La libertà è un atto di resistenza gentile: non ha confini rigidi, né definizioni univoche. Una condizione esistenziale e sociale necessaria, lontana dalla retorica spicciola.
Attraverso cieli infiniti, boschi incantati e città sospese nel tempo, i personaggi creati dal padre dello Studio Ghibli cercano spazi in cui respirare, pensare, immaginare. Luoghi in cui possono restare fedeli a sé stessi, proprio come fa il pilota Marco Pagot librandosi in volo per sfuggire al Verbo fascista. In un mondo terreno avvelenato dagli autoritarismi, Marco sceglie il cielo. Sceglie la libertà.
Per Hayao Miyazaki la libertà è un concetto che trascende la mera dimensione politica o sociale. Non si tratta di un ideale astratto o di un privilegio da guadagnarsi attraverso la forza, ma di una condicio sine qua non: una necessità che cresce alimentata dal pensiero indipendente, dal coraggio di sognare e dall’integrità morale dell’individuo.
Questa originale quanto divisiva visione si manifesta in ogni singolo fotogramma delle sue opere: il sensei crea un tessuto narrativo atto a restituire al pubblico storie capaci di toccare le corde più profonde dell’esistenza umana, senza mai ricorrere alla retorica spicciola. Un modus operandi che trasmette un messaggio potente e toccante, pur mantenendo delicatezza e fascino.
Il maiale è una figura cara a Miyazaki, al punto che lo Studio Ghibli è soprannominato buta-ya (“la casa del maiale”), in riferimento a un’insegna in stile vittoriano con un maiale, ben visibile sul portico della sede dello studio.
L’ideale di libertà di Miyazaki

Nel vasto universo immaginario creato da Miyazaki, uno dei temi principali è certamente quello dell’infanzia, fonte inesauribile di autenticità. I bambini sono la bocca della verità, non a caso è un detto millenario, e i protagonisti delle pellicole di Miyazaki sono per lo più ragazzini. Mei e Satsuki (Il Mio Vicino Totoro), la stessa Kiki, Chihiro (La città incantata) sono tutti dotati di una capacità unica di vedere il mondo, ascoltano in silenzio, si meravigliano di ciò che li circonda ed entrano in connessione con verità invisibili agli adulti. Attraverso la voce dei suoi piccoli protagonisti, Miyazaki dimostra che il periodo per affermare una libertà genuina di pensiero e parola è proprio la fanciullezza, forte di un’apertura alla vita che si nutre di speranze e stupore.
In tutto questo, anche la Natura assume una connotazione diversa: essa non è mai semplice cornice, bensì protagonista delle vicende. Presenza viva e sacra, la libertà per Miyazaki passa anche attraverso il rispetto per l’ambiente e la consapevolezza della sua fragilità. In capolavori ecologisti quali Nausicaä della Valle del Vento e Principessa Mononoke, il maestro affronta il conflitto tra distruzione e armonia. Così facendo, esorta l’umanità a superare egoismo e indifferenza per le sorti del nostro pianeta, esprimendo con urgenza l’invito ad una riconciliazioni tra uomo e Natura, che nelle sue opere è sia madre, che matrigna vendicativa.
Nel film si intravede la scritta “Ghibli” sul motore di un aereo nell’officina della “Piccolo S.p.A” sul Gran Naviglio di Milano. Il nome dello Studio Ghibli deriva proprio dal Caproni C.a. 309 Ghibli, un aereo italiano, a testimonianza della profonda passione di Miyazaki per l’aviazione storica.
L’antimilitarismo

L’antimilitarismo è un tema ricorrente nelle opere miyazakiane: una critica alla guerra strenua e decisa. Il pacifismo del maestro permea ogni sua storia, in quanto egli – nato proprio nel ventre del conflitto – rifiuta la violenza e non glorifica in alcun modo gli eroi di guerra. Al contrario, aerei, caccia, armi e carrarmati diventano strumenti di distruzione: tuttavia, se sono imbracciati da protagonisti puri di cuore, si tramutano in veicoli di resistenza pacifica. Proprio come l’aereo di Marco Pagot, protagonista di Porco Rosso. L’ex militare rifiuta di tornare a combattere, preferendo che la sua anima non scenda a compromessi con il fascismo. E, non a caso, nelle pellicole di Miyazaki la libertà è sempre stata legata al volo. Sia perché Hayao è figlio di un co-proprietario di una fabbrica di parti per aerei, sia perché volare permette all’essere umano di liberarsi della gravità.
Dopotutto, librarsi non è solo sogno primitivo dell’uomo. Dispiegare le ali dona all’umano la possibilità di sollevarsi dai vincoli e dalle convenzioni terrene. Ciò che Miyazaki trasmette attraverso il volo è la capacità di allontanarsi da regole imposte, dagli ordini, al fine di aprirsi infinite possibilità. Pertanto, con le sue opere non invita lo spettatore ad estraniarsi dalla realtà, anzi: lo incentiva ad affermare la propria identità, a resistere alle brutture del mondo. Si alza il vento, Laputa – Castello nel Cielo, Kiki – consegne a domicilio, Il Castello Errante di Howl, tutti capolavori in cui il volare diventa una potente metafora, in cui i protagonisti si allontanano dal loro percorso predestinato. Liberi, indipendenti, forti, simboli di un cambiamento possibile.
La motonave dell’Albergo Adriano si chiama Alcyone, un nome che richiama il terzo libro delle Laudi di Gabriele D’Annunzio, Alcione. Il nome è inoltre condiviso con un bombardiere prodotto dalla CRDA, storica casa costruttrice di idrovolanti dell’epoca.
Porco Rosso: la guerra ti cambia, in tutti i sensi

