è anche nel formato
Il problema non è di quelli oziosi. Andando ad analizzare le ragioni del successo delle serie televisive in quella che è definita da qualche anno la Golden Age della serialità, oltre che nelle ragioni artistiche e produttive, si è puntato spesso sul loro “formato”. Molti di noi spesso la sera non hanno due ore di tempo per vedersi un film, e allora guardare un episodio di una serie può permettere di gustarsi mezz’ora, un’ora, 40 minuti (a volte anche venti) della propria serie e rilassarsi senza sentirsi vincolati a stare per due ore davanti alla tv. La gradevolezza di certi prodotti, come ad esempio Cobra Kai, la serie che rilegge il mito di Karate Kid, è anche nel suo formato: 30 minuti a episodio. In questo modo la scelta sta a te: puoi vedere una puntata, due o tre, a seconda che tu abbia mezz’ora, un’ora o un’ora mezza. Puoi fare binge-watching, o dosarti le puntate. È come una torta già divisa in piccole fette; puoi scegliere tu quante mangiarne.
Non abbiamo citato La casa di carta a caso: la prima versione della serie, pensata per una rete televisiva generalista spagnola, prima di approdare su Netflix è andata al montaggio e, su consiglio del distributore, è stata riconfezionata in più agili episodi da 40 minuti, più adatti alla fruizione su Netflix. Per questo fa un certo effetto vedere che, proprio l’antesignano dei servizi in streaming, oggi proponga formati più lunghi per gli episodi delle proprie serie.
Le serie ci chiedono di più: più attenzione, più tempo
L’agilità e la freschezza dei formati degli episodi da 30-40 minuti, tra l’altro, ha cominciato a diffondersi ed essere apprezzata proprio mentre il cinema, quello dei blockbuster, dei cinecomic e del cinema d’azione, ma anche di alcuni film d’autore, andava decisamente in un’altra direzione: è ormai norma che i film importanti sforino le due ore, raggiungano le due ore e mezza, arrivando quasi alle tre. Prodotti come Spider-Man: No Way Home, il definitivo No Time To Die, che ha chiuso l’era Craig come 007, il recente Elvis, in questi giorni nelle nostre sale, ci dimostrano come per seguire i grandi film serva soprattutto molto tempo.
Per questo le serie tv sembravano davvero essere un’alternativa al cinema, non solo per quanto riguarda il mezzo (lo schermo privato, smart tv, tablet, pc, smartphone, invece dello schermo condiviso, quello della sala cinematografica), ma anche per il tempo e l’attenzione da dedicare a un prodotto. Ora, anche le serie tv, dopo averci conquistato promettendoci relazioni più “veloci” in questi anni, sembrano chiederci di più: più attenzione, più tempo. Le serie sono diventate grandi, e come tali pretendono di essere trattate.
Quelle storie divise in volumi
Parallelamente a questo ingrandirsi della durata degli episodi, sta nascendo la tendenza sempre più a dividere le stagioni in “volumi”. Anche questo, come la lunga durata, finora era appannaggio del cinema, e nasceva dal bisogno degli autori di fare grandi film, e delle sale di mantenere un formato fruibile al pubblico, il più vicino possibile alle due ore. Anche qui, in fondo, era un problema di durata e di cose da dire. Così abbiamo accettato di aspettare la conclusione della storia della Sposa attendendo mesi tra Kill Bill – Vol. 1 e Kill Bill – Vol. 2 di Quentin Tarantino, o tra Loro 1 e Loro 2 di Paolo Sorrentino. Per non parlare delle saghe tutte pianificate in trilogie, o in sette/otto capitoli.
Con la serialità, però, finora, era stato diverso: siamo stati abituati a scegliere, a gestire noi l’attesa. Dopo che per anni abbiamo detto che non potevamo aspettare una settimana tra un episodio e l’altro delle serie, cosa che abbiamo sempre fatto fin da bambini, fin dai tempi di Dallas, quando ancora si chiamavano telefilm, con l’arrivo di Netflix e Prime Video ci siamo ritrovati ad avere tutta la stagione disponibile subito, e a decidere noi come e quando guardarla. Per poi capire, con Disney+, che forse l’episodio settimanale ci piaceva di più. Ma la via di mezzo no: o tutto subito, o sapientemente dosato. Ci sembra ancora un po’ strano trovare una stagione divisa in Volume 1 e Volume 2, e dover aspettare alcune settimane tra l’inizio e la fine di una stagione.
Se la visione settimanale è centellinata dal distributore, iniziare uno show e fermarsi sul più bello ci lascia un po’ perplessi. Quello che può succedere – nella nostra vita privata ma anche in quella televisiva, vedi l’arrivo di altri prodotti – tra il Volume 1 e il Volume 2 non si sa. Così, se abbiamo aspettato tranquillamente la seconda parte de La casa di carta tra settembre e dicembre dello scorso anno, e in fondo siamo ancora sull’attenti in vista del Volume 2 della stagione 4 di Stranger Things, abbiamo trovato straniante l’attesa tra il Volume 1 e il Volume 2, tra i primi 5 e i restanti 5 episodi di Bang Bang Baby. Certo, sarà una sensazione nostra, ma tornati a rivivere le vicende di Alice Barone dopo alcune settimane ci ha lasciati un po’ perplessi, come se nel frattempo fossimo usciti un po’ dalla storia. Forse perché nel frattempo eravamo entrati in quella di Stranger Things…
Le serie diventano film e i film diventano serie
Nel frattempo, il mondo dell’audiovisivo è in continua evoluzione, cinema e serialità non sono più così divisi e si passano continuamente il testimone, al punto che la scelta della fruizione sta proprio a noi. Se Top Gun, Jurassic World o Elvis vanno visti esclusivamente al cinema, e Cobra Kai è un puro prodotto seriale televisivo, ci sono altre opere che stanno al limite. Prendiamo Esterno notte di Marco Bellocchio. Due anni fa ci è stata presentata come la prima serie televisiva del Maestro, un evento in sei puntate che avrebbe nobilitato l’offerta televisiva della Rai. Presentato al Festival di Cannes, abbiamo visto che funziona a meraviglia, e acquista un altro significato, anche vedendolo come un lungo, meraviglioso film in due parti, o tutto insieme: quasi cinque ore che non pesano. In autunno lo vedremo in tv, in più serate (che forse accorperanno più di un episodio) e funzionerà lo stesso. La scelta sta sempre più a noi.
Non si può interrompere un’emozione
Tornando alle serie dagli episodi sempre più lunghi, allora, c’è chi parla di sequestro di persona. Se questo è vero per film che ci tengono al cinema per quasi tre ore, per le serie televisive è leggermente diverso. È vero che, come abbiamo detto più volte, la scelta sta a noi: mentre con la tv lineare se volevamo interrompere la visione di una serie o di un film ci perdevamo il finale, con i servizi di streaming abbiamo sempre un telecomando che ci dà la possibilità di scelta. E allora nessuno ci vieta di crearci da soli il nostro ritmo di visione, di creare il montaggio delle nostre serie preferite. Abbiamo la possibilità di premere il tasto pausa. Al nostro ritorno, troveremo la nostra storia e i nostri personaggi dove li abbiamo lasciati. Certo, se un episodio ha una sua durata è perché ha un arco narrativo che è pensato per essa. Allora ci viene in mente una vecchia campagna pubblicitaria che diceva “Non si può interrompere un’emozione”. Allora si parlava delle tivù commerciali, e della pubblicità che interrompeva i film. Questa frase, oggi, ha tutto un altro significato. Mentre stiamo guardando la nostra serie preferita, si può interrompere un’emozione? A voi la risposta.
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