Sirene tagliano l’aria silenziosa della notte romana. Una notte illuminata dai riflessi arancioni di un incendio poco fuori le porte della città, vittima di continui blackout che la gettano nelle tenebre. Ed è lì, nell’oscurità, che si muovono i protagonisti del nuovo film di Stefano Sollima, nelle vie illuminate solo dai fari delle auto indifferenti, silenziosi tra la folla. E sudano, perché è un settembre afoso che fa perdere il respiro, che appesantisce i movimenti e i pensieri. L’ambientazione è la migliore possibile per dare inizio a una storia di genere, a cavallo tra il crime e il thriller, dove le vite di adulti e giovani si intrecciano, facendoli cadere in una spirale di violenza e disperazione.
Anche se poi quello che cercano è la possibilità di redenzione.
Come vedremo nella nostra recensione di Adagio, il quinto film di Stefano Sollima presentato in Concorso al Festival di Venezia 2023 (e in uscita nelle sale italiane dal 14 dicembre) sembra chiudere un lungo percorso del suo autore iniziato da quel Romanzo Criminale – La serie che ha rivoluzionato la serialità italiana. Ne riprende gli stilemi e propone qualche legame di partenza, ma soprattutto dimostra ancora una volta il talento dal gusto internazionale del regista romano, mai così ispirato e pronto a mostrare la Roma criminale come solo lui sa fare. Come una metropoli decadente su cui il nostro sguardo si poggia, stavolta con ritmi più dilatati.
Genere: Poliziesco, thriller
Durata: 127 minuti
Uscita: 2 settembre 2023 (Festival di Venezia), 14 dicembre 2023 (Cinema)
Cast: Pierfrancesco Favino, Adriano Giannini, Valerio Mastandrea, Toni Servillo
Notte prima degli infami
Basta una notte per cambiare la vita di qualcuno. Lo sa bene Manuel, un giovane ragazzo di 16 anni che è costretto a entrare in una festa privata per scattare di nascosto qualche fotografia a una personalità importante. Sono dei poliziotti che operano al limite della legalità ad averlo obbligato, per sotterrare una scomoda storia che lo riguarda. Ma il giovane si sente ricattato e raggirato e decide di fuggire, chiedendo aiuto a un vecchio amico del padre. Inizierà così una caccia tra il giovane e gli adulti lungo i quartieri più cupi di Roma, dove vecchie personalità di una Roma criminale torneranno alla luce e dove i rancori, la ferocia e la disperazione danzeranno tra loro, unendosi in un ballo di morte.
Adagio mette a confronti vecchie e nuove generazioni, sullo sfondo di una città che sembra soffocare tutto: l’aria, i sogni, le speranze, il futuro. Con un ritmo degno del miglior racconto noir, Sollima costruisce la storia passo dopo passo, facendo cadere lo spettatore in una palude che riporta a galla pezzi di un passato mai dimenticato. Si svolge così una lotta che coinvolge vecchio e nuovo mondo, che fa scontrare vecchi fallimenti e nuove visioni. Una fuga per la sopravvivenza che diventa una corsa verso un nuovo inizio.
Un film di attori
Sorprende sempre quando il cinema italiano, soprattutto nell’ambito del cinema di genere, gioca con i volti di attori ben conosciuti. Leggendo i nomi che compongono il cast di Adagio si potrebbe pensare di assistere alle solite ottime interpretazioni con facce riconosciute dal pubblico e quasi onnipresenti. Invece, in questo film, fa piacere notare come gli attori protagonisti abbiano in qualche modo messo in gioco il proprio volto, mascherandosi dietro i personaggi che devono interpretare. Se Valerio Mastandrea è quello che meno inganna l’occhio dello spettatore e Toni Servillo si nasconde dietro capelli e barba che gli donano un aspetto di uomo vissuto e lo costringono a recitare soprattutto con lo sguardo, è Pierfrancesco Favino che si dimostra, per l’ennesima volta, un gran camaleonte del nostro cinema.
Fa quasi strano dirlo, forse perché abituati da un certo cinema internazionale di cui Sollima mantiene lo sguardo (senza mai dimenticare l’italianità del prodotto), ma quando l’attore riesce finalmente a rimanere qualche passo indietro rispetto al personaggio che interpreta vuol dire che il risultato raggiunto è sicuramente superiore alla media, almeno all’interno delle nostre produzioni locali. Ed è così che anche il resto del cast, tra nuove leve come Gianmarco Franchini e nomi consolidati come Adriano Giannini, contribuisce a reggere una storia cupa, ma solidissima.
E venne il giorno
Vecchio e nuovo mondo. L’apocalisse di uno e la nascita dell’altro. In Adagio una ben oliata storia di genere si fa portatrice anche di una metafora sul confronto tra vecchie e nuove generazioni, tra il fallimento della prima e la voce scalpitante della seconda (e forse per questo il film trova spazio nel Concorso di Venezia80). A livello registico Sollima si mantiene fedele alla propria visione, resa su schermo in maniera perfetta dalla fotografia di Paolo Carnera, capace di regalare alcune tra le sequenze notturne più affascinanti e riuscite viste nell’ambito festivaliero fino a questo momento.
Perché in Sollima la forma estetica riesce a costruire un’atmosfera sospesa tra reale e immaginario, tra verità e metafora. Con un ritmo generoso, ma incapace di annoiare lo spettatore, il film penetra nella nostra carne non con la velocità di un proiettile ma con la stessa potenza. Ammaliante e compatto, affascina lentamente, dopo la visione, ora dopo ora. Adagio.
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La recensione in breve
Adagio è un film di genere che ricorda la bravura di Stefano Sollima nel costruire e rappresentare storie di genere crime, compatte e solide. Interpretato da un ottimo cast, il film ammalia lo spettatore lentamente, diventando metafora di un cambio generazionale, grazie anche a un impianto visivo che, specie nelle sequenze notturne, risulta incredibilmente affascinante.
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Voto ScreenWorld