Che curioso momento stiamo vivendo. Un periodo in cui termini come “Baba Yaga” sono diventati di uso comune, in cui l’abito nero in kevlar di John Wick è diventata una skin utilizzabile nei videogiochi più famosi del mondo e in cui anche vedere una singola matita ci porta alla mente una serie di immagini legate a una scena d’azione e a un’uccisione spettacolare. Oggi tutto questo ci sembra normale. Nel nostro immaginario collettivo si sono inserite figure, termini e concetti legato all’assassino più pericoloso in circolazione e al world building che gli è stato creato attorno.
Eppure non c’è nulla di scontato in quanto è avvenuto.
Dieci anni fa Chad Stahelski e David Leicht erano due ex-stuntman, avevano una compagnia che si occupava di supportare la creazione di film action a livello di design e di coordinamento. Entrambi volevano passare dietro la macchina da presa senza però trovare qualcuno che gli affidasse il progetto giusto, il salotto buono di Hollywood gli era precluso. Contemporaneamente Keanu Reeves da quel salotto era ormai uscito ed era un volto spendibile solo per progetti minori.
Oggi John Wick 4 (leggi la nostra recensione di John Wick 4)è un film in grado di portare a casa nel weekend di esordio 137.5 milioni di dollari, due spinoff in arrivo e un protagonista entrato nell’immaginario collettivo. Stahelski e Leicht sono nel pieno di una carriera di successo, la loro 87Eleven Entertainment sta rivoluzionando l’action americano e Keanu Reeves è di nuovo un volto amato e adorato in tutto il mondo. È la storia di un successo nato però senza la progettualità dei grandi studios e degli universi super-eroistici. Un percorso che viene da lontano, che si basa su una passione condivisa e sull’idea di non inseguire il gusto del pubblico quanto piuttosto di formare e introdurre agli spettatori il proprio amore per l’action vecchia maniera e per l’idea di un cinema più artigianale e tangibile
Alle origini di Baba Yaga
Siamo a cavallo tra il 2012 e il 2013 quando Derek Kolstad termina il suo script e inizia a proporlo a mezza Hollywood. Si chiama Scorn e la storia vede al centro un ex assassino professionista sui 75 anni, ormai in pensione, che si vede costretto a tornare in azione per poter compiere la sua vendetta. Il prototipo di uomo su cui è modellato, proprio come nel caso del fumetto di Old Man Logan, è ovviamente Clint Eastwood. Il copione inizia a girare di mano in mano finché non capita sulla scrivania di Keanu Reeves. L’attore è nel punto più basso della sua carriera, viene da anni di pessimi progetti e vari insuccessi di pubblico e di critica. Ha da poco esordito dietro la macchina da presa con Man of Tai Chi, film che testimonia il suo amore per il cinema di arti marziali ma che ha svariati problemi e non piace quasi a nessuno. La lettura del copione di questo Scorn lo galvanizza, vuole interpretare il protagonista. Nonostante il momento poco felice per l’attore, tutti sono contenti di avere un volto riconoscibile come quello di Keanu Reeves a bordo. Insieme a Kolstad si affrettano a rimodellare il personaggio principale su di lui – quindi non più un 75 enne ma comunque un assassino in pensione – oltre ad approfondire tutto lo script. A questo punto non rimane che trovare il regista del film.
A Keanu Reeves vengono subito in mente Chad Stahelski e David Leicht, due stunt appassionati che avevano collaborato con lui sul set di Matrix con il primo che, nello specifico, era la sua controfigura. I due avevano fondato nel 1997 una società con la quale si occupavano di consulenze su come realizzare film d’azione e svolgevano anche il ruolo da stunt coordinators. Negli anni avevano messo in fila varie esperienze, tra cui la regia come second unit di alcuni film action. Inizialmente gli viene affidato il ruolo di coreografi e di registi della seconda unità. Stahelski e Leicht propongono poi a Reeves alcune modifiche sul modo di raccontare John Wick, che nel mentre era diventato il titolo ufficiale del progetto, introducendo l’idea della leggenda urbana, del modo realistico della messa in scena e dell’ambientazione “fantasy”. L’attore rimane impressionato così come la casa di produzione (Thunder Road) e alla coppia viene affidata la regia (Leicht non verrà accreditato per regole interne al sindacato dei registi). Dall’unione di questi elementi e soprattutto della passione e visione comune per un genere esce nel 2014 John Wick, un film a budget limitato che subito ruba l’occhio e diventa un piccolo cult nella nicchia action.
La rivoluzione di un genere
Il cinema action internazionale aveva avuto un turning point importante già prima di John Wick. Nel 2011 Gareth Evans, durante il suo pellegrinaggio indonesiano, aveva regalato al mondo The Raid, sancendo un nuovo inizio per tutto il genere. Negli Stati Uniti (e quindi in Occidente) la situazione versava in condizioni molto differenti. Da una parte avevamo gli ultimi strascichi della moda lanciata da Matrix, con coreografie di combattimenti che (ab)usavano dell’utilizzo dei cavi. Dall’altra la tendenza a non inquadrare mai completamente le scene o a staccare spesso con il montaggio prima ancora che il colpo andasse a segno. Tutte tecniche che andavano a mascherare coreografie mal assemblate o interpreti/atleti poco preparati. A questo va aggiunto un altro cambiamento importante che stava avvenendo nell’industria, ovvero l’esplosione definitiva del cinecomic modello Marvel che iniziava il suo percorso di cannibalizzazione delle produzioni action a medio-alto budget con tutte le conseguenze del caso: poco corpo a corpo, maggior uso di effetti digitali, un generale addolcimento degli scontri.
