C’è un certo tipo di arte che non si lascia catturare da una sola visione, che non si svela mai completamente, neppure dopo innumerevoli analisi o meticolose dissezioni. Tenshi no Tamago (qui da noi Angel’s Egg, L’Uovo dell’Angelo), capolavoro del 1985 diretto da Mamoru Oshii in collaborazione con il maestro Yoshitaka Amano, fa parte proprio di questa categoria: un’opera d’arte inafferrabile, criptica, silenziosa, profondamente mistica eppure visceralmente concreta. Si presenta allo spettatore come una visione, un enigma che pulsa di significati impossibili da afferrare razionalmente. E soprattutto, non intende mai offrire risposte.

In questi giorni, a Cannes, decine e decine di cineasti stanno vivendo un’esperienza fuori dal mondo, godendo della visione rimasterizzata di Tenshi no Tamago. Esperienza che ci auguriamo di poter vivere anche noi comuni mortali, impossibilitati a raggiungere il Festival. Nel frattempo, eccovi una riflessione – e non analisi – su uno dei capolavori più incompresi del cinema nipponico.

L’arte si vive, si sente, si subisce

Tenshi no Tamago, ©Studio Deen © Tokuma Shoten
Tenshi no Tamago, ©Studio Deen © Tokuma Shoten

Partiamo da un presupposto sacrosanto: l’opera di Oshii non nasce quale pellicola esplicativa. Guardare Tenshi no Tamago significa abbandonare ogni pretesa di comprenderne un vero e proprio senso. Fin dal primo fotogramma, il film dichiara con forza la sua natura arcana. È un’opera che non si presta a una lettura lineare: ogni simbolo, ogni gesto, ogni dialogo – quando presente – somiglia più a un messaggio cifrato. Il silenzio stesso, elemento onnipresente nella narrazione, non è mera assenza di parole, ma lascia spazio allo spettatore che viene invitato ad ascoltarsi, a scrutare il proprio animo. Come una pausa dal caos nostrano. Come davanti a un dipinto di Magritte. Oshii e Amano non forniscono alla trama dell’opera una morale o una spiegazione dei fatti. E forse perché l’arte non è una questione di logica, ma di esperienza. Si vive. Si sente. Si subisce.

E proprio come una grande opera d’arte, il film non può essere sezionato in cerca di un fantomatico senso. Anche analizzando ogni singolo frammento, ogni allusione simbolica, si resta comunque senza una chiave definitiva. L’anima di Angel’s Egg vaga libera, inafferrabile, ai margini di un mondo ormai svuotato di divinità, fede e certezza. Un mondo dove non ci sono demoni, né santi, ma solo rovine e un senso di devastazione che va al di là di ogni pragmatismo.

Lo Sapevi?

Prima di realizzare Tenshi no Tamago, Mamoru Oshii aveva perso la sua fede nel Cristianesimo: il film riflette una profonda disperazione esistenziale, causata proprio dal crollo della fede.

Un mondo senza regole, una narrazione liquida

Tenshi no Tamago, ©Studio Deen © Tokuma Shoten
Tenshi no Tamago, ©Studio Deen © Tokuma Shoten

Il film serpeggia lentamente, fluisce in un territorio inclassificabile, sospeso a metà tra racconto mitologico e riflessione psicologica. Non esiste una trama orizzontale in senso convenzionale: Tenshi no Tamago è un fluire continuo, un caos liquido in cui si è trascinati tra rovine, oceani immobili e creature oniriche. Ogni scena è sospesa nel tempo, ma lo spettatore non è guidato da un ritmo narrativo consequenziale. Veniamo catapultati da un’immagine all’altra, in un montaggio che somiglia più a un flusso di coscienza alla Joyce che a una logica di trama.

Il segno di Yoshitaka Amano contribuisce in modo determinante a questa sensazione di instabilità e mistero. I suoi personaggi, quasi evanescenti, semplici, sono costantemente immersi in architetture dettagliate e fondali claustrofobici, che sembrano soffocarli più che accoglierli. È un contrasto che amplifica l’alienazione dello spettatore: figure delicate che si muovono in scenari opprimenti, come intrappolate in un incubo paralizzante.