Tuttavia, questo folle volo non risulta mai mera evasione per il regista, e questo perché i film di Miyazaki sono pervasi da temi reali, problemi concreti: il quotidiano terrore della guerra, il peso delle convenzioni sociali, il Pianeta Terra al collasso.
Ed è proprio con Porco Rosso (Kurenai no buta) che queste tematiche vengono affrontate tutte assieme. Il discorso si amplia, la critica si concretizza. A cominciare dall’ambientazione, non più un mondo fantastico, non un Castello nel cielo, bensì il ventennio fascista. Sospesa tra le isole dell’Adriatico, in un’Italia a cavallo tra guerra e pace, l’aereo di Marco Pagot plana a filo d’acqua. L’uomo ha da tempo deciso di prendere le distanze dall’esercito, ancora scosso dagli orrori della guerra. Tuttavia, il nostro protagonista non è un essere umano qualunque: egli ha assunto connotati bestiali, trasformandosi in un maiale.
Porco Rosso affronta la tematica della guerra e della libertà in maniera intensa, mescolando leggerezza e malinconia, fiaba e denuncia sociale. La metamorfosi di Marco non è un espediente fantastico, né un capriccio di Miyazaki, bensì una metafora circa le conseguenze della guerra: l’uomo che si trasforma dopo aver conosciuto l’atrocità del conflitto. Di contro, la mutazione di Marco può essere anche percepita quale presa di posizione del protagonista nei confronti dell’esistenza: vivendo in esilio volontario, egli si allontana dalla corruzione dell’animo umano, ormai violento, sporco, corrotto.
Due donne straordinarie riescono a scuotere Marco dal suo isolamento, ricondandogli che vale la pena vivere da essere umani e combattere per una giusta causa: la cantante Gina e l’ingegnera Fio, che credono ancora nella bellezza del mondo. Personaggi forti e indipendenti, che hanno scelto di rifiutare la violenza, individui che hanno optato per la resistenza.
L’idrovolante di Porco Rosso, spesso confuso con il SIAI S.21, è in realtà un velivolo immaginario ispirato al SIAI S.12/S.13 e al Macchi M.33. Pur richiamando questi modelli, presenta elementi originali, come l’ala “a parasole” e la configurazione monoplano. Nel film viene descritto come un prototipo unico, ad alte prestazioni ma difficile da pilotare.
Il legame con l’Italia

Nonostante tutte le nostre riflessioni, non va dimenticato che l’importanza culturale di Porco Rosso dev’essere sempre letta nel contesto storico del Giappone postbellico. Miyazaki, figlio di un Paese che aveva conosciuto la disfatta e la rinuncia all’imperialismo, ha trasposto nella sua opera la transizione da una potenza militare a una democrazia. E in tal caso, anime come Porco Rosso hanno svolto un ruolo cruciale nel trattare questo tema, risvegliando le coscienze, poiché a differenza dei cartoni animati occidentali, l’animazione nipponica si rivolge a un pubblico di tutte le età, affrontando con serietà e riflessione questioni politiche, morali e sociali.
C’è un Paese in particolare che ricorda e – in un certo senso – cita l’autoritarismo nipponico e la conseguente disfatta: l’Italia. Hayao Miyazaki ha spesso dichiarato il suo amore per il nostro Paese, e questa passione emerge nei paesaggi ispirati alle coste italiane, nei vicoli di una Milano immaginaria e nei panorami marini che richiamano la nostra geografia. Il film, tuttavia, non si limita a una mera rappresentazione visiva: si tratta di un messaggio ideologico potente. Marco è un disertore che, rifiutando la guerra e il fascismo, sceglie di vivere senza padroni, simboleggiando una lotta contro l’oppressione.
Inoltre, il legame tra Miyazaki e l’Italia si è ulteriormente consolidato grazie al supporto dei fratelli Pagot, che, venuti a conoscenza della realizzazione del film, inviarono al regista giapponese una serie di libri e materiali su Milano, il Veneto e la costa slava. Questo aiuto si rivelò fondamentale per ricreare con maggiore precisione le ambientazioni italiane, rendendo il film ancora più autentico e rispettoso delle realtà geografiche e storiche che voleva rendere omaggio.
Come potrete immaginare, la distribuzione del film in Italia non ebbe vita facile. Porco Rosso è stato proiettato ufficialmente nel nostro Paese solo nel 2003, mentre nel 2010 ha visto una nuova versione restaurata e sottotitolata, permettendo al pubblico italiano di apprezzarne appieno la profondità artistica e culturale. Ad oggi, nel 2025, il film sarà nuovamente distribuito nelle sale in vista del 25 aprile.
Arturo Ferrarin, amico di Marco, era davvero un celebre aviatore italiano della Prima Guerra Mondiale. Ferrarin, che volava su un idrovolante Savoia-Marchetti S-64 simile a quello di Marco, partecipò davvero alla Coppa Schneider del 1926 pilotando un Macchi M.39. In una scena del film, lo si vede affiancare il velivolo di Porco Rosso, richiamando questo episodio storico.
La poetica di un maiale

