Ci sono giorni che vorremmo non arrivassero mai, quelli in cui viene da chiedersi “ma la caratteristica principale di un dio non è l’immortalità?“. David Lynch non è più tra noi. Quando mai lo è stato, a essere onesti? Il sarto degli incubi non ha fatto altro, per una vita intera, che confezionare la propria idea di aldilà, in modo da avere un rifugio confortevole per quando sarebbe stato il suo momento. David Lynch si è nutrito di sogni e di fumo. Il suo corpo mortale non ha retto agli eccessi dell’uomo, ma la sua fulgida mente vive nelle creazioni che ha regalato al mondo.
Con gli occhiali da sole, indossati per fronteggiare un “futuro molto luminoso“, e la gioia di godere delle piccole cose, quelle che lui sapeva essere le più grandi, come “due cookies e una Coca Cola“, è entrato nel cuore di chi lo apprezza senza comprenderlo. E in un momento così tragico per la storia del cinema sorge un quesito: perché ci sentiamo così legati a un uomo che non abbiamo mai conosciuto? Indipendentemente da Lynch stesso, è estremamente comune che al decesso di un vip ci si senta affranti e svuotati, ma perché? Ecco il motivo per cui si ha la sensazione di aver perso più che un semplice artista.
Non solo glitter e champagne
Se ne va un amico, un confidente, un guru, un “prossimo congiunto”, per usare un’espressione dei nostri tempi. Si è soliti immaginare la vita degli artisti come un idillio perfetto, qualcosa che vada oltre la dimensione reale, ma la Città degli Angeli brucia, un enfisema polmonare si porta via l’ennesimo mostro sacro e capiamo che l’Olimpo è più vicino di quanto si possa credere.
Quante risate ha elargito Robin Williams a un pubblico adorante? Tutte quelle che, nella vita vera, si consumavano nell’afflizione dell’ansia e in una patologia che ha portato Pagliacci alla depressione e al suicidio. Ma che ne sappiamo, noi comuni mortali? Quella è Hollywood, loro sono gli angeli, respirano glitter e si nutrono di successi. Niente di più falso. La luce in fondo al tunnel è quella ultraterrena, qui non resta che dire addio alle spoglie mortali e continuare a vivere nel sogno, con la straripante Mrs. Doubtfire, il rivoluzionario Patch Adams e l’eterno Peter Pan.
Il posto che prendono nei nostri cuori
Siamo spettatori delle nostre avventure preferite da un divano sempre meno affollato: come lo spieghi agli altri “Friends” che non rivedranno più Chandler nell’appartamento? Chi si accollerà il fardello di comunicare agli studenti di Hogwarts che è tempo che Minerva McGranitt si goda la meritata pensione, senza più rimettere in riga quella “balbettante, bambocciona banda di babbuini“? Perché è con le lacrime agli occhi che rivolgiamo l’ultimo saluto a questi dei mortali? Perché hanno sempre parlato di sé stessi a noi. Ci hanno arricchito, emozionato, intrattenuto.
“Come sei entrato in casa mia?“, chiede Fred Madison all’Uomo Misterioso in Strade Perdute. “Mi hai invitato tu. Non è mia abitudine andare dove non sono stato invitato“. È questo il punto: non invitare a casa tua qualcuno al quale non sei disposto a dire addio. O forse no. Forse, il punto è che valga la pena soffrire per la perdita, dopo aver amato così intensamente.
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