Far tornare gli spettatori a Woodsboro, a ventisei anni dal primo Scream ed a undici dall’ultima apparizione di Ghostface, era un’operazione che nascondeva varie difficoltà. Dubbi amplificati dall’assenza del maestro e padre della saga Wes Craven, scomparso purtroppo nel 2015. Ad accettare la sfida il duo di autori dietro a Finché morte non ci separi, Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett, forti del loro essere fan della saga e di una cifra stilistica marcata e riconoscibile. Con loro il ritorno di Kevin Williamson (non più come unico sceneggiatore ma in veste di consulente e produttore esecutivo) e del trio storico: David Arquette, Courtney Cox e ovviamente Neve Campbell.
Prima di iniziare la nostra recensione di Scream (ovviamente senza spoiler) dobbiamo però soffermarci e dire due parole sul resto della saga. Perché la creatura ideata da Craven e Williamson non è mai stata una serie horror come le altre. Di questa unicità Bettinelli-Olpin e Gillett ne hanno tenuto conto, costruendo un lungometraggio conscio di se stesso e dell’eredità dei suoi predecessori. Non un sequel, non un reboot ma un re-quel, come lo stesso film dichiara di essere. Quindi per capire e valutare questo Scream, occorre intraprendere la sua medesima strada e ritornare alle origini in quella Woodsboro del 1996.
Scream (2021)
Genere: Horror
Durata: 114 minuti
Uscita: 13 gennaio 2022 (Cinema)
Cast: Neve Campbell, David Arquette, Courtney Cox
Alle origini della saga di Wes Craven
A fine millennio scorso, i fasti dell’horror degli anni ’70 e ’80 sono ormai un lontano ricordo. Uno come Wes Craven, che a quell’età dell’oro ha dato un contributo fondamentale non solo con Nightmare e la creazione di Freddy Krueger ma anche con altri capisaldi come Le colline hanno gli occhi o Il serpente e l’arcobaleno, questo lo sa bene. Occorre ragionare e analizzare il genere senza però lasciare indietro un’altra base fondante come componente sociale. Craven viene da Nightmare – Nuovo Incubo, il suo ritorno alla saga che lo ha reso grande, dove ha già sperimentato l’approccio metacinematografico e post-moderno in un’opera che ancora oggi rimane insuperata nella capacità di riflettere sull’horror dal suo interno. Al suo fianco in qualità di sceneggiatore chiama l’esordiente Kevin Williamson, con l’idea di portare uno sguardo fresco su quella generazione degli anni ’90 tanto diversa dalle precedenti. Il risultato come tutti sappiamo è Scream, uno slasher capace di portare una ventata di novità, analizzare i canoni del genere ma soprattutto di raccontare (e in parte anticipare) usi e costumi del periodo.
Perché se è vero che una delle caratteristiche più evidenti di Scream è la sua componente metacinematografica, non si può certo ridurre il suo successo solo a quello. Il film di Craven, meglio di altri, aveva avuto la capacità di buttare uno sguardo su una generazione intera. E quali sono le caratteristiche di questi personaggi? Sono figli di padri e madri benestanti ma assenti; cercano i propri valori in icone del passato, citandole a più riprese; sono dominati dalla noia che diventa addirittura un movente per uccidere; si approcciano alle nuove tecnologie come i cellulari e i cordless, i quali però invece che salvarli diventano a loro volta strumenti di morte. Una descrizione talmente azzeccata e fresca da diventare un punto di partenza per le produzioni degli anni successivi. Non ci riferiamo solo al genere horror, che ancora oggi sfrutta spesso quelle dinamiche, o a una serie come Dawson’s Creek, non a caso scritta dallo stesso Williamson. Pensiamo ad esempio a Fight Club, Matrix o American Beauty, i cui protagonisti assomigliano a una versione cresciuta dei personaggi di Scream.
