È possibile fermare John Wick? Il personaggio sicuramente no, la cui aura inarrestabile era perfettamente riassunta nella sequenza del primo film della saga in cui, per far capire al figlio che aveva le ore contate, il gangster russo Viggo Tarasov parlava di Wick, talmente letale da essere in grado di uccidere tre persone consecutive usando solo una matita (e particolarmente irritabile dopo che il figlio di Viggo gli aveva ucciso il cane, ultimo regalo della defunta moglie). Per il franchise il discorso si fa un po’ diverso, con il filone principale che potrebbe – almeno per ora – interrompersi e cedere il posto a degli spin-off, di cui uno – Ballerina, su un personaggio minore visto nel terzo film – già pronto a invadere le sale. Di questo, e molto altro, parliamo nella nostra recensione di John Wick 4.
John Wick 4
Genere: Azione
Durata: 169 minuti
Uscita: 23 marzo 2023 (Cinema)
Cast: Keanu Reeves, Donnie Yen, Bill Skarsgård, Laurence Fishburne, Hiroyuki Sanada, Shamier Anderson, Lance Reddick, Rina Sawayama, Scott Adkins, Ian McShane, Clancy Brown
La trama: aggiungi un posto a Tavola
Il terzo film si concludeva con John Wick abbandonato da tutti, compreso Winston che lo aveva fatto cadere dal terrazzo del Continental con qualche pallottola in corpo. Una dimostrazione di lealtà nei confronti della Tavola, la misteriosa organizzazione che controlla le attività criminali del mondo intero, che però non è stata sufficiente: il Marchese di Gramont, uno dei membri più prestigiosi della Tavola, fa distruggere l’albergo di New York, costringendo Winston a riprendere i contatti con John, il quale nel frattempo si è ripreso con l’aiuto di Bowery King.
Per porre fine a tutto una soluzione ci sarebbe: sfidare il Marchese a duello, in base alle vecchie regole della Tavola, dato che in caso di vittoria John avrebbe estinto ogni debito nei confronti dell’organizzazione. Ma prima bisogna arrivarci, a quel duello, e Gramont non esita a sporcarsi le mani, per quanto per interposta persona, per impedire a Wick di sopravvivere fino alla data pattuita. E per farlo è disposto a tirare in ballo anche un vecchio amico di John, il cieco ma formidabile Caine…
Il cast: il Marchese del grilletto
Ai soliti inossidabili – Keanu Reeves, Laurence Fishburne, Ian McShane e il compianto Lance Reddick, venuto a mancare pochi giorni prima dell’uscita del film – si aggiunge un nuovo cattivo carismatico che ha il volto di Bill Skarsgård, affiancato da Clancy Brown che ha forse il ruolo più simbolico di tutta la saga (a lui, già antagonista di Highlander, spetta dire che alla fine del duello ne rimarrà solo uno). Caine è Donnie Yen, che arricchisce con la sua solita energia il contingente asiatico del cast, insieme a un sempre impeccabile Hiroyuki Sanada (Koji, il proprietario del Continental giapponese) e una grintosa Rina Sawayama (la figlia di Koji, già in pole position per uno dei possibili spin-off). E poi c’è Scott Adkins, che per l’occasione si prende in giro da solo nascondendo il suo fisico naturale sotto chili di trucco e protesi che lo rendono un gangster apparentemente inoffensivo e un po’ buffo, sulla falsariga di personaggi come il Kingpin dei fumetti Marvel.
Durata epica
Dopo tre film relativamente contenuti – il primo sotto le due ore, il secondo e il terzo appena sopra – salta all’occhio il fattore in apparenza più epico di questo quarto capitolo, che sfiora le tre ore, forse nel tentativo di chiudere tutte le faccende in sospeso in vista di una pausa dalla storyline principale e introdurre abbastanza ingredienti per eventuali prosecuzioni oltre a quelle già annunciate (Ballerina e una serie TV sui primi anni di attività del Continental).
Una durata che da un lato è coerente con le ambizioni sempre più epiche di un franchise che si è fatto progressivamente mitologico da un sequel all’altro, tra allusioni e citazioni (in questo caso Bowery King introduce John a suon di danteschi rimandi alla città dolente e l’idea di lasciare ogni speranza prima di entrare), ma dall’altro mette in evidenza la principale differenza tra questo episodio e i precedenti: la sceneggiatura non è più del creatore Derek Kolstad, bensì di Michael Finch e Shay Hatten (quest’ultimo già collaboratore di Kolstad per il terzo episodio), e si nota un certo squilibrio sul piano strutturale in una prima parte che cerca di essere psicologicamente profondo e portare avanti la trama senza per forza passare da un momento action all’altro.
Fino all’ultima pallottola
In tal senso, quindi, i 169 minuti della pellicola possono risultare parzialmente punitivi, fino al momento in cui il film ritrova il DNA del franchise e, un po’ come il terzo capitolo che era praticamente un unico lungo inseguimento intriso di sparatorie e molto altro, decide di diventare una grande macrosequenza inarrestabile come il suo protagonista. Ed è allora che il quarto capitolo delle avventure di Wick diventa, se preso come puro dispositivo di spettacolo senza pretese drammatiche, quanto di più vicino ci possa essere all’apice di genere. Merito del sodalizio impeccabile fra Keanu Reeves e Chad Stahelski, che da controfigura (in alcuni casi dello stesso Reeves, aspetto recentemente messo alla berlina in Matrix Resurrections) e regista della seconda unità è passato a cineasta a tutto tondo, imponendosi come firma dotata di grande sensibilità per le sequenze d’azione. Elegante e brutale, tangibile e stilizzato, il suo è un universo dove i cattivi devono effettivamente lasciare ogni speranza all’ingresso, mentre il pubblico si fa trascinare in una discesa agli inferi che, in termini tecnici, è più una scalinata verso il Paradiso, con trovate sbalorditive che non possono che suscitare reazioni accostabili a uno dei monosillabi preferiti di Reeves: “Yeah!”.
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La recensione in breve
Dopo una prima parte un po' claudicante, il quarto film diventa rapidamente il contenitore di tutto ciò che il franchise di John Wick sa fare meglio delle sue pallide imitazioni, con momenti spettacolari e adrenalinici che si susseguono senza sosta.
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Voto ScreenWorld