È questo il contesto in cui si inserisce il primo John Wick, uscito come detto nel 2014 (curiosamente lo stesso anno di The Raid 2). Il film giocava in modo brillante le carte su due piani. Dal punto di vista narrativo prendeva un protagonista abbozzato, gli dava una motivazione pretestuosa e ci mostrava attraverso i suoi occhi tutta la lore dell’ambientazione, lasciando quindi all’otherworld in cui si muoveva la possibilità affascinarci e di raccontarci in modo non lineare i suoi segreti. Poi c’è la messa in scena, in cui Stahelski e Leitch scelgono una via molto realistica di mostrarci i combattimenti. Le coreografie sono chiare, il montaggio non stacca, i colpi arrivano e si sentono tutti. La scalata di John Wick è fisica e tangibile e l’innegabile poco talento di Keanu Reeves, sia in termini di arti marziali che attoriali, viene compensato dal cuore che ci mette e da un personaggio che è perfettamente cucito su di lui. Il tutto impacchettato in un’estetica, super riconoscibile, dove nero e luci al neon lottano con costanza tra loro. Il film all’uscita è una sorta di mosca bianca per l’action statunitense del periodo e con un budget di soli 20 milioni se ne porta a casa circa 86. Poteva rimanere un caso isolato come molti altri e invece oggi lo vediamo come la prima tessera di un domino che ha rivoluzionato un genere.
L’influenza di John Wick
Da quel momento in poi inizia a muoversi qualcosa. Prima di tutto per Stahelski e Leitch. Come coppia di registi le strade dei due si separano immediatamente, con il primo che si occuperà di tutti i John Wick e il secondo che farà il suo esordio formale in Atomica Bionda per poi abbracciare più l’action-comedy con Deadpool 2, Hobbs & Show e l’ultimo Bullet Train. Ma la loro influenza e quella del successo di John Wick si riversa in vari progetti collaterali, come Nobody prodotto dalla 87North di Leitch o The Princess (leggi la nostra recensione di The Princess) dei 20th Century Studios. Entrambi titoli che condividono il mettere l’azione al centro del proprio racconto e un’idea di messa in scena ben precisa. L’influenza di progetti simili e dei sequel di John Wick hanno portato il cinema action statunitense in un’altra direzione, rimodellando al contempo il gusto degli spettatori. Un processo lungo, nato prima di tutto dalla passione e che ha scavato nella nicchia allargandola di volta in volta, riabituandoci a un cinema più artigianale. È questo nuovo contesto, molto lontano da quello in cui dieci anni fa si inseriva il primo capitolo, che arriva John Wick 4 a rappresentare un’eccezionale chiusura del cerchio.
John Wick 4 è la chiusura di un cerchio
Il secondo e il terzo capitolo della saga con Keanu Reeves avevano cercato di portare avanti di pari passo il piano narrativo, legato all’espansione del worldbuilding, e quello dell’esaltazione della componente action. Nonostante gli ottimi incassi al botteghino per entrambi, il risultato finale non era del tutto convincente. John Wick 2 trovava nel racconto del suo mondo il lato migliore del film, con l’azione che diventava presto ripetitiva e stanca. Parabellum, il terzo capitolo, faticava invece nell’inserimento di nuove macro-dinamiche interne (relegata tutta alla prima parte) e sceglieva presto una strada più radicalmente action ispirata al primo The Raid. Arrivati al quarto film, l’impressione è che Stahelski e Reeves abbiano deciso di andare all-in prendendo tutti gli elementi migliori della saga estremizzandoli. Fuori tutti gli elementi narrativi superflui, tagliati le linee di dialogo in eccesso. Viene tenuto solo il minimo indispensabile a collegare una macro-scena di combattimento a un’altra. Il racconto, sia dell’uomo John Wick che del mondo attorno a lui, passa esclusivamente dall’azione e dagli scontri. Le ispirazioni e le citazioni sono tra le più disparate. Prima di tutto quelle legate al resto della saga: tornano scene legate a matite usate come armi, ai cani e alle muscle car. Poi quelle prese e rubate ad altre opere: la scena del combattimento in visuale isometrica a richiamare Hotline Miami, l’intera sequenza presa e riproposta da I Guerrieri della Notte e ovviamente Matrix a più riprese.
Guardiamo poi il casting, dove ogni nome scelto ha un suo pedigree a livello di cinema d’azione: Marko Zaror, Hiroyuki Sanada, Scott Adkins in fat suit. Infine Donnie Yen, il più grande artista marziale prestato al cinema negli ultimi trent’anni, dotato di un carisma in grado di rubare la scena ogni volta che sbuca sullo schermo. Nel complesso, se prendiamo tutte le scelte fatte da Stahelski e Keanu Reeves, abbiamo un identikit chiaro del progetto che avevano in mente. Ovvero di un film realizzato da due che prima di tutto sono amanti di questo tipo di cinema. John Wick 4 è un gigantesco fan movie ad alto budget, un tentativo radicale di alzare l’asticella fino al limite andando a chiudere un percorso iniziato quasi dieci anni fa e nato anch’esso da una passione comune. Il fatto che un film come questo, pur con i suoi evidenti limiti, abbia totalizzato nel primo weekend di programmazione 137.5 milioni è un segnale interessante per molti motivi. È l’indice di come il lavoro svolto nel tempo ha abituato il pubblico a un certo modo di fare cinema. In questo senso si tratta di un risultato che fa il paio con quello di Top Gun: Maverick e di Tom Cruise che ha seguito un percorso simile negli anni ma all’interno dell’action-adventure. Sembra che gli spettatori siano interessati a un tipo di cinema più artigianale e che premia la visione in sala. Ma il successo di John Wick 4 è prima di tutto la vittoria della passione di chi lo ha realizzato e di tutti noi che amiamo il cinema di genere. Un enorme premio a chi ci ha sempre creduto.