Nella vita di tutti ci sono dei film scolpiti nella pietra, che rivediamo ciclicamente almeno una volta all’anno, capaci di darci quel senso di benessere e felicità di cui sentiamo il bisogno nella vita quotidiana. Di questi film conosciamo le battute a memoria, tanto da usarle alla bisogna durante le conversazioni con gli altri. Un esempio? “Potrebbe esser peggio. Potrebbe piovere”.
Frankenstein Junior risponde sicuramente a tutti questi requisiti ed è ancora oggi una delle commedie più apprezzate dal pubblico – anche fra coloro che non conoscono il suo regista o non hanno visto altri suoi film.
L’opera, la commedia, l’ironia, la risata: è come se la perla con protagonista Gene Wilder occupasse uno spazio a parte nella filmografia di Mel Brooks, sorretta per ben 50 anni da un amore tutt’altro che casuale.
Una ricetta che funziona sempre
La parodia e la commedia si basano su schemi ben precisi, quasi infallibili. La commedia gioca con l’equivoco, il travestimento, lo scambio di personaggi, le battute pungenti e mai banali; la parodia, dal canto suo, deve poggiare su un’opera originale molto conosciuta (meglio se un film o un libro) per risultare efficace.
Mel Brooks in questo era un maestro: quasi tutti i film che ha diretto erano la parodia di un genere cinematografico – il western in Mezzogiorno e mezzo di fuoco, Balle spaziali che riprende chiaramente Star Wars o ancora Robin Hood: Un uomo in calzamaglia che si rifà al famoso racconto di Dumas o al film con Kevin Costner.
Fra tutti, però, Frankenstein Junior è quello che col passare del tempo è rimasto brillante come il primo giorno, iconico e inarrivabile. Merito, oltre che della genialità del regista, di una sceneggiatura dalle battute leggendarie scritta dallo stesso protagonista: Gene Wilder, l’interprete di Frederick Frankenstein, con il quale Brooks ha lavorato a stretto contatto in tutte le fasi della produzione. Wilder ebbe l’idea per il film in un periodo già florido della sua carriera: reduce dalle riprese di Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso* ma non avete mai osato chiedere, gemma di Woody Allen targata 1972, l’attore si decise a girare una parodia in bianco e nero che rimandasse ai grandi cult degli anni ’30 di James Whale, Frankenstein (1931) e La sposa di Frankenstein (1935).
“Si può fare”
Gene Wilder racconta la genesi del film, dall’idea alla sua realizzazione, nell’autobiografia Baciami come uno sconosciuto (Sagoma editore). Qui l’attore, immerso in un racconto che mescola vita personale e professionale, parlava anche di Frankenstein Junior:
“Durante le vacanze pasquali andammo a Westhampton Beach per qualche giorno. Il ricordo di Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso… era così piacevole che mi intristiva il pensiero che avrei potuto non ricevere mai più proposte per progetti così belli.
Un pomeriggio, dopo pranzo, raggiunsi la mia camera da letto con un blocco di fogli gialli tipo legal e un pennarello blu. In cima alla pagina scrissi Young Frankenstein e buttai giù due pagine di un’ipotetica trama in cui immaginavo di essere il nipote di Beaufort von Frankenstein, che veniva convocato in Transilvania in quanto erede della proprietà Frankenstein”.
Come si suol dire, il resto è storia: se volete conoscere il percorso produttivo del film, la scelta del cast e come sono state concepite le iconiche battute di Igor e compagni, l’autobiografia di Wilder è quello che ci vuole. Ma un film che riesce a superare lo scorrere del tempo, fidelizzando il pubblico per anni, non è solo frutto di una buona ricetta, è anche il risultato del rapporto che il film stesso crea con il pubblico e degli indimenticabili interpreti del film.
