Le profondità inesplorate nascondono segreti che ancora aspettano di esser scoperti, misteri che sino alla loro soluzione possono spingerci a immaginare scenari orrorifici, in cui l’uomo si trova a lottare con una natura ancestrale e inarrestabile. All’interno dello Universal Monster questo assioma ha dato vita a una delle creature più iconiche della storia del cinema, Gill-Man, il mostruoso protagonista de Il Mostro della Laguna Nera (Creature from the Black Lagoon).
Nato sul finire dell’ondata dei mostri Universal, Gill-Man è stato protagonista di tre film ravvicinati, capaci di lasciare un’impronta nell’immaginario collettivo, tanto da ispirare fumetti (avete presente Swamp Thing?) e il cinema seguente, sino a quel La Forma dell’Acqua di del Toro che tanto deve al mostro creato da Jack Arnold. E soprattutto, frutta allo squamoso essere un suo momento di gloria fumettistica con Il Mostro della Laguna Nera, terzo volume della saga Universal Monster di Skybound, che saldaPress sta pubblicando in Italia.
Dalle profondità

Ripensando alla prima apparizione di Gill-Man è difficile non trovare una sintonia con un altro cul cinematografico, King Kong. Per entrambe le creature, il contatto con il mondo moderno nasce dopo una ricerca scientifica che sonda i misteri del passato, la bellezza femminile attira il monstrum, e ne causa, in un certo senso, la caduta.
Il mostro anfibio, contrariamente al titanico primate, ha una dimensione meno spettacolare, rimane maggiormente legata all’affinità con il mondo naturale e viene arricchita dell’elemento della solitudine che spinge Gill-Man a innamorarsi della bella Kay Lawrence. Specialmente in questo primo capitolo della trilogia dedicata alla creatura, ne emerge una figura tragica, che reagisce con ferina violenza alla minaccia imposta dall’uomo moderno che vede in questo fossile vivente solo un ‘qualcosa’ da studiare.
Questa sua natura diventa la scintilla vitale della visione con cui Ram V e Dan Watters incorniciano la loro storia, non cercando una riscrittura del personaggio, quanto dandogli una diversa connotazione, preferendo un racconto sequel al primo incontro tra l’uomo e Gill-Man.
Morte in Amazzonia

Tre decenni dopo gli eventi de Il mostro della Laguna Nera, la tenace giornalista Kate Marsden è sulle tracce di un pericoloso serial killer, Darwin Collier. L’ossessione della report la porta sin nel cuore dell’Amazzonia, dove il criminale è diventato uomo di fiducia di un boss locale, di cui diventa sicario e capo di un piccolo esercito di scagnozzi.
Ad attirare l’attenzione di Kate è una serie di strane, violente morti che stanno insanguinando il Rio delle Amazzoni. Mentre i locali, specie gli indigeni, credono che questi eventi siano legati alla presenza di una misteriosa creatura, la giornalista continua a cercare prove che le colleghino a Collier, non esitando ad avventurarsi nella foresta, accompagnata dallo scienziato Edwin Thompson, convinto invece che questa sequenza mortale sia causata da un esser ritenuto scomparso anni prima.
E se tutti avessero ragione, ma la verità fosse ben più letale?
La nuova vita del Mostro

Il Mostro della Laguna Nera si discosta, come anticipato, dalla tendenza alla riscrittura dell’originale cinematografico visto in Dracula e Frankenstein. Ram V e Watters preferiscono attualizzare l’orrore, della pellicola del 1954 a una narrazione contemporanea, intrecciando i generi e, in un certo senso, privando Gill-Man della sua pericolosità.
Il focus è spostato interamente su Kate, sulla sua personalità spigolosa e il suo passato tragico, che diventa elemento essenziale nel suo modo di relazionarsi alla creatura. L’acqua è elemento essenziale del racconto, ambiente naturale della creatura e sapientemente reso luogo ostile per i protagonisti, trasmettendo la letalità tramite l’esperienza traumatica della giornalista.
Questa reinterpretazione di Gill-Man non vuole vedere il mostro come protagonista, bensì come giudice di un’umanità che sembra scender sin troppo facilmente nella propria bestialità. Più thriller psicologico che horror, in cui la caccia all’uomo di Kate lascia emergere un’umanità spezzata e violenta, ben oltre il vivere selvaggio che si può associare al mostro, che invece osserva come questi esseri di superficie siano distruttori di vite.
L’essenza del monstrum

Dall’acqua siamo nati e nell’acqua del Rio delle Amazzoni rinascono tutti i personaggi. Qualcuno riemerge completamente folle, stregato a tal punto dall’interpretazione ferale di Gill-Man da volerne diventare emulo innestandosi parti della creatura, altri muoiono ingiustamente nel momento in cui comprendono la propria umanità, accettando la meravigliosa natura del monstrum e smettendo di vedere il mostro, dopo anni di ossessiva ricerca per attuare una vendetta.
Watters e Ram V osano mettendo il mostro anfibio in secondo piano, presente ma mai davvero protagonista. Eppure, con questa mossa lo rendono essenziale, ci ricordano come questo essere sia un giudice silenzioso dell’uomo, una creatura pura nella sua natura selvaggia che non comprende la violenza umana, animata da oscurità dell’anima.
Come ricorda Ram V nella sua postfazione, parlando dell’essenza di Gill-Man:
“Una singolarità narrativa in cui riversiamo innumerevoli ambizioni, rimpianti e desideri umani, nella speranza di vederli riflessi, di vedere i nostri affanni testimoniati e riconosciuti, la nostra tenebra temuta. La storia del mostro non è mai stata la storia della paura dell’ignoto. È sempre stata la storia della paura di noi stessi.”
Viaggio nell’oscurità umana

Un racconto graffiante, spietato nei confronti dell’uomo che viene interpretato da Matthew Roberts. Discostandosi dai colleghi che hanno lavorato sui precedenti volumi della collana, Roberts sceglie la dinamicità, abbandonando uno stile che richiami all’iconografia cinematografica in nome di una vitalità più congeniale al medium fumettistico.
L’Amazzonia ci appare viva e soffocante, perfetta come scenario di una storia in cui l’istinto predatorio umano posso mostrarsi nella sua voracità, ma al contempo cornice silenziosa di momenti di grande pathos, in cui Roberts ritrae l’oscurità dell’animo umano. Sempre supportato da una magnifico Dave Stewart, che trova la perfetta identità cromatica per la storia, con particolare attenzione alla resa dell’acqua, melmosa e in perenne, lento movimento.
Il Mostro della Laguna Nera non si limita a presentare a un nuovo pubblico uno dei cult del ciclo dei mostri Universal, ma ne interpreta al meglio l’essenza, sottraendolo al facile gioco di mostro da cui difendersi.
Sotto la curatela di Ram V e Watters, Gill-Man non è più creatura mostruosa ma testimone silenzioso di un’umanità violenta, incapace di andare oltre l’oscurità del proprio animo e ostinata a seguire le proprie pulsioni più sanguinose. Un mondo da cui allontanarsi, da dimenticare, tornando silenziosamente nella solitudine pacata delle profondità.
Conclusioni
Sotto la curatela di Ram V e Watters, Gill-Man non è più creatura mostruosa ma testimone silenzioso di un’umanità violenta, incapace di andare oltre l’oscurità del proprio animo e ostinata a seguire le proprie pulsioni più sanguinose. Un mondo da cui allontanarsi, da dimenticare, tornando silenziosamente nella solitudine pacata delle profondità.
Pro
- Storia appassionante
- Il Mostro viene rispettato nella sua essenza
Contro
- Passaggi narrativi a volte troppo rapidi