C’è qualcosa di marcio, putrido, sotto la superficie fragile dell’adolescenza, e Chii-chan non ha paura di mostrare il suo lato peggiore. Planet Manga porta in Italia Chii-Chan di Shuzo Oshimi, maestro nell’esplorare l’inquietudine psicologica che ci consegna un’opera breve ma feroce, capace di insinuarsi sotto pelle e provocarci un forte ribrezzo. Proprio come un disgustoso insetto agli occhi di un entomofobo.
Un volume unico, intenso, coraggioso con cui il maestro affronta alcune delle tematiche più oscure dell’adolescenza e della psiche umana. Nato come prequel del film Doku Musume (Toxic Daughter), questo manga-breve risulta in grado di imporsi quale esperienza autonoma, travolgendo il lettore con i suoi personaggi ambigui e le riflessioni disturbanti. Ma non è una lettura per tutti: la brutalità emotiva e i contenuti espliciti impongono una forte consapevolezza da parte di chi si avvicina a quest’opera.
Chi è il vero mostro?

Yua e Kodai sono due normali studenti. Frequentano le lezioni, ridono, scherzano e giocano con i compagni, studiano per ricevere l’approvazione dei loro genitori. Ed è per questo che, un giorno, il giovane Kodai si offre volontario per aiutare Chii-chan, una loro compagna di classe emarginata e da tempo esclusa dalla vita scolastica (e sociale). Per farlo, chiede il supporto di Yua, un tempo amica d’infanzia di Chi-chan, ma le due si sono ormai allontanate. Il motivo?
Chii-chan, se continuo a stare assieme a te, finirò con l’essere bullizzata anch’io.
Kodai, spinto più dal desiderio di apparire come un “salvatore” che da reale empatia, propone a Yua di provare a reinserire Chii nel gruppo. Yua, innamorata di Kodai, accetta di aiutarlo e i due si dirigono a casa della giovane. Il tentativo sembra inizialmente portare ad un qualche tipo di risultato, ma ben presto i due dovranno aprire gli occhi dinanzi ad una realtà molto più drammatica di quanto pensassero. Oramai, l’ossessione di Chii per insetti morti e una serie di comportamenti devianti hanno tramutato la ragazzina in una figura inquietante, violenta. Durante la visita a casa della ragazzina, Kodai viene ferito in pieno volto da Chii-chan, armata di un paio di forbici, ma questo non lo fermerà dal tentare di portare a termine la sua missione.
Dopotutto, Chii non è davvero intenzionata a ferire Yua. Lei vorrebbe solo giocare, tornare all’infanzia, far dono alla giovane di splendidi insetti dal torace color smeraldo. E allora, chi è il vero mostro nella storia?
Le buone intenzioni

Nel groviglio inquieto delle emozioni adolescenziali, là dove la crudeltà convive con la fragilità, Shuzo Oshimi torna a esplorare territori che conosce profondamente: quelli della psiche spezzata.
Una delle riflessioni più interessanti dell’opera, difatti, riguarda l’ambiguità morale delle buone intenzioni dei personaggi. Esempio lampante di tale fare enigmatico è Kodai: egli appare – in superficie – un ragazzo altruista e premuroso. Ma basta poco, la parvenza di un fallimento, per svelare il suo narcisismo morale: egli vuole essere lodato, ammirato, ricompensato per la sua bontà apparente. Non è Chii-chan che vuole salvare, ma se stesso, vittima anch’egli, ma di genitori violenti e abusanti. Il desiderio di essere un eroe agli occhi altrui si trasforma in uno strumento di manipolazione, che coinvolge e travolge anche Yua.
Yua si tramuta, dunque, nella terza (e forse reale) vittima di questa storia: trascinata in una dinamica che non le appartiene, finisce per subire un abuso sessuale da parte di una persona di cui si fidava ciecamente. Questa scena, cruda e disturbante seppur non esplicita, segna uno dei punti più dolorosi e scioccanti del volume. Non è solo la violenza fisica a colpire, ma soprattutto l’isolamento emotivo in cui Yua precipita: è completamente sola nel suo dolore, non ne parla con nessuno, e finisce col darsi la colpa di tutto, arrivando a credere di meritarsi tutto quel dolore.
Io…me lo merito.
Chii-chan, l’indecifrabile