Il segreto sta nella coppia
In Frankenstein Junior ci sono diverse coppie che funzionano e che hanno contribuito a rendere il film il grande prodotto cinematografico che è. Il perno è sempre Gene Wilder che, non dimentichiamolo, all’epoca della produzione aveva già interpretato Willy Wonka nel 1971, oltre al film di Woody Allen del 1972. Se completiamo il quadro con il ruolo di protagonista ne La signora in rosso del 1984, gli sono bastati pochi ruoli per entrare nella storia del Cinema e nel cuore del pubblico. Nel caso di Frankenstein Junior, il merito del successo si fa però più corale: il tocco di Mel Brooks ha trasformato una buona sceneggiatura e una grande idea in un film quanto mai divertente, ma soprattutto spendibile per il mercato.
Regista e attore protagonista ebbero poi la fortuna di beccare l’interprete perfetto per la parte di Igor: Marty Feldman. All’epoca Feldman era già un comico affermato e la star dello show The Marty Feldman Comedy Machine. Alla coppia Brooks/Wilder si unirono così quella composta da quest’ultimo e da Feldman, forse la più comica di sempre, ma anche quella composta da Wilder e da Peter Boyle, l’indimenticabile creatura. A questo vanno poi ad aggiungersi le attrici principali del film che hanno dato ulteriore spessore e smalto alla storia: Cloris Leachman, l’iconica Frau Blücher; Teri Garr, attrice talentuosa nei panni di Inga (già celebre per aver recitato nel cult Tootsie di Sidney Pollack), Madeline Kahn nei panni di Elizabeth.
Le parole giuste fanno la differenza
Un fun fact davvero interessante è riportato sempre nell’autobiografia di Wilder: al momento di scegliere il personaggio della fedele governante del nonno di Frederick, l’attore voleva che quest’ultima fosse una persona davvero spaventosa. La prima immagine che gli venne in mente fu quella dell’inquietante governante in Rebecca la prima moglie, che unito al nome Blücher doveva far impaurire persino i cavalli ogni volta che veniva pronunciato.
“Dopo l’uscita trionfale di Frankenstein Junior, la gente mi chiedeva se sapessi che la parola blücher in tedesco significa ‘colla’ (che si produceva con i cavalli). La verità, però, è che non mi è mai passato per la mente che quella parola potesse significare qualcosa: mi piaceva il suono che aveva… mi sembrava potesse davvero spaventare anche i cavalli (che ne sapevano più di me a quanto pare)”.
Vi sfidiamo a non ridere ancora
Tra i tanti particolari legati alla pellicola non bisogna dimenticare il doppiaggio. In Italia conosciamo le battute del film a memoria, ma diversi fra gli scambi adattati hanno significati decisamente diversi per il pubblico non anglofono. Capita praticamente sempre che le due comicità non si sovrappongano, ma questo è uno dei casi più celebri. Prendiamo per esempio la famosa e indimenticabile scena di “Lupu ululà e castellu ululì” che ci fa ridere tanto ancora oggi: in originale, quello scambio di battute punta sul gioco di parole tra la domanda di Inga “Where wolves?” (che in italiano è stato tradotto con “Lupo ulula”, anche se letterlamente vuol dire: “dove sono i lupi'”) e il fraintendimento di Frederick, che capisce “Werewolves” (che in italiano significa licantropi). A quel punto Frederick si spaventa e chiede a Igor: “Werewolves??”.
Igor interpreta a sua volta la domanda del dottore come uno strano modo di parlare e risponde: “There” al che il dottore è ancora più confuso e dice: “What?” ricevendo la risposta di Igor: “There Wolves! There Castle!”. Letto in questo modo lo scambio di battute non fa neanche tanto ridere, ma qui subentra l’adattamento di Mario Maldesi che convertì per l’italiano le battute del film. Anche grazie ai professionisti italiani possiamo quindi ridere ancora come la prima volta, ammirando un grande classico restaurato appositamente per la sala in uno spettacolo imperdibile.
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