Il film di Craven riusciva quindi a mettere insieme la componente metacinematografica e quella sociale, all’interno di un’opera perfettamente equilibrata e innovativa anche come slasher movie. A partire dai primi minuti in cui il personaggio di Drew Barrymore, l’attrice più famosa del cast e su cui si era basata la campagna promozionale, veniva brutalmente uccisa. Una scena, ormai storia del cinema, che ribaltava la prospettiva classica del genere in modo simile a Psycho e che metteva in guardia lo spettatore: tutti possono morire. Per poi mostrare un killer, dall’aspetto semplice (nel film il costume si trova in ogni emporio) ma subito riconoscibile e iconico, dalle fattezze e debolezze umane. Ghostface è una maschera, non un personaggio con poteri. Questo lo rende sia intercambiabile che battibile. Arrivando infine a una nuova scream queen. Quella meravigliosa Sidney Prescott che cresce nel suo arco narrativo tanto da trasformarsi nel finale in un personaggio simile alla Ripley del primo Alien.
Come dicevamo quindi il primo Scream ha posto delle basi tali da rivoluzionare il genere e, se vogliamo, ancorarlo a un punto non più superato. Lo stesso Craven con i sequel non è più riuscito ad andare oltre, nonostante abbia inserito in ciascuno vari spunti d’interesse. Tutti i film successivi ragionano su se stessi in quanto componenti di una serie. Il secondo capitolo in particolare inseriva la saga cinematografica di Stab, ispirata ai fatti del primo Scream, che da lì in poi avrebbe parallelamente accompagnato la storia principale. Il terzo capitolo, nonostante sia il più debole, aveva un focus interessante sulle violenza sulle donne. Basti pensare che Craven inserisce il personaggio di John Milton, un produttore hollywoodiano accusato dello stupro della madre di Sidney, in un film prodotto da Harvey Weinstein. Lo stesso quarto capitolo, uscito nel 2011, ragionando sul concetto di remake abbandonava il suo sguardo sull’arrivo di internet e sul voyeurismo di una nuova generazione. Insomma, nonostante gli alti e bassi, ogni nuovo Scream ha sempre avuto qualcosa da dire.
Uno slasher che funziona
Il nuovo Scream parte come ovvio dall’arrivo di un nuovo Ghostface in quel di Woodsboro. Sono passati venticinque anni dalla serie di omicidi che abbiamo visto nel primo capitolo. Questa volta a essere presi di mira sono Tara Carpenter (Jenna Ortega) e il suo gruppo di amici. L’eco degli avvenimenti costringe la sorella della ragazza Samantha (Melissa Barrera) a tornare in città, accompagnata dal suo ragazzo Richie (Jack Quaid). Woodsboro ancora una volta cade nel terrore a causa delle gesta del nuovo assassino. Un killer molto interessato a portare a galla il passato e a voler (ri)scrivere la storia con un suo personale punto di vista. Quello stesso passato che riguarda Dewey Riley, Gale Weathers e Sidney Prescott. A livello d’intreccio narrativo non diremo altro per non cadere nello spoiler. Possiamo però affermare che da questo punto di vista la trama del quinto capitolo di Scream funziona su tutta la linea.
La struttura, in parte ricalcata e in parte modificata dal primo capitolo, fa un ottimo lavoro per quanto riguarda l’introduzione dei nuovi personaggi. Anche l’inserimento di tutto il “vecchio mondo” di Woodsboro è gestito nella maniera migliore, con un sapiente dosaggio dei personaggi originali. Le dinamiche tra Dewey, Gale e Sidney sono come sempre perfette. In particolare David Arquette e Courtney Cox nel film ricreano nuovamente lo specchio del loro rapporto fuori dallo schermo, andando a generare un’ulteriore cornice narrativa molto piacevole. Anche l’arrivo in scena della Sidney di Neve Campbell non tradisce le aspettative, garantendo quel girl power genuino e sincero di cui è immagine da venticinque anni a questa parte. Per tutta la durata del lungometraggio non mancheranno plot twist, posizionati tutti sapientemente e in grado di garantire un ottimo ritmo.
