Negare sempre. Ammettere mai. Mostrarsi vincente sempre. Perdente mai. Ecco la ricetta del successo. Parola di Donald Trump mentre parla dall’ultimo piano della sua torre del potere. Un palazzo costruito a fatica. Grazie a quella voglia di farcela e a quella fame che solo i grandi squali conoscono bene. Nella recensione di The Apprentice, in Concorso al Festival di Cannes 2024, prenderemo nota delle istruzioni per l’uso lasciate da Ali Abbasi nel suo ultimo film. Un film amaro su una delle figure più controverse del pianeta. Un film che mette in cornice il tragico ritratto di un uomo vorace che ha sempre voluto prendersi tutto senza preoccuparsi del come.
Un film che forse piacerebbe a Martin Scorsese, visto che si sporca le mani l’arrivismo americano più becero e spietato. Un terreno sporco da cui emerge la figura del fu Presidente degli Stati Uniti d’America. Merito dello sguardo impietoso con cui Abbasi ha girato (in poco tempo) un film che arriva proprio durante le presidenziali USA. Presidenziali in cui l’enorme ombra del ciuffo più repubblicano d’America incombe ancora inesorabile.
Genere: Biopic
Durata: 120 minuti
Uscita: n.d. (Cinema)
Cast: Sebastian Stan, Jeremy Strong, Maria Bakalova
Un palazzo grande quanto l’America
The Apprentice è una origin story. L’ascesa al potere di un grande villain, direbbe qualcuno. Siamo a New York nei rampanti anni Settanta. Anni frenetici, fatti di desideri sfrenati e ferite ancora aperte. L’America sembra davanti a un bivio: diventare grande o annegare nella propria ambizione? Il giovane Donald J. Trump ha scelto la prima strada. Qualsiasi cosa pur di uscire dall’ombra di un padre ingombrante e lasciare la sua firma sul sogno americano. Il come poco importa. Ogni scorciatoia è buona. L’ascesa di Donald inizia incontrando Roy Cohn, avvocato machiavellico e abile burattinaio. Ha così inizio una scalata al vertice tutta basata su uno strano rapporto mentore e allievo. Tutto parte da un palazzo da rimettere a lucido, che Abbasi trasforma presto nella perfetta metafora di una nazione sporca dalle fondamenta, dove la facciata e la patina contano più delle mura solide.
Abbasi lavora di accumulo raccontandoci la fiaba di un avvoltoio sempre più affamato e feroce, affidandosi a un Sebasian Stan straniante solo nelle prime battute, che diventa davvero Donald Trump col procedere del film. Sempre più grasso, sempre meno empatico, sempre più sporco. Alla sua impennata corrisponde la lenta discesa negli inferi del maestro Cohn, interpretato da un meraviglioso Jeremy Strong, capace di dare spessore a ogni sguardo e respiro. Più degli amori e delle sfide con i nemici, ad Abbasi interessa soprattutto questa relazione. Un rapporto tragico e inversamente proporzionale, che assomiglia davvero al destino di Dorian Gray e il suo dipinto.
Rapporti USA e getta
Non c’è passione nell’ambizione. Non c’è amore nelle conquiste. Non c’è goduria nel successo. Nel film Trump procede imperterrito come un carrarmato, senza un briciolo di umanità. Abbasi si fa contagiare da questa sorta di “apatia del successo”, girando un film molto classico nell’intreccio e sobrio nella mesa in scena con qualche guizzo di regia e montaggio. Usando spesso immagini pastose perfette per ricreare la tipica estetica anni Ottanta, The Apprentice ci prende per mano e ci getta nel turbine delirante dello yuppismo made in USA, in cui le persone sono solo appigli per arrivare a qualcosa o qualcuno.
Peccato che manchi un po’ di ferocia. Peccato che Abbasi racconti bene il predatore senza mai affondare i denti nella preda. Come se il regista voglia soltanto dirci: “Vi confermo tutto quello che sospettate sulla vita oscura di quest’uomo”. Nasce così un buon film che diventa eccezionale solo quando c’è Jeremy Strong che giganteggia in scena. Un buon film che avrebbe potuto essere molto di più, se solo avesse avuto la bava la bocca e l’ambizione del signore di cui racconta le ignobili gesta.
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La recensione in breve
Ritratto del famelico Donald Trump, The Apprentice è un biopic molto classico che lega la costruzione di un palazzo al destino di tutti gli Stati Uniti d'America. Un buon film sull'ascesa di un uomo spietato dove svetta il talento di un grande Jeremy Strong.
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Voto ScreenWorld