Analizzare il cinema di Woody Allen, film dopo film, è diventato un lavoro sempre più complesso. A chiedere il suo parere, quest’ometto di ottantotto anni direbbe che ha sprecato un’intera carriera senza mai avvicinarsi a grandi maestri come Kurosawa, Fellini o Truffaut. Eppure, tra i suoi deliri e le sue paranoie, il regista newyorkese ha segnato la storia del cinema con delle pellicole che hanno cambiato il modo di intendere la commedia, rivoluzionando l’approccio creativo alla sceneggiatura nel passaggio verso il post-modernismo. Le sue opere hanno vinto Premi Oscar, sono state inserite fra le migliori pellicole statunitensi di tutti i tempi e gli hanno permesso di conquistare premi alla carriera anche in Europa, dal Leone d’oro all’Orso d’Oro.
Per stile, tecnica e dedizione, Allen è ancora oggi servo fedele della propria arte: nonostante anni particolarmente turbolenti, segnati da problematiche e polemiche che lo hanno costretto ad allontanarsi dalla sua amata New York, il regista americano ha raggiunto il traguardo dei cinquanta film con Colpo di Fortuna, che abbiamo visto a Venezia e che è arrivato nelle sale italiane in questi giorni. Un’operazione particolare, quella di quest’ultima opera: probabilmente si tratta della chiusura di un cerchio, nella speranza di vivere i suoi ultimi anni più serenamente; di certo, Coup de Chance è il suo primo film girato in lingua straniera (il francese, che lui stesso non parla), l’occasione ideale per ammirare nuovamente quei grandi guizzi smorzati dall’amarezza degli ultimi tempi.
Il fatto che Woody Allen sia riuscito a evitare con eleganza la decadenza, rimanendo mentalmente agile e brillante nel raccontare l’amore e la morte, suoi temi più cari, rimane per molti un mistero. Fra i primi autori a sdoganare l’inconscio al cinema, permettendo a un dialogo tipicamente comico di influenzare altri generi, il regista ha conquistato il mondo con uno stile senza tempo: ogni sua creazione è un costante raccontare e raccontarsi, in un gioco di rimandi tra mondo interiore e realtà esteriore che nella sua complessità ci ricorda quant’è affascinante essere umani.
Woody Allen chi?
Al netto delle considerazioni recenti, ci sono delle valide ragioni se critica e studiosi continuano ad analizzare con particolare attenzione la filmografia alleniana. Oltre al rango autoriale, Woody Allen può definirsi a tutti gli effetti uno degli intellettuali contemporanei più influenti, capace di schivare la critica e gli scettici rinnovando costantemente il proprio stile per trovare modi nuovi attraverso i quali esplorare le sfumature di un esistenzialismo in costante evoluzione. Questo perché, nella più ferrea tradizione dei grandi maestri, Allen non fa altro che raccontare se stesso. Basterebbe questa sola considerazione, spesso sottovalutata, a comprendere buona parte delle riflessioni presenti nelle sue opere, ribaltando il punto di vista oltre attori feticcio e semplici trame.
Tra libri, film, musica e teatro, il regista è riuscito nel delicato intento di non rimanere vittima passiva del tempo: al di là dei giudizi riguardo ai suoi film, lo sforzo profuso nel mantenersi impassibile ha reso l’opera di Allen una certezza in mezzo al caos, una zona di comfort in cui rifugiarsi nella speranza di ritrovare le stesse considerazioni di un vecchio amico un po’ esagerato, ma a cui in fondo si vuole un mondo di bene. Ora più che mai, però, è necessario allontanarsi dalle solite aspettative, invecchiate molto peggio del buon Woody. L’approccio che ha permesso ad Allen di entrare nella storia, quello stile confidenziale degli anni d’oro di Manhattan o Io & Annie, non è più lo stesso da molto tempo.