Lo Sapevi?

L’opera riprende elementi sviluppati per un film mai realizzato di Lupin III (poi La leggenda dell’oro di Babilonia), dove era già presente una ragazza misteriosa. L’idea dell’uovo angelico proviene dal fossile di un angelo pensato per il medesimo progetto.

Esistiamo davvero, o siamo solo un ricordo?

Tenshi no Tamago, ©Studio Deen © Tokuma Shoten
Tenshi no Tamago, ©Studio Deen © Tokuma Shoten

Una bambina dai capelli bianchi è custode silenziosa di un misterioso uovo. Lo culla con solennità, portandolo con sé, come se fosse il contenitore del segreto stesso dell’universo. Intorno a lei, un mondo allo sbando, fossilizzato in un tempo che non scorre più. Le rovine sono gli unici abitanti della città, vestigia di una civiltà che ha perso la speranza e – forse – anche la propria anima.

L’incontro con un uomo – un soldato con una enigmatica croce – spezza la solitudine della bambina e l’incantesimo oscuro che la avvolge. Tuttavia, l’incontro non risolve i dubbi dello spettatore, un’impressione data anche dalla mancanza di dialoghi veri e propri tra i due. Rari, scarni, eppure carichi di simbolismo, parabole dell’innocenza: perché la bambina protegge l’uovo?

Ed è qui che avviene il miracolo di Oshii. Il regista, attraverso il rapporto tra i due protagonisti, mostra al pubblico il confronto tra fede e razionalità. L’uomo che vuole distruggere, la bambina che intende conservare. In questo mondo senza speranza, dove Dio sembra essersi ritirato, resta solo il fantasma della religione. Gli angeli, e colombe e le croci di Tenshi no Tamago vengono spogliati dei simbolismi cristiani, eppure il film analizza limiti, dogmi e imposizioni della fede nostrana. Tuttavia, come già accennato, non troverete nel capolavoro di Oshii spiegazioni e chiarificazioni: il significante spesso prevale sul significato, disse Tavassi.
E questo forse perché non c’è legge nell’arte, e non c’è dogma che tenga.

Speranza e illusione

Tenshi no Tamago, ©Studio Deen © Tokuma Shoten
Tenshi no Tamago, ©Studio Deen © Tokuma Shoten

Come il centro di ogni cosa, il mistero dietro l’uovo che custodisce la bambina è deus ex machina della narrazione. Enigmatico, come per la leggenda del Castel dell’Ovo, nessuno sa davvero cosa o quale sia la funzione: è tutto? Oppure è niente?

Simbolo cardine di nascita e fecondità, l’uovo di Tenshi no Tamago ci è parso prova e simbolo della fede cieca e veicolante. La bambina non sa e non le interessa sapere, lei intende proteggere l’uovo ad ogni costo. Di contro, affianco a lei vi è un semplice essere umano, curioso per natura: il giovane è divorato dal desiderio di conoscenza, come un Ulisse d’altri tempi o un San Tommaso gotico. Non crede se non vede, e se non vede deve a tutti i costi sapere. I due protagonisti sono specchio degli spettatori: c’è chi ha fede e crede in qualcosa pur non avendo alcuna prova dell’esistenza, e c’è chi – invece – si dimena, anela la conoscenza. Tuttavia, tale rivelazione non arriverà mai.

Ed eccolo lì, il seme dell’insuccesso commerciale di un film alieno, incompreso. Un capolavoro muto immerso in un oceano di opere parlanti. Perché Tenshi no Tamago non può essere inserito in alcuna categoria: non è un fantasy, né un horror, né tantomeno uno slice of life, non è comprensibile e non vuole esserlo. Lo spettatore, per apprezzarlo, deve necessariamente spogliarsi del suo ruolo e lasciarsi fagocitare da una realtà atipica, scomoda. Pruriginosa. Ed è lì che il film di Oshii e Amano fa il suo oscuro incantesimo.

