La bella addormentata ha aperto gli occhi e si stiracchia. Dopo anni di oblio, forse, sua maestà Disney si sta pian piano risvegliando da un lungo torpore. Intanto il regno dell’animazione è andato avanti senza di lei, sfornando nuove meraviglie ed eredi al trono pieni di talento. Quest’anno, però, la vecchia regina compie 100 anni e bisogna festeggiare in grande con un grande dilemma nel cuore: la Disney deve puntare al futuro o celebrare il passato?
In questa recensione di Wish vi racconteremo un film che si è fermato a metà strada. Perché da una parte il 62esimo Classico disneyano non è altro che una grandissima celebrazione della sua stessa tradizione, ma dall’altra decide finalmente sperimenta qualcosa di nuovo dopo anni di piattume creativo. Il risultato è non è il miglior film della Disney, ma un bel film sulla Disney. Un classico che più classico non si può che ci porta in una fiaba all’origine di tutte le fiabe.
Il regno della speranza
In 100 anni abbiamo imparato una cosa: il cielo può diventare un raccoglitore di sogni. Ce lo ha insegnato mamma Disney a suon di stelle dei desideri, spesso diventate protagoniste silenziose delle fiabe. Per informazioni rivolgersi dalle parti di Geppetto, visto che il nuovo Wish è ispirato proprio all’iconica canzone When You Wish Upon a Star di Pinocchio. Questa volta non c’è spazio per le bugie, perché nel regno di Rosas si raccolgono solo le speranze più sincere dei sudditi, che affidano i loro desideri più reconditi alle mani del sovrano Magnifico. Questo perché tutti i sogni possono diventare anche fardelli di cui è meglio liberarsi, affidandole a questo sommo custode molto scrupoloso.
Alla corte di questo amato re-mago si affaccia anche la giovane apprendista Asha, una 17enne che ama le tradizioni del suo regno e accoglie i nuovi visitatori con tanto entusiasmo. Una ragazza con un desiderio nel cuore talmente grande da richiamare a sé la mitica stella dei desideri. Insomma, fin dalle premesse è facile capire quanto Wish sia un grande omaggio alla tradizione Disney (e in quanto tale farà la gioia dei fan disneyani a suon di citazioni ed easter egg). Un film che per scrittura, messa in scena, immaginario e caratterizzazione dei personaggi rievoca i fasti del passato, ma ha anche tanta voglia di affondare le sue radici nel presente e lanciarsi anche verso il futuro.
La fiera delle illusioni
C’è un aspetto di Wish che ci ha colpito molto. Un aspetto che lo avvicina molto alla morale di Soul della Pixar. Quel film ebbe il coraggio di raccontare il lato oscuro delle passioni che diventano ossessioni, mentre qui sono desideri ad avere delle zone d’ombra. Perché le speranze possono anche illuderti. Possono anche diventare abbagli che ti accecano per tutta la vita. Ed è interessante come Re Magnifico possa essere visto come una specie di antico influencer ante litteram, che tiene in gabbia le speranze delle persone, decidendo in cosa debbano sperare e in cosa no. È un tema delicato, che Wish sfiora soltanto senza approfondire. Eppure il film mette la pulce nell’orecchio senza adagiarsi soltanto sul lato romantico dei sogni da portare nel cuore. Se i sogni possono illuderti, Wish non lo fa mai.
Perché è sempre sincero nel suo scegliere la via della tradizione in nome di Zio Walt. Forse l’unica vera stella che brilla nel cielo del film, come fosse un Mufasa che vuole indicarci la via. Di quella tradizione aggiornata restano canzoni davvero molto orecchiabili, una protagonista volenterosa e propositiva, siparietti comici (più o meno riusciti) e la sensazione di una carezza familiare. Un film col retrogusto del già visto e sentito che ti coccolano di continuo. E a questo giro, forse, va bene così. Perché Wish, come detto, è una grande festa autoreferenziale.. Un grande inchino al cospetto di 100 anni di storia.
Il nuovo che scalpita
Eppure nel regno della tradizione c’è anche spazio per qualche esperimento. Perché è da Rapunzel in poi (ovvero da ormai 13 anni) che i Classici Disney si affidano soltanto a una CGI sempre più piatta e incapace di stupire davvero. E allora serviva cambiare. O meglio, iniziare a cambiare. Così Wish si affida a una tecnica mista, che fonde computer grafica e animazione tradizionale, facendo muovere personaggi tridimensionali su fondali dal retrogusto pittorico. Uno stile ibrido che funziona a tratti.
Perché se l’impatto estetico è molto gradevole nel complesso, a livello tecnico ci sono varie incertezze su alcuni personaggi che risultano troppo rigidi nelle movenze. Peccato anche per un doppiaggio italiano non sempre all’altezza (a causa del solito vizio dei talent inserito forzatamente nel cast vocale). Insomma, questo Wish forse non sarà una speranza, ma almeno è una promessa. Quella di una di una Disney che sa che c’è bisogno di svegliarsi. Una Disney che è sempre capace di abbracciarci nel suo grande immaginario collettivo, che dopo 100 anni in qualche modo fa parte anche di noi.
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La recensione in breve
Classico nell'animo, moderno nei temi e sperimentale nello stile visivo, Wish omaggia i 100 anni della Disney con una grande celebrazione autoreferenziale.
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Voto ScreenWorld