Ormai se ne sono accorti praticamente tutti: il cinema alleniano è cambiato profondamente, così come sono cambiati la realtà e il suo mondo interiore. Seguendo questa logica, l’uomo avrebbe preso il sopravvento sull’artista, trasformando i film in diari che, nella loro ciclicità, rappresenterebbero il destino dell’autore. Questo è uno dei motivi per cui, da qualche anno a questa parte, l’importanza del singolo film ha perso di valore anche per la critica – divisa tra chi, deluso dalla mancanza di certe ridondanze, snobba le recenti “opere minori” e chi si sforza invece di carpire il senso di collegamenti e transizioni da una pellicola all’altra. La filmografia del “nuovo” Woody Allen non è più solamente nevrotica per il semplice fatto che non può più permetterselo: il post-moderno puro è morto, e la turbolenta vita dell’autore si riflette sulle sue creazioni.
La cura per il post-moderno
L’evoluzione di un Allen profondamente influenzato (e probabilmente disilluso) dalle proprie aspettative sull’esistenza lo ha portato a porre sempre maggior attenzione sul cambiamento, evolvendo quindi l’ideologia di mosca bianca nel mondo post-moderno per elaborarne un suo personale superamento. In un percorso che è stato segnato da un successo dopo l’altro, tra analisi della psiche e visioni del mondo sempre più iconiche, l’importanza di rimarcare quel pessimismo senza Dio e senza morali nascoste è mutata insieme al suo autore. L’Allen moderno si concentra con decisione sulle persone e sulle dinamiche degli affetti, sfruttando l’arte come mezzo per raccontare le contraddizioni di un uomo moderno smarrito in un dedalo di scelte e responsabilità. Non sarebbe esagerato immaginare una scissione tra il cuore e la mente di Allen: lo stacco tra Match Point e Midnight in Paris era già evidente, ma non si può sottovalutare l’importanza di operazioni come Cafe Society e Irrational Man nel tracciare una divisione netta tra il romanticismo e la moralità riflessiva tipiche dell’opera alleniana.
La commedia ha lasciato sempre più spazio al dramma, con una tendenza crescente verso il mistero e il thriller. Nell’impossibilità di contenere quella tendenza interiore ad alimentare il proprio pessimismo di fronte a un mondo che cambia, l’autorialità di Allen si è mossa verso un approccio crepuscolare molto simile a quello dei grandi autori del ‘900. Il cineasta newyorkese degli ultimi anni sfrutta il cinema per allontanarsi definitivamente dalla velleità artistica e concentrarsi filosoficamente sulla sua personale analisi del reale. Così facendo, è evidente che la finzione trovi sempre meno spazio (e il messaggio di Magic in the Moonlight era un chiaro segnale), con la verità (o la sua ricerca) che si prende definitivamente la scena.
Nuove risposte per un “vecchio” Allen
Al giro di boa, Colpo di Fortuna si classifica come la perfetta sintesi del percorso alleniano, capace di esaltarsi trovando il modo di coesistere tra due anime così potenti – non è un caso che il film abbracci il romanticismo in un contesto chiaramente ispirato a Crimini e Misfatti. Continuando stoicamente a resistere al tempo e all’orrore, rifugiato nella creatività della propria mente, Woody Allen si conferma uno dei più importanti autori del secolo, nella speranza che questo non sia il canto del cigno di un regista che continua a riflettere su se stesso, cercando (e donando) risposte sempre nuove in un mondo che ha provato a rigettarlo e che lo ha reso claudicante.
L’aspetto più affascinante dell’evoluzione alleniana si nota proprio nel suo meticoloso parlare dell’uomo, alternando con regolarità temi che si rincorrono e che spesso fanno giri immensi per tornare sotto vesti diverse. Contenitori classici, che un osservatore poco attento potrebbe definire “tipicamente da Allen”, ma che vengono spremuti fino all’osso per offrire sempre qualcosa di nuovo. In un mondo che corre all’impazzata e rischia di non curarsi di ciò che lascia dietro di sé, Allen continua a dettar legge perché è diverso da tutti gli altri – e perché non ha mai smesso di esprimersi. Tanto nella vita, quanto dietro la macchina da presa.
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