Dove però questo Scream fa centro su tutta la linea è il lato estetico e stilistico. Non fraintendiamoci, dopo aver visto Finché morte non ci separi non vi erano dubbi sulle capacità della coppia di registi. Bettinelli-Olpin e Gillet sembravano nati per realizzare e gestire un horror pop come Scream. L’incognita tutt’al più poteva risiedere nella capacità dei due di adattare il proprio stile, a tratti gioiosamente smisurato, all’interno di un universo in cui Craven aveva settato regole e canoni specifici. Dubbi svaniti fin dalla prima sequenza. Bettinelli-Olpin e Gillet hanno saputo, forti del loro essere dichiaratamente fan della saga, mediare le proprie peculiarità senza però snaturarsi. Il risultato è un film dai toni più cupi rispetto agli altri capitoli della serie. La stessa fotografia preferisce un’illuminazione minore delle singole scene. Anche la violenza è mostrata in modo leggermente differente. È se vogliamo più concreta e tangibile, gli omicidi più efferati, il sangue e i rumori sono più veri e spaventosi. In poche parole la componente horror funziona perfettamente. Come abbiamo però ricordato la particolarità di Scream risiede nell’unire il genere al metacinema e a uno sguardo attento sull’attualità.
La stagione del metacinema
Prima di concentrarci su come sono trattate queste due componenti nel nuovo Scream occorre una premessa. Questo ultimo periodo di uscite cinematografiche è stato caratterizzato da due correnti predominanti. Innanzitutto l’ondata di nostalgia anni ’80, che ha contraddistinto il decennio passato, pare si stia spostando verso gli anni ’90 e l’inizio degli ’00. In secondo luogo l’approccio metacinematografico pare ormai sdoganato in ogni tipo di produzione mainstream. Titoli come Ghostbusters: Legacy, Spider-Man: No Way Home e Matrix Resurrections hanno affrontato in modi diversi i temi della nostalgia e del meta. Scream arriva a breve distanza da questo terzetto, specialmente dalle avventure di Neo. Seppur manchi per forza di cose un effetto novità, possiamo però affermare che questo quinto capitolo inserisce il meta e recupera nostalgicamente i personaggi in modo molto più naturale rispetto ai titoli citati. Una conseguenza della natura stessa della saga di cui fa parte.
Il meta e gli ammiccamenti cinefili allo spettatore non mancheranno di certo. A partire dalle due protagoniste che fanno di cognome Carpenter avremo infinite citazioni all’interno del film. Il personaggio di Dylan Minnette di nome Wes, il riferimento a “horror sofisticati” come Babadook, It Follows o Get Out, la presa in giro dello Stab/Scream originale. La scena migliore dal punto di vista meta è quella dove i due, con l’ausilio della colonna sonora, inscenano dei veri e propri fake jumpscare. Una scena muta, a conferma da una parte della conoscenza del genere dei registi e dall’altra della superiorità dei mezzi del cinema sui vari possibili ammiccamenti allo spettatore.
Ovviamente non mancano poi le critiche alla macchina di Hollywood, sulla cui mancanza di idee si basa l’intero concetto metanarrativo di re-quel e quindi le gesta stesse dell’assassino. Sono gli stessi Bettinelli-Olpin e Gillet che, sostituendosi metaforicamente al killer, creano una loro fan fiction basata su Scream. In questa realizzazione la coppia di registi omaggiano Wes Craven ma pongono anche le basi per un futuro della saga. Per la prima volta si ha la sensazione che Scream non dipenda più da Sidney Prescott o che comunque potrà farne a meno nel futuro. Ed è qua che probabilmente sta lo spunto più interessante dell’intero film.
Dove invece manca il colpo è nello sguardo innovativo, nel dire qualcosa di nuovo. Una componente che semplicemente in questo Scream è assente. Magari ci sarà un tentativo da questo punto di vista in un nuovo capitolo. D’altronde, ora che i conti col passato sembrano essere definitivamente chiusi, le possibilità per il futuro sono illimitate.
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Conclusioni
Con questo nuovo Scream Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillet costruiscono un ottimo slasher, con una grande cura stilistica ed estetica. I due si dimostrano rispettosi della saga originale e dell'eredità di Wes Craven, senza però negarsi un passo verso un futuro più indipendente.
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Voto Screenworld