Raffinato e crudo: un viaggio sinistro nella sacralità

Tenshi no Tamago, ©Studio Deen © Tokuma Shoten
Tenshi no Tamago, ©Studio Deen © Tokuma Shoten

Le architetture gotico-oniriche, i panorami desolati e le creature fossilizzate: ogni inquadratura è un quadro impregnato di sacralità, scandito da una narrazione onirica. Ogni movimento è lento, meditato, come una processione. E per 71 minuti ogni figura è sospesa tra vita e morte, mentre il lettore tenta invano di trovare una parvenza di logica nelle immagini proiettate dinanzi ai suoi occhi.

Il comparto sonoro rafforza questa sospensione. Yoshihiro Kanno, autore della colonna sonora pregna di inquietudine, elabora silenzi profondi, rumori ambientali attenuati – come il fruscìo delle vesti – e musica rarefatta, non troppo commovente né troppo entusiasmante. Tutto è calibrato per creare una dimensione ipnotica. C’è solo un silenzio di nebbia, che costringe lo spettatore a confrontarsi con le sue paure più intime.

Le risposte risiedono dentro lo spettatore.

Tenshi no Tamago, ©Studio Deen © Tokuma Shoten
Tenshi no Tamago, ©Studio Deen © Tokuma Shoten

Tenshi no Tamago avvolge lo spettatore in un vortice inafferrabile, un tornado di emozioni che strizza l’occhio al II cerchio dantesco. Tuttavia, non ci si sente mai del tutto oppressi, né tantomeno liberi. Come il celebre Ghost in the Shell, anche Angel’s Egg risulta un’esperienza radicalmente sperimentale, così impattante che persino Oshii ha ammesso di non poterla definire con precisione. In parole povere, neanche il suo autore sa bene quale sia quel significato nascosto che lo spettatore tenta di comprendere da circa 40 anni.

Tutti pensano che per risolvere i propri dubbi basta chiedere al regista. Non sono d’accordo. Ritengo che le risposte risiedano dentro ogni spettatore.

Tuttavia, come abbiamo accennato, il film può essere analizzato solo in termini di emozioni ed esperienze. Pertanto, a nostro parere, il fascino della pellicola sta tutto qui: nella duplicità che inquieta e rasserena, complici le ambientazioni curate a mo’ di scorcio di un mondo antico e futuristico al tempo stesso. Protagonista della vicenda, poi, è un bambina schiava di un istinto di maternità ancestrale: si prende cura di un uovo, un atto che ricorda l’umana gestazione. Figlia e madre, come la Terra.

Forse, allora, la maniera più onesta per avvicinarsi a quest’opera e non sentirsi inadeguati nel non comprenderne gli innumerevoli significati che – secondo la critica – esisterebbero, è prenderla per ciò che è: un racconto, una riflessione, un quadro nostalgico di un passato mai vissuto e un futuro mai realizzato.
E nel nostro immaginario, quella bambina continua a camminare, tenendo stretto il suo uovo – forse vuoto, forse no – con la cura di un santo. Nel frattempo, comprendiamo di essere stati ingannati sin dall’inizio, esortati a cercare qualcosa che non esiste: il senso di ogni cosa. Proprio come ingannevole è l’immenso occhio che veglia su un mondo ormai destinato all’oblio.

Conserva dentro di te ciò che è prezioso, altrimenti lo perderai.

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Napoletana, classe 92, nerd before it was cool: da sempre, da prima che fosse socialmente accettato. Dopo il diploma al Liceo Classico, una breve ma significativa tappa all'Accademia di Belle Arti mi ha aperto gli occhi sul futuro: letteratura, arte e manga, compagni di una vita ed elementi salvifici. Iscritta a Lettere Moderne, ho studiato e lavorato per poi approdare su CPOP.IT e scoprire il dietro-le-quinte del mondo dell'editoria. Dal 2025 scrivo per LaTestata e mi sono unita al team di ScreenWorld in qualità di Capo Redattrice Anime e Manga: la chiusura di un cerchio e il coronamento di un sogno.