I paradossi temporali, si sa, dominano da tempo – perdonate il gioco di parole – le logiche di un certo cinema di fantascienza, che catapulta i personaggi da un passato ad un futuro, più o meno prossimi, a seconda delle atmosfere e delle derive sulle quali il racconto è impostato. E come spesso accade non tutto torna per logica, costringendo il pubblico ad accettare alcuni compromessi narrativi per apprezzare un determinato tipo di storia: stare al gioco per garantirsi un sano divertimento.
Grandi classici come Ritorno al futuro ci hanno insegnato a non scervellarci eccessivamente su quanto effettivamente torni e quanto no e, ormai buona parte delle produzioni moderne, soprattutto quelle indirizzate ad un ipotetico consumo di massa, hanno smesso di cercare il cosiddetto “pelo nell’uovo”, favorendo l’intrattenimento duro e puro a soluzioni più ragionate. Come vedremo in questa recensione di The Adam Project, il film si inserisce pienamente in questa scia disimpegnata, volta ad un intrattenimento senza troppe pretese e indirizzato al pubblico delle piattaforme: non è un caso che i diritti siano stati acquistati proprio da Netflix, dove è disponibile come original in esclusiva.
The Adam Project
Genere: documentario, biografico
Durata: 106 minuti
Uscita: 11 marzo 2022 (Netflix)
Cast: Ryan Reynolds, Mark Ruffalo, Jennifer Garner, Walker Scobell, Zoe Saldana, Catherine Keener e Alex Mallari Jr.
The Adam Project: avanti e indietro
Il prologo ha inizio nel 2050, con la versione adulta del protagonista in fuga su una navicella. Adam Reed, questo il nome del nostro eroe, è diretto verso il passato e per l’esattezza nell’anno 2018, dove avrà a che fare con il suo se stesso dodicenne. L’Adam ragazzino è reduce dal recente lutto del padre, colui che ha contribuito, grazie alle sue teorie, all’invenzione dei viaggi nel tempo, e non ha ancora metabolizzato la perdita. L’incontro tra i due Io darà il via a un’incredibile avventura dove l’Adam più grande avrà modo di ritrovare la moglie scomparsa e insieme alla sua controparte pre-adolescente si metterà sulle tracce del padre, tornando ulteriormente nel passato per cambiare il futuro.
Abbiamo volutamente esposto la trama a grandi linee senza entrare in dettagli più specifici anche perché, a livello di pura scrittura, The Adam Project si accontenta del suo impianto ludico, senza appunto cullare altre ambizioni di sorta. E non è un caso che i due elementi più calcati dei cento minuti di visione siano proprio l’ironia e l’azione. La prima trova ideale veicolo comico nella verve di Ryan Reynolds che, in attesa di tornare a vestire gli scomodi panni del mercenario chiacchierone nell’atteso Deadpool 3, si concede un ruolo leggero ancora nelle sue corde; non è un caso che anche le fasi potenzialmente più drammatiche siano eviscerate da eccessivi sentimentalismi. La pura verve action trova invece solido appiglio nei discreti effetti speciali, con tanto di scontri con arma da fuoco, navicelle spaziali o all’arma bianca che ripescano da un immaginario fantascientifico tipico di una certa space-opera. Il tutto declinato in una chiave letteralmente terrena, in quanto la pressoché totalità dell’azione è ambientata appunto sulla superficie terrestre.
Uno sguardo al pubblico
E ancora riferimenti geek al mondo dei videogiochi, con tanto di visori di realtà virtuale, battute che vanno a citare proprio la leggendaria trilogia di Zemeckis, animali domestici – in questo caso il cane – che portano il nome di leggendari astrofisici: tutto in The Adam Project pare una sorta di continuo e ripetuto omaggio alle basi, con evidenti influenze da certo cinema anni ’80 declinate in ottica moderna. Peccato che come recita il detto “un bel gioco dura poco” e già dopo la prima mezzora si avverta una certa carenza di idee e soluzioni, come se l’operazione riciclo abbia già esaurito le sue cartucce. E allora via all’entrata di figure secondarie che hanno in volto di attori popolari e conosciuti dalle platee nerd come Mark Ruffalo e Zoe Saldana, entrambi presenze fisse del MCU rispettivamente nei panni del Golia Verde Hulk e della guardiana della galassia Gamora.
In origine a interpretare il ruolo del protagonista doveva essere Tom Cruise e il progetto avrebbe probabilmente preso un’altra piega, con un budget forse ancora maggiore e una messa in scena più consona ai blockbuster di maggior peso che oggi fureggiano al botteghino. Qui invece anche il budget pare parzialmente risicato e si respira un’effettiva mancanza di spettacolo a tema, sempre troppo timido per risultare anche avvincente. Il regista Shawn Levy, già al lavoro con Reynolds nel recente hit Free Guy – Eroe per gioco (2021) vanta una lunga filmografia dove si è specializzato proprio nella commedia e anche in questo caso sembra non volersi prendere troppo sul serio. Questo rimane il maggior limite dell’intera operazione, che si pone come semplice passatempo usa e getta per una serata all’insegna del mero disimpegno: chi cercava qualcosa di più, resterà probabilmente deluso.
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Conclusioni
Uno sci-fi che, tra azione e ironia, cerca di offrire nuovi spunti al filone dei paradossi temporali, senza però lasciare il segno.
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Voto Screenworld