Ed è proprio in questo frangente che la figura di Chii-chan muta, si trasforma, come un bruco che diventa falena. La giovane non è stata concepita quale banale simbolo del male, né quale una vittima innocente. Lei è entrambe le cose. Cresciuta in un ambiente familiare trascurante, tra adulti che sembrano vivere in uno stato di stasi emotiva, Chii-chan ha imparato a difendersi solo attraverso la violenza o la repulsione. Il suo amore per gli insetti morti, lungi dall’essere una semplice stranezza, è una potente metafora: Chii-chan si riconosce in quegli esseri dimenticati, privi di valore, lasciati a decomporsi nella polvere dell’indifferenza.
Il lettore, dunque, si trova diviso: da una parte prova pietà per la condizione disperata della ragazza, dall’altra è turbato dalla sua instabilità, dalla sua aggressività, dal modo in cui sembra voler punire il mondo intero per la sua sofferenza. Ed è a quel punto che Oshimi ci chiede di guardarla senza giudicare, ma anche senza assolverla, poiché Chii-chan è un enigma. E come tale resta aperto all’interpretazione del lettore.
L’estetica dell’inquietudine

Dal punto di vista visivo, l’opera è dominata da un’atmosfera soffocante. Gli spazi sono angusti, le inquadrature strette, i volti deformati dalla tensione emotiva. I personaggi adulti, in particolare, sono raffigurati quali maschere statiche, caricature del disinteresse. In questo contrasto – tra l’intensità febbrile degli adolescenti e la glaciale apatia del mondo adulto – si gioca gran parte della potenza visiva del manga.
La narrazione si muove secondo un ritmo sospeso, ora lento e contemplativo, ora improvvisamente violento, culminando in esplosioni improvvise. Gli occhi parlano quanto i gesti, e i silenzi diventano veri e propri dispositivi narrativi. Si sente, forte, l’influenza del cinema d’autore giapponese più disturbante.
Un ritorno al formato breve

Dopo anni dedicati a serie di ampio respiro come Tracce di Sangue, Aku no hana o Bentornato, Alice, Shuzo Oshimi decide di tornare a un formato più concentrato e incisivo. Tuttavia, Chii-chan nasce da una collaborazione con il mondo del cinema, segnando una rara – ma riuscita – fusione tra manga e settima arte. Se da un lato questa natura “ibrida” dona all’opera una tensione cinematografica straordinaria, dall’altro ne determina anche il limite più grande: la mancanza di una conclusione soddisfacente per i lettori occidentali, non avendo il film ancora trovato distribuzione fuori dal Giappone.
Difatti, Chii-chan è concepito come prequel a un film che, almeno per ora, è inaccessibile al pubblico italiano. Questo rende la lettura incompleta. Molti interrogativi restano senza risposta: cosa rappresentano le croci disseminate nella casa di Chii? Chi sono davvero gli adulti che la circondano? E soprattutto: cosa accade dopo l’epilogo del manga?
La frustrazione è inevitabile e il lettore resta in bilico, spettatore di una storia che si interrompe proprio sul più bello. Tuttavia, la maestria di Oshimi sta anche in questo: costruire personaggi interessanti e affrontare tematiche profonde in poco meno di un volume.
Il ruolo degli insetti nella cultura giapponese

