Motori, auto, rumori, denaro, tradimenti e ossessioni. Uomini infinitamente potenti ma intrinsecamente soli, in preda ad un destino che sembra scivolare sulle loro braccia. Tutti ingredienti che fanno di Ferrari di Michael Mann non solo un ottimo biopic di un grande regista sul grande fondatore della casa automobilistica più famosa al mondo, ma anche un succulento titolo destinato ad imporsi nella programmazione cinematografica delle ultime settimane di questo straordinario 2023, nonostante lo snobismo dei Golden Globe e la tiepida accoglienza da parte di una buona parte della stampa.
Infatti, il film è stato posto al centro di numerose critiche all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, dove è stato presentato in concorso. Tra le perplessità di chi vedeva una replica conclamata e lapalissiana di House of Gucci (film su un altro imprenditore italiano, ambientato in Italia e sempre interpretato da Adam Driver) e chi disapprovava una trama considerata troppo moscia, ce n’è una, in particolare, sollevata da Pierfrancesco Favino, presente in concorso a Venezia con Comandante e Adagio. Ed è la seguente: com’è possibile che una delle più importanti figure imprenditoriali della nostra storia sia stata interpretata da un attore americano e non da uno italiano?
La polemica di Favino
Esattamente. Perché attori stranieri sono presenti nel cast di Ferrari? Per quale motivo in tali storie che raccontano noi e il nostro paese non vengono coinvolti interpreti italiani? Questi sono i principali quesiti suscitati da Pierfrancesco Favino durante la conferenza stampa del suo Comandante alla scorsa edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Egli ha espressamente affermato che – secondo lui – dietro ad un progetto come Ferrari c’è stata una mera e grave operazione di appropriazione culturale, termine utilizzato per indicare l’attitudine da parte di una cultura (dominante) di adottare inconsapevolmente o inopportunamente elementi di un’altra cultura (minoritaria), trasformando l’immagine di quest’ultima in una ridicola storpiatura.
L’attore italiano non ci sta nel vedere mostrata in sala una storia italiana con attori americani, muovendo un’accusa anche verso un sistema nostrano incapace di difendere il proprio cinema di fronte a questi caricaturali tentativi di assumere, da parte delle produzioni statunitensi, accenti lontani da quelli dei protagonisti delle storie che vorrebbero narrare. Favino non si capacita della stranezza che un attore d’oltreoceano si sia potuto calare nei panni di un personaggio così rappresentativo dell’italianità nel mondo, sostenendo, inoltre, che se Ferrari fosse stato realizzato negli anni ’60 o ’70, sicuramente il ruolo del commendatore sarebbe spettato a Vittorio Gassman.
Le dichiarazioni della star romana sono state subito condivise con clamore da molti addetti ai lavori, assecondate e rilanciate con fermento anche da una grandissima fetta politica destrorsa in nome del mito del made in Italy. Pochissime, invece, le voci in disaccordo e fuori dal coro. Sebbene nel film sia presente un evidente problema di recitazione dovuto ad un’anglicizzazione accentuata degli attori italiani e una viceversa italianizzazione degli interpreti internazionali che può far perdere autenticità al prodotto finale, è giusto parlare di appropriazione culturale? O si tratta solamente un mal riuscito tentativo di dirigere e seguire il cast?
Un cinema senza confini
Nel corso della storia del cinema abbiamo assistito a casi di produzioni di una nazione che hanno coinvolto attori di nazionalità diverse. Qualcuno ricordi a Favino che Robert De Niro ha vinto un Oscar (Il Padrino – Parte 2) recitando in italiano. Sempre l’attore americano ha interpretato Alfredo Berlinghieri, il proprietario terriero emiliano protagonista dell’epopea di Bertolucci Novecento. Anche quando l’industria nostrana disponeva di un parterre di attori come Mastroianni o lo stesso Gassman, Visconti scelse di affidare la parte del principe Salina de Il Gattopardo (trasposizione di uno dei romanzi storici più importanti della nostra letteratura) a Burt Lancaster.
Di fronte a questi esempi Favino parlerebbe di appropriazione culturale o semplicemente di solide produzioni dotate di un cast capace di far dimenticare ogni nazionalità e di abbattere, quindi, pregiudizi e barriere culturali? Del resto l’abilità di un grande attore sta anche nel saper adattarsi su qualsiasi soggetto attraverso lo studio e la preparazione.
La dura legge del mercato
Le parole di Favino, che possono sembrare quelle di un roboante capriccio di un attore che riscopre un innato spirito sovranista, offrono altresì diversi spunti di riflessione sullo stato di salute del nostro cinema. L’attore protagonista di Adagio, l’ultimo lavoro di Stefano Sollima nelle sale in concomitanza con quello di Mann, denota come in progetti del genere non siano stati trascinati divi italiani del calibro di Servillo e Mastrandrea. Il tema è tuttavia molto complesso. Il cinema è anche mercato e l’obiettivo di qualsiasi produzione è vendere le proprie realizzazioni intercettando un pubblico più vasto possibile, specialmente se si parla di opere come quella del regista di Heat e Collateral.
Siamo sicuri che un Ferrari interpretato da un Favino qualsiasi, portabandiera di un’industria la cui quota di mercato è solamente del 3%, avrebbe avuto la stessa risonanza mediatica? Il sistema italiano non è attualmente in grado di costruire un divismo tale da far sbancare i suoi attori anche all’estero. Nel nostro Paese non esistono star capaci di creare un forte rapporto con gli spettatori internazionali. Non ci sono nomi che riescono a sorreggere prodotti di questa portata, a edificare una suggestione tale da forgiarsi una fama mondiale. A differenza di Adam Driver, Favino non ha un riconoscimento globale che gli permette di sostenere il peso di film come Ferrari costati centodieci milioni di dollari.
Creare uno star system italiano
Come asserisce il produttore italo-canadese Andrea Iervolino in controbattuta alle affermazioni di Favino, le produzioni italiane sono restie a determinate collaborazioni internazionali che possono essere utili per la crescita del nostro settore. Contrariamente agli altri Paesi europei che hanno avuto un approccio diverso: pensiamo solo a Penelope Cruz come co-protagonista di Ferrari, o anche Mads Mikkelsen e Antonio Banderas.
Tutti nomi universalmente distinti. Serve, dunque, creare un vero e proprio Star System attraverso cui far lavorare attori italiani al fianco di quelli già consolidati a livello globale. A tal proposito, Johnny Depp ha annunciato il suo nuovo film da regista. Si tratta di un biopic sull’artista Amedeo Modigliani. Nel cast l’attore americano ha scelto come protagonista Riccardo Scamarcio, insieme ad Al Pacino. Una buona occasione per promuovere i nostri talenti all’estero.
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