Porco Rosso è molto più di un film d’animazione: è una riflessione poetica e politica ambientata in un’Italia sospesa tra gli anni ’20 e ’30. Come già accennato, il film racconta la storia di Marco Pagot, ex pilota militare trasformato in un maiale antropomorfo e invitato a tornare in esercito. In tale contesto, il mare Adriatico non è solo sfondo della narrazione, ma metafora dell’isolamento del protagonista, nonché della speranza che qualcosa cambi. Gli idrovolanti, ispirati a modelli storici italiani come il Macchi M.33, solcano un mare immaginario che riflette la libertà interiore del protagonista.
Marco è un antieroe romantico, un disertore, ma non un codardo: rifiuta il mito dell’eroismo, della gloria, della forza, capisaldi dell’ideologia fascista, e sceglie di vivere ai margini, mantenendo intatti i propri ideali. In un’epoca segnata dalla propaganda e dall’omologazione, la sua scelta di sottrarsi, di volare via, assume un valore profondamente politico. Dopotutto, meglio maiale che fascista, no?
Attorno a lui si muovono figure complesse, mai del tutto caricaturali. Donald Curtis, il vanitoso pilota americano, incarna il sogno egocentrico dell’eroismo spettacolare. Anche le donne, come sempre nell’universo di Miyazaki, sono centrali e indimenticabili: Gina, sofisticata e riservata, gestisce l’Hotel Adriano con forza e grazia; Fio, giovane ingegnera brillante e intraprendente, rappresenta il futuro, la possibilità del cambiamento, la speranza che qualcosa possa ancora rinascere.
Il nome Marco Pagot è un omaggio diretto a Nino e Toni Pagot, fumettisti italiani e creatori di Calimero e Grisù il draghetto; ma anche a Marco e Gina Pagot, ideatori de Il Fiuto di Sherlock Holmes, serie d’animazione diretta dallo stesso Miyazaki e in onda sulla RAI.
Abbiate il coraggio di non omologarvi

Porco Rosso è noto ai più per essere un esempio lampante di resistenza ideologica, oltre che fisica. Pertanto, ci sembrava superfluo consegnarvi la medesima recensione corredata delle medesime considerazioni (talvolta copia-incollate). Dunque, concedeteci una riflessione.
La pellicola miyazakiana rappresenta una dichiarazione radicale di distacco dalle autorità culturali e ideologiche del suo (e forse anche nostro) tempo, tanto da suscitare immediatamente reazioni contrastanti. In pochi avrebbero immaginato che questo film, nato inizialmente come mediometraggio per i passeggeri della Japan Airlines, si sarebbe rivelato espressione profonda del pensiero di Miyazaki. Ancora meno si poteva prevedere che il regista giapponese avrebbe paragonato il proprio Paese all’Italia degli anni 40, segnati entrambi dal giogo di un becero totalitarismo.
Il film, dunque, non è solo una fiaba sull’atto di volare, ma incarnazione della lotta personale del regista, vero e proprio manifesto della libertà, individuale e intellettuale, simbolo dell’autonomia creativa del suo autore. Miyazaki, da sempre insofferente verso ogni forma di autoritarismo – sia interno che oltreoceano – firma un’opera che rifiuta qualsiasi compromesso ideologico e rivendica la possibilità di pensare e creare al di fuori dei dogmi imposti dal potere. Marco Pagot si fa portavoce di questo antimilitarismo tutto ghibliano e la sua frase celebre “Piuttosto che diventare un fascista, meglio essere un maiale” racchiude l’essenza dell’intero lavoro del maestro:
abbi il coraggio di non omologarti, di urlare e dire la tua. Scegli di essere davvero umano.
Perché ciò che rende Porco Rosso un film eterno non è solo la sua bellezza visiva o la sua poesia narrativa, ma la sua capacità di parlare a tutti, senza mai risultare banale o opprimente. I bambini ne apprezzano le avventure e le battute, gli adulti vi trovano una riflessione sulla vita, sul rimorso e sulle seconde possibilità. Mentre noi italiani, beh, siamo invitati a meditare sul nostro passato, e sul futuro che stiamo consegnando alle nuove generazioni. Ogni 25 aprile, nell’anniversario della Liberazione, troviamo tempo per ricordare Marco e la sua strenua lotta per la libertà: scegliamo da che parte stare. Autoritarismo e sottomissione, o resistenza e dignità?
Nel cielo del Mediterraneo, tra le ali ispirate al Savoia S.21, si libra in volo Marco Pagot, colui che scelse di volare controvento.