Una delle scene più iconiche de I Simpson è quella in cui la moglie del reverendo Lovejoy si mette le mani sul volto e si domanda “perché nessuno pensa ai bambini?” La storia del cinema d’animazione è pieno di prodotti che hanno cercato di minimizzare se non proprio azzerare i lati negativi del racconto perché ritenuti troppo cruenti (si pensi alla vera fiaba di Cenerentola), troppo crudeli (la vera storia alla base de Il gobbo di Notre Dame o de La Sirenetta), o pieni di sentimenti che i bambini non sarebbero stati in grado di capire.
Ma i racconti per i più piccoli dovrebbero avere in sé anche un intento educativo, una tensione a voler mostrare anche ciò che fa “paura” in maniera controllata, ma senza facili scappatoie. Il primo capitolo di Inside Out aveva mostrato ai bambini (e non solo a loro) quanto fosse importante saper accettare anche la tristezza, accogliere un sentimento cupo, senza denigrarlo in favore di una felicità costante e assoluta. Se possibile, Inside Out 2 (leggi qui la nostra recensione) va ancora più in profondità e – parlando anche al pubblico adulto – porta sullo schermo non solo il caos della pubertà, ma anche un discorso niente affatto scontato sull’ansia.
Un fenomeno diffuso
Secondo alcuni dati riportati da UNICEF più di undici milioni tra bambini e adolescenti sono esposti o soffrono di ansia e depressione. Un numero che sembra in costante crescita, anno dopo anno, dimostrando come tenda ad abbassarsi l’età dei giovani man mano che i numeri di persone affette da ansia crescono. Già nel 2015 era ritenuto dal Ministero della Salute che il 50% dei disturbi mentali e psicologico in un individuo adulto iniziano prima dei quattordici anni. Più o meno, dunque, in quella stessa fascia d’età che viene mostrata sul grande schermo da Inside Out 2. Nel film vediamo Riley spegnere tredici candeline e, poco dopo, accedere alla fase della pubertà, con il caso ormonale che essa porta con sé. Ma il film diretto da Kelsey Mann non si limita a mostrare la fase delicata dell’inizio dell’adolescenza – anche se forse è la prima volta in ambito Disney/Pixar che una protagonista viene mostrata con un principio di acne -, ma va più a fondo, parlando del disturbo d’ansia. Riley è una ragazzina che a prima vista appare allegra, con molte doti e una rete sociale che la fa sentire al sicuro.
Tuttavia quando il cambiamento fa irruzione nella sua vita, la struttura che sembrava indistruttibile comincia a mostrare segni di cedimento e in questo senso è emblematica la scena del film in cui si vede la sala di controllo che viene distrutta per fare spazio alle nuove emozioni. Emozioni che, comunemente, vengono percepite come negative. L’invidia, che ci porta a sentirci inferiore rispetto a coloro che hanno quello che noi pensiamo di avere. L’imbarazzo, che ci fa inciampare sulle parole, che ci fa comportare da sciocchi in situazioni che non sono la nostra confort zone. E, naturalmente, l’ansia. Se, nel caso di Invidia e Imbarazzo, il film cerca di smussarne i lati più negativi – l’invidia, ad esempio, è percepita più che altro come ammirazione e voglia di emulare -, nel caso dell’ansia tutto il team produttivo si è impegnato a rappresentarla nel modo più preciso proprio perché il film è rivolto sia agli adulti che sanno già riconoscere un attacco d’ansia, sia ai bambini che possono comprendere che se si trovano a vivere qualcosa come quello che avviene a Riley non è perché sono “sbagliati”. Non ci dovremmo sorprendere, dunque, se Ansia finirà col diventare il personaggio preferito di questo secondo capitolo o se il suo Funko Pop, appena uscito insieme a quello dei nuovi personaggi, sarà quello più richiesto.
