Sembrava sparito, rarefatto, nascosto a dovere tra le locandine del catalogo, timoroso di uscire.
Sembrava sempre più centellinato, sacrificato sull’altare del successo rapido e collettivo. Siamo sinceri e diciamolo anche un po’ brutalmente: sembrava perduto.
Stiamo parlando del coraggio dei prodotti targati Netflix, elemento che aveva caratterizzato molte delle prime produzioni della piattaforma streaming, distinguendola immediatamente nei confronti della concorrenza. Un elemento, però, che nel corso degli anni sembrava essere venuto meno. Forse per quella costante ricerca del prodotto perfetto, che potesse accontentare il gusto e il piacere di milioni di abbonati di diverse culture e nazionalità. Forse per una cieca fiducia nei calcoli matematici, capaci di racchiudere in numeri e razionalità il mondo del piacere e delle emozioni.
Nel corso degli anni Netflix ha cercato di raggiungere una pentola d’oro, costruendosi l’arcobaleno da sé. Salvo rimanere scottata dall’incresciosa e scontata verità: un arcobaleno si può osservare, ma non percorrere.
Il desiderio inappagato, il coraggio intrappolato.
Un sogno, prigioniero di sé stesso, ha bisogno di liberarsi.
Quello che accadrà alla fine del primo episodio di The Sandman (qui potete leggere la nostra recensione), la nuova serie originale Netflix basata sul fumetto di Neil Gaiman, che con la liberazione di Morfeo dalla sua prigionia indotta dal mago Roderick Burgess, riporta quel coraggio e quella qualità audiovisiva che alla piattaforma streaming mancava da tempo.
Il vecchio regno dei sogni
Quasi dieci anni fa, in quello che sembra davvero un lontano 2013, Netflix rivoluzionava per sempre la storia della televisione e della serialità, proponendo il suo primo prodotto originale. Quella serie era House of Cards – Gli intrighi del potere, vantava un cast di attori notissimi quali Kevin Spacey e Robin Wright, era prodotta e diretta (per alcuni episodi) dal regista David Fincher. Una dimostrazione di forza che avrebbe caratterizzato la qualità cinematografica di Netflix per i prodotti segnati con la rossa e gigante N stampata sopra la locandina.
House of Cards era solo l’inizio di un insieme di serie e film che scardinavano ancora più che in passato i confini tra televisione e cinema prima e quelli tra generi dopo. Sono gli anni in cui Netflix diventa Netflix. Alla qualità cinematografica della serie di David Fincher (che poi ci riproverà, con meno successo, con Mindhunter) si accostano commedie satiriche come Orange Is The New Black, la folle The OA, la spettacolare Sense8 diretta dalle sorelle Wachowski, o film come Beasts of No Nation di Cary Fukunaga (futuro regista dell’ultimo James Bond) e, soprattutto, le serie Marvel per adulti di enorme successo come Daredevil. Persino la scelta, furba ma senza precedenti, di proseguire serie cancellate da altri canali broadcast della tv lineare, donando loro naturale conclusione, era sinonimo di un modo di concepire la tv diverso da tutti gli altri competitor.
Intrappolati nel rituale
Al di qua dello schermo, il pubblico si interessava a questo nuovo metodo di televisione non lineare con curiosità ed entusiasmo, e se questo velocissimo e non dettagliato racconto sembra regalare un dolceamaro sapore nostalgico è sintomatico di quanto quella novità oggi sia un’abitudine quasi scontata.
Non usiamo questo termine in maniera casuale: la straordinarietà ha lasciato il posto alla quotidianità, la sorpresa alla consuetudine, la curiosità all’abitudine. Nel frattempo, la grande N rossa ha ridotto, col tempo, i titoli più sperimentali, inseguendo sempre più una formula segreta capace di trattare il pubblico con accondiscendenza, anziché spronarlo e stimolarlo.
Accendere Netflix è diventato un rituale capace di imprigionare i sogni. L’abito sartoriale ha lasciato il posto, nella maggior parte dei casi, a una tuta da discount. Sia chiaro: i titoli più autoriali non sono mancati in questi anni (anche perché Netflix desidera farsi riconoscere soprattutto durante l’Awards Season) così come le serie di successo che hanno e continuano ad appassionare milioni di spettatori nel mondo (è il caso di Stranger Things, Squid Game o Bridgerton, giusto per fare qualche esempio), ma è indubbio che il forte periodo di sperimentazione iniziale, dove oltretutto le serie non venivano quasi mai cancellate, sia stato inglobato in un sistema produttivo e distributivo più canonico, appartenente a quel mondo televisivo che la stessa Netflix aveva contribuito a invecchiare.
E così ora Netflix non solo sembra aver intrappolato i suoi prodotti in una gabbia tutt’altro che magica, ma ha costretto gli spettatori a partecipare costantemente a questo rituale in cui si rispetta e ci si inginocchia di fronte all’altare dell’algoritmo.
Il rumore delle ali
Ha un che di poetico ritrovare quella qualità perduta della “vecchia Netflix” in una serie che inizia proprio con la cattura del Re dei Sogni e della sua successiva liberazione. Nel corso dei sette episodi successivi, The Sandman rifugge dalle regole del canone che la stessa piattaforma aveva consolidato per donare una storia non catalogabile in un genere. Perché sì, potremmo dire che The Sandman è una serie fantasy, ma è molto di più. È un viaggio onirico sull’umanità e sulle loro imperfezioni; è una serie corale in cui viene rappresentato il potere magnetico delle storie e il piacere dei racconti; è un testo che racchiude l’avventura e il mito con l’intrattenimento e la poesia. È qualcosa di originale, nel senso più puro del termine. E come tale fa paura, perché inaspettato. Perché imprevedibile.
Siamo un pubblico abituato a fruire e giudicare le opere attraverso le aspettative e ad assistere a nuovi racconti che in realtà sono storie già narrate centinaia di volte. Con poca voglia di venire sorpresi, pronti a criticare tutto ciò che non sappiamo definire sin da subito. Siamo un pubblico vinto dall’algoritmo che forse, però, proprio in quest’eccessivo cinismo nasconde il proprio malcontento per storie tutte uguali, senza coraggio, senza freschezza. Finalmente una serie che sembra comprenderci. Finalmente qualcosa che scardina le gabbie. The Sandman riporta Netflix alla qualità dei suoi esordi, quando era davvero un’alternativa. E che bello che questo coraggio ritrovato avvenga in una serie che parla di storie, di cambiamenti, di coralità, di magia.
Gli episodi sembrano pezzi di un mosaico in divenire, ammaliano ma richiedono allo spettatore un atto di fede, affinché possa credere agli eventi e negli dèi che vede rappresentati. Per questo è importante vedere una serie come The Sandman, perché – come nella migliore tradizione di Neil Gaiman – mai come in questo caso Morfeo può esistere solo se c’è qualcuno che crede in lui.
Vogliamo davvero essere vecchi egoisti disposti a tornare su calcoli pre-impostati (lamentandoci) e cancellare il piacere di questa magia? Abbiamo davvero bisogno di intrappolare di nuovo questo coraggio e questa forza narrativa che finalmente si sono liberati?
Come ci mostra la serie, nel sogno si possono compiere le cose più impossibili. Anche percorrere quel famoso arcobaleno e raggiungere la pentola d’oro. Con The Sandman Netflix si è finalmente liberata da un’autoimposta prigionia durata troppo tempo. Finalmente si può librare in aria, facendoci ascoltare il rumore delle sue ali.
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