Com’è che i giapponesi sono così attratti dagli insetti?
Manga, anime e film: spesso, nel bel mezzo dell’opera, ci siamo ritrovati a dover avere a che fare con la nostra entomofobia. Bambini che rincorrono felici creaturine con decine di zampe, adolescenti provvisti di retini appositi, adulti che raccolgono giganteschi scarabei a mani nude.
Ebbene, nella cultura nipponica gli insetti hanno ricoperto un ruolo importante sia sul piano estetico che simbolico e allegorico, artistico e folkloristico. Secondo Kenta Takada, collezionista di coleotteri e autore, l’apprezzamento giapponese per gli insetti ha radici nella religione shintoista (animista). Lo shintoismo, difatti, vede ogni essere vivente come sacro, e ciò ha favorito un’antica sensibilità verso il mondo naturale. Anche il concetto di mono no aware – la consapevolezza della transitorietà delle cose – è fondamentale per comprendere l’atteggiamento giapponese verso creature effimere come cicale e lucciole.
Già nel VII secolo, il Santuario di Tamamushi fu decorato con ali di coleottero, mentre nel XII secolo la fiaba intitolata La principessa che amava gli insetti raccontava di una dama di corte affascinata dai bruchi, sfidando le norme di bellezza del tempo. Lafcadio Hearn notò come la letteratura nipponica celebrasse frequentemente insetti come grilli, cicale e libellule, riconoscendone valore poetico e spirituale.
Difatti, gli insetti sono profondamente radicati nell’immaginario giapponese: le lucciole, ad esempio, sono un kigo (parola stagionale) ricorrente nella poesia haiku, mentre cicale e grilli sono simboli della transitorietà del tempo. Oltretutto, ricordate Heracross nei Pokémon o Kabuterimon nei Digimon? Ebbene, moltissimi personaggi derivano da veri coleotteri. Ad esempio Mothra, la celebre falena gigante, è un’icona del cinema kaijū.
Vien da sé che l’allevamento di coleotteri sia un passatempo amatissimo dai bambini, che li tengono come animali domestici o li fanno – addirittura – gareggiare tra loro. Il kabutomushi, il coleottero rinoceronte giapponese, è talmente popolare da essere venduto anche nei supermercati. Alcuni esemplari esotici raggiungono prezzi altissimi, ma il crescente mercato ha favorito il traffico illegale e solleva interrogativi etici, specie nei tornei di “lotta tra insetti”.
Infine, l’entomofagia – il consumo di insetti – è storicamente diffusa in aree montane come Gifu e Nagano, dove carne e pesce scarseggiavano. Cavallette (inago) e larve di vespa (hachinoko) erano parte integrante di piatti tradizionali e oggi stanno tornando in auge come alimenti sostenibili, protagonisti di festival e venduti perfino nei distributori automatici.
Un’opera per lettori consapevoli

Chii-chan non è un manga “per tutti”. È un’opera che chiede coraggio emotivo, lucidità morale, disponibilità ad affrontare temi come emarginazione, abuso, ipocrisia sociale, devianza e dolore psichico senza veli né edulcorazioni. È, in fondo, un racconto sul fallimento: del sistema scolastico, della famiglia, dell’empatia come valore autentico. Ma è anche una testimonianza potente della capacità narrativa di Oshimi, della sua arte nel raccontare l’ambivalenza, nel mostrare l’orrore senza compiacersene, nel tratteggiare personaggi che sfuggono a ogni semplificazione.
Un’esperienza intensa e necessaria, capace di insinuarsi nella mente e nel cuore del lettore come un insetto sotto pelle, che non si riesce a ignorare. Un’opera che lascia il lettore in un turbinio di emozioni, attanagliato da decine di domande, tra cui
Chi è il vero mostro di questa storia?
Conclusioni
Un manga breve ma devastante, che esplora con brutalità e delicatezza temi come emarginazione, trauma e narcisismo morale. È una riflessione sull’apatia adulta e sulla solitudine giovanile, priva di redenzione o consolazione. Il racconto, seppur incompleto per la mancanza del film collegato, lascia un segno profondo grazie alla potenza visiva e alla densità emotiva. Non è una lettura per tutti: richiede consapevolezza, forza e disponibilità ad affrontare la sofferenza. Ma per chi accetta il viaggio, Chii-chan si rivela un’opera disturbante e necessaria, capace di scavare a fondo nell’animo umano. Imperfetta, sì. Ma indimenticabile.
The Good
- Tratta tematiche disturbanti, senza cadere nella semplificazione
- Stile di disegno di Oshimi
- Breve ma intenso
The Bad
- Incompleto
-
Voto ScreenWorld