Alla 61a Mostra Internazionale del Nuovo Cinema – Pesaro Film Festival è arrivata, in punta di piedi, un’opera prima che siamo certi avrà saputo sconvolgere (ma soprattutto toccare) nel profondo i suoi fortunati spettatori. Stiamo parlando de Il Primo Figlio, prima regia di Mara Fondacaro che racconta di Ada (Benedetta Cimatti) e Rino (Simone Liberati), una giovane coppia che sceglie di trasferirsi in una villa immersa nella natura. Incinta del loro secondo figlio, man mano che si avvicina il parto Ada comincia a rivivere il dolore per la perdita prematura del primogenito. Nonostante all’esterno si mostri felice e in salute, infatti, Ada non è ancora riuscita a elaborare il lutto – al punto da iniziare a credere che suo figlio sia ritornato dall’aldilà per impedire la nascita del fratello. E forse sta accadendo davvero.

Al cinema lo vedremo presto con la giovane ma già attivissima Nightswim Production di Ines Vasiljević e Stefano Sardo, che de Il Primo Figlio ha curato anche la resa produttiva. Il consiglio è di aspettarlo come si aspetta un grande evento cinematografico – e non solo per gli amanti dell’horror, perché quella di Fondacaro è un’opera che va ben al di là dei ristretti confini del genere d’appartenenza. Li travalica, va oltre, imponendosi come un’opera prima di carattere, più unica che rara.

Il Primo Figlio
Genere: Drammatico, Horror
Durata: 92 minuti
Uscita: tba (Cinema)
Regia: Mara Fondacaro
Cast: Astrid Meloni, Simone Liberati

Kierkegaard è il cuore di un grande horror introspettivo

Benedetta Cimatti e Simone Liberati in una scena del film – © Nightswim
Benedetta Cimatti e Simone Liberati in una scena del film – © Nightswim

D’altra parte, che con Il Primo Figlio ci troviamo dinanzi a una creatura narrativa straordinaria ci appare evidente sin dalle primissime battute del racconto. Laddove un qualsiasi horror di razza sarebbe partito fortissimo – magari piazzando perfino un jumpscare urlato con cui terrorizzare da subito lo spettatore, per poi fargli riprendere fiato con le sequenze successive – Fondacaro sceglie invece l’ingresso scenico ragionato e l’introspezione, arrivando perfino a scomodare il concetto dell’angoscia (angst) di Søren Kierkegaard per parlare dell’imperfetta condizione umana. Uno stato emotivo descritto dal filosofo danese come figlio della consapevolezza della libertà e delle possibilità illimitate dell’esistenza umana.

Quella scaturita dall’angoscia, infatti, non è una semplice paura, ma una vera e propria vertigine di fronte all’abisso delle scelte possibili. Un abisso in cui l’individuo, unico e solo responsabile del proprio destino, può rischiare di prendere una decisione tanto giusta quanto sbagliata. È su questo meccanismo di tormento interiore che Fondacaro costruisce le caratterizzazioni dei suoi Ada e Rino. Agenti scenici costretti in archi di trasformazione che li vedono dilaniati, a vagare in un mondo sospeso tra il passato di dolore di un lutto insopportabile e il presente di vita di una gioia di cui è impossibile godere.

Un esordio da incorniciare

Benedetta Cimatti in una scena de Il Primo Figlio – © Nightswim
Benedetta Cimatti in una scena de Il Primo Figlio – © Nightswim

Questo si traduce in soluzioni d’immagine stranianti e dai toni freddi su cui Fondacaro semina jumpscare semplici, ma efficaci. Suggestioni oniriche e distorsioni visive che contribuiscono a creare e a mantenere una tensione scenica che, anche quando l’orrore si manifesta ai nostri occhi in forma putrefatta e tangibile, non degenera mai nel sanguinoso o nel gore gratuito. La forza, la bellezza filmica di Il Primo Figlio sta proprio nel come, nonostante tutto faccia pensare a un horror esoterico e terrorizzante alla maniera – nel suo piccolo – di Rosemary’s Baby e la saga di Omen, la narrazione mantenga invece una sobrietà di grande ricercatezza stilistica.

Se però oggi siamo qui a parlare, in questi termini, de Il Primo Figlio, il merito è anche della sua magnifica coppia scenica. Perché se Liberati garantisce a Rino quella giusta dose di lealtà e cinismo con cui restare coi piedi per terra anche quando tutto sembra essere stato inghiottito dalle tenebre di dolore, è Cimatti l’assoluta forza trainante del film. E non solo perché, a più riprese, Fondacaro la avvolge in splendidi primi e primissimi piani a cui opporre, in controcampo, dispersivi e alienanti campi lunghi, ma perché è in lei che convive il conflitto angosciante di tutto il racconto tra passato e presente narrativo. E non si perde mai. Per Mara Fondacaro è buona la prima, e adesso non vediamo davvero l’ora di scoprire quello che verrà dopo.

Conclusioni

7.5 Ipnotico

All'esordio nel lungometraggio cinematografico, Mara Fondacaro realizza uno straordinario horror di emozioni che ribalta completamente i canoni del genere, servendosi di un duo di talenti che ogni regista vorrebbe poter avere a disposizione: Benedetta Cimatti e Simone Liberati.

Pro
  1. Le atmosfere
  2. Benedetta Cimatti offre una prova attoriale magistrale
  3. L'eleganza della regia
Contro
  1. Gli amanti degli horror canonici potrebbero restare sorpresi
  • Voto Screenworld 7.5
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Classe 1989, si è innamorato del cinema con Jurassic Park e da allora non ne può più fare a meno. Scrive per necessità e continua a credere che la vita sia come un film di Billy Wilder.