Inside Out e il ritratto dell’ansia
Uno degli aspetti che hanno reso grande la Pixar non è solo la rivoluzione in ambito d’animazione, né la scelta di affrontare temi che fino a quel momento erano stati lasciati un po’ da parte. Tra i tanti pregi della Pixar c’è quella di saper parlare anche solo per immagini, grazie a un attenzione al dettaglio che rende i messaggi quasi immediati. Prendiamo il personaggio di Ansia, vera protagonista di Inside Out 2. I suoi capelli, realizzati come se fossero una fontana sulla testa del personaggio, mandano immediatamente l’idea di overthinking, quell’essere quasi costretti a rimanere imprigionati in un pensiero e continuare a rimuginarci intorno alla ricerca di una soluzione o, peggio, di tante soluzioni. Anche il fatto che Ansia abbia una bocca larga, in effetti, sembra suggerire quell’idea del disturbo come di una voce costante nel nostro cervello che ci dice tutto quello che andrà male, tutto quello in cui sbaglieremo, tutto quello in cui non siamo all’altezza. Eppure, e qui c’è un piccolo colpo di scena se vogliamo, il colore affidato ad Ansia è l’arancione, che in ambito psicologico è un colore che serve per calmare, per dare allegria e sottolineare ottimismo.
Quello che sembra un paradosso se non proprio un errore è invece sintomo dell’attenzione della Pixar nel rappresentare questo personaggio: perché all’interno di Inside Out 2 Ansia viene mostrata come un personaggio che, in effetti, vuole lavorare al servizio di Riley, farle avere quello che desidera, portarla al raggiungimento dei propri obiettivi. In effetti, in psicologia, l’ansia, come emozione in sè, non è considerata negativa. Essa rappresenta davvero una sorta di armatura e protezione, è quella che ci fa scattare i campanelli d’allarme quando ci troviamo in una situazione potenzialmente pericolosa. Quindi ecco perché il personaggio è mostrato con un aspetto amichevole e quasi gioioso: perché vuole bene a Riley, perché la vuole proteggere ed aiutare. Finendo poi col diventare ansia patologica.
L’importanza del dialogo
Come era avvenuto anche nel primo capitolo, anche Inside Out 2 ci ricorda l’importanza del dialogo tra le emozioni e della loro commistione, perché man mano che si cresce i sentimenti si fanno sempre più complicati, sfumati, difficili da chiudere in una sola casella. Gioia, ad esempio, sembra non aver imparato molto dal suo primo viaggio e all’inizio appare – di nuovo! – come la fastidiosa e insopportabile dittatrice che vuole decidere per tutti, come se lei fosse l’unica emozione valida. E questo ci potrebbe anche condurre a una riflessione su quanto sia sbagliato aspettarsi che i più piccoli siano sempre allegri e giocosi, preoccupandoci se per sbaglio scivolano in sentimenti più complicati o meno “spumeggianti”. Si potrebbe parlare quindi di come anche Ennui, altro nuovo personaggio di Inside Out, sia importante: la capacità di annoiarsi, di godere del tempo vuoto senza bisogno di correre sempre a destra e a sinistra, soprattutto in un periodo storico come questo, in cui i disturbi ADHD sono in costante crescita.
Inside Out non demonizza un’emozione o un’altra, non dice che una è inutile o cattiva, ma dimostra come bisognerebbe imparare a farle funzionare insieme. Ed è un messaggio molto importante da dare ai più piccoli, insegnando loro a non avere paura di quello che provano, a utilizzare la loro gioia per combattere contro i pensieri intrusivi, ad accettare di non poter avere il controllo su ogni situazione, anche se questo significa imparare ad accettare una buona dose di imbarazzo. A comprendere che nessuno, davvero, è perfetto. Nemmeno Gioia, che nel corso della storia si rende conto di dover mutare lei stessa come Riley, perché non può più essere la Gioia infantile delle corse sul ghiaccio e delle giornate di sole, ma una Gioia che deve imparare a delegare, a lasciare posto ad altre emozioni che sono normali durante la fase di crescita. Ecco perché Inside Out 2 è così importante per i più piccoli: insegna loro che se provano imbarazzo, paura o, appunto, ansia, non c’è niente di sbagliato in loro e che, in qualsiasi momento, possono chiedere aiuto, come mostra lo stesso lungometraggio.
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