Luca Liguori
Scherzando (ma forse nemmeno troppo), ho sempre detto che mai nella vita mi sarei voluto ritrovare da solo in una stanza con David Lynch. Perché negli anni, film dopo film, mi ha confermato una cosa che avevo intuito fin da ragazzino: David Lynch non solo conosceva i miei (e i nostri) incubi, ma era riuscito a dar loro forma, trasformandoli in arte.
Per me tutto è iniziato con Twin Peaks, quando ero alle medie. In TV, in prima serata, camuffava quegli incubi con un giallo apparentemente per tutti. Il tormentone “Chi ha ucciso Laura Palmer?” faceva discutere ovunque: nei supermercati, a scuola, persino a tavola. Ma mentre gli altri si concentravano sul mistero, io ero ossessionato da Bob. Quella figura mi spaventava come nient’altro, ma al tempo stesso mi attirava irresistibilmente. Quella paura sottile e disturbante, che non avevo trovato nemmeno negli horror più cruenti, era lì, su Canale 5, in prima serata. Era l’essenza della paura. E ancora oggi non saprei spiegarne il perché. Probabilmente Lynch avrebbe saputo spiegarmelo, ma è anche per questo che non avrei mai voluto ritrovarmi da solo in una stanza con lui.
Negli anni, Lynch ha continuato a plasmare i miei incubi. Con Bob e quel finale della seconda stagione che mi ha traumatizzato al punto da farmi temere gli specchi di notte. Con Fuoco cammina con me, che ho evitato per anni. E poi con Strade perdute, Mulholland Drive, Inland Empire e quella terza stagione di Twin Peaks il cui finale, tanto meraviglioso quanto folle, ancora mi tormenta.
Ma Lynch non è stato solo paura. È stato ironia, sensualità, poesia e molto altro. Un artista completo, come pochi ce ne sono stati e forse ancor meno ce ne saranno. I suoi film, le sue opere e le sue sagaci battute resteranno per sempre, indelebili. Eppure, per me, la sua morte significa la perdita di colui che più di tutti ha saputo dare forma alle mie paure e ai miei incubi. Per questo, paradossalmente, mi mancherà come mai nessun altro.
Giuseppe Grossi
Prima di vederlo, David Lynch l’ho ascoltato. Assorbito con i timpani in modo quasi proibito. Succedeva quando mia madre vedeva Twin Peaks, creando dentro di me la tipica curiosità pruriginosa dei bambini messi davanti a qualcosa di oscuro. E sì, come tanti della mia generazione, quelle note alienanti della sigla di Badalamenti hanno infestato i miei incubi per molti anni, portandomi dentro dimensioni inquietanti.
Il primo Lynch visto con gli occhi fu Velluto Blu. Primo anno di università, corso di “linguaggio audiovisivo”. Non smetterò mai di ringraziare il professor Anton Giulio Mancino per averci aperto gli occhi e la mente con la proiezione di quel thriller/noir così seducente e oscuro da farmi innamorare. Quel film, oltre ad ammaliarmi, creò in me un desiderio ben preciso: vedere un film su Dylan Dog diretto da David Lynch. Con Kyle MacLachlan nei panni dell’Indagatore dell’Incubo, ovviamente.
Non è mai successo, ma da quel giorno ho imparato altro. Ho capito che nel cinema le domande sono più importanti delle risposte. E che i film non sono fatti solo di suoni e immagini. Perché alcuni li puoi anche toccare. E il cinema di David Lynch era e sarà sempre misterioso, seducente e affascinante come un lungo abito di velluto blu. Da quel giorno ho capito che c’è tanta vita nel cinema di David Lynch.
Gabriele Cerrito
Quando mi chiedono perché faccio questo mestiere, rispondo sempre di essere “un figlio di Lynch”: Twin Peaks, a 13 anni, è stata l’opera che mi ha cambiato la vita e mi ha spinto a voler capire il cinema, analizzandone ogni sua parte – partendo dalle sue opere e da quelle di Allen per arrivare a dove sono oggi. A questo folle genio devo tutto, dalla perseveranza in questo ambito alla creatività nella vita. David Lynch ha visto i miei sogni ed è riuscito a dargli una forma concreta che superasse qualsiasi orrore.
Un giorno come questo, per me, era quasi impensabile. C’è una poetica triste e affascinante intorno alla contemplazione dei grandi maestri: cosa costa cristallizzare i tuoi idoli in uno stato di maturità perpetua? Quelli come Lynch li immagini sempre lì, epicentro di ogni tua citazione o riferimento, a godersi la vita con gli occhiali da sole in cerca di nuove speranze da sognare. Non è soltanto un maestro che viene a mancare, ma un faro che ha illuminato il mondo per decenni. Immaginare Lynch come un’icona sulla soglia dell’eternità è sicuramente doveroso, ma costerà tantissimo abituarcisi. Spero solo di riuscire, nel mio piccolo, a trasmettere la sua gioia interiore e il suo amore per la vita. Al di là di ogni confine.
“Questi corpi sono destinati a svanire, ma lo spirito resta al di là della forma, eterno”. Non c’è altro da dire, se non grazie. Per sempre.
Gabriele Barducci
A David Lynch non interessava il risultato, ma il viaggio. Anzi, il suo contorno. Quelle sfumature non ben definite, difficili da catalogare per l’occhio umano. Lui ci provava, ci riusciva. Questo è quello che mi ha sempre attratto del suo cinema.
Un astratto che diventava concreto e affascinante su pellicola. Una canzone spalmata su un dipinto dalle forme sinuose. Per come l’ho conosciuto io, Lynch era la testimonianza di chi ce l’aveva fatta, di chi prendeva sogni, incubi e visioni per dargli attributi, valori. Ogni suo film si arricchiva del seme della scoperta, dell’indagine, della pura sperimentazione audiovisiva.
In un mondo di registi operai, David Lynch era un vero e proprio artigiano che usciva fuori dai classici generi per creare qualcosa di proprio, con le sue mani. Unico. Difficile da replicare. Il suo cinema è impossibile da ignorare, magari lodare o anche criticare perché no, ma ha indagato e legittimato i sogni – e di questo gliene siamo tutti grati. Roy Orbison suona In Dreams per l’ultima volta ed è subito Velluto Blu, è subito David Lynch. È subito Cinema.
Andrea Palazzolo
Lynch aveva la capacità di trasportarci oltre la mera comprensione di una scena. Perché non è importante capire un film, ma sentirlo nel profondo. E quando un regista ti lascia qualcosa addosso per anni, è in quel momento che diventa immortale.
Manuel Enrico
Ho sempre pensato che Lynch indagasse il mondo da un punto di vista unico, vedendo cose che sfuggono a noi comuni mortali, dando voce a quegli interrogativi dell’anima a cui, forse, solo lui aveva trovato risposta.
Alba Rossi
Per un Maestro che ha trascorso la vita nell’Oltre, la morte è solo un’altra avventura. David Lynch ha sbloccato il livello Loggia Nera e ora è lì, con i suoi occhiali da sole, a sbeffeggiare i mostri che lui stesso ha creato. È grazie a lui se ho un’idea di aldilà.