Cortometraggio : Film di breve durata, generalmente non superiore ai 40 min.

Questo mese, i cinque cortometraggi selezionati non seguono una linea narrativa comune ma sono uniti, invece, da una comune scelta tecnica: tutti i corti sono prevalentemente narrati. In ciascuno, la figura del narratore assume un ruolo centrale, diventando la chiave d’interpretazione attraverso cui lo spettatore osserva e comprende ciò che accade sullo schermo.

Il ruolo del narratore nel cinema, oggi sempre più raro, affonda le sue radici nella storia stessa del linguaggio cinematografico. Se nel cinema occidentale delle origini, la funzione narrativa era spesso affidata a didascalie scritte, in quello giapponese il narratore assumeva il ruolo principale. I benshi, veri e propri imbonitori, accompagnavano ogni proiezione raccontando in diretta le immagini, influenzando in maniera decisiva la percezione delle storia.

Nel panorama contemporaneo, l’utilizzo del voice-over è spesso liquidato come cliché, associato a un modo di raccontare pigro o poco cinematografico. Il celebre motto “Show, don’t tell” è diventato quasi un dogma: il cinema deve evocare, suggerire, lasciare spazio alla scoperta. Eppure, in alcuni casi, come nei cinque cortometraggi presentati qui, la voce narrante diventa un potente espediente carico di carisma. Non un semplice accompagnamento, ma una presenza che orienta, trasforma e a volte sovverte il senso delle immagini. Un ritorno consapevole a una delle forme più antiche del racconto cinematografico.

Corti drammatici: To Kill a Child

Gösta Werner, Sweden, 1952, 9’

To Kill a Child - © Minerva Film AB
To Kill a Child – © Minerva Film AB

Il naturalismo svedese, con i suoi paesaggi incontaminati e la luce naturale tipica del cinema scandinavo si fonde in To Kill a Child con un senso crescente di terrore. La quiete di una giornata estiva, i prati verdi e la natura nella sua forma più pura si scontrano violentemente con il racconto cruento e distaccato del narratore. Una bambina sta per essere uccisa.

Gli ultimi momenti della sua vita (e quelli dell’ignaro assassino) vengono narrati con freddo filosofare, trasformando questo film in un’opera ai confini dell’horror. Lo spettatore è lasciato a contemplare una serena bellezza, mentre sente montare l’angoscia dell’inevitabile. Con To Kill a Child, Gösta Werner torna in qualche modo al naturalismo svedese delle origini, al tempo di The Phantom Carriage, dove la natura è insieme splendida e crudele e la morte, pur annunciata, rimane inesorabile.

To Kill a Child è disponibile su Netflix.

Corti Moderni: Mud Crab

David Robinson-Smith, 2022, Australia, 12’

In Mud Crab una ragazza riflette su un ricordo che non riesce a scrollarsi di dosso: una volta, insieme a un gruppo di ragazzi, aveva assistito all’umiliazione e pestaggio di un suo coetaneo, Daniel. Non sa perché quel momento la perseguiti ancora oggi, ma ora comprende quanto quell’episodio abbia segnato la vita di Daniel.

Il giovane regista australiano David Robinson-Smith si è ispirato ai luoghi della sua infanzia e alla sua stessa famiglia, da cui ha tratto la rabbia e la tensione emotiva che pervadono il film. Mud Crab è fotografato con una morbida luce naturale che contrasta con la brutalità del gesto rappresentato. L’opera è concepita come una poesia visiva, un tentativo di catturare il tono ed il peso emotivo della violenza. Più che raccontare, il film evoca: un senso di colpa che riaffiora, una consapevolezza tardiva, l’incapacità di ammettere del proprie colpe.

Corti Lontani: La Jetée

Chris Marker, 1962, France, 28’

La Jetée di Chris Marker, già presente in questa rubrica come co-autore di Valparaíso, è un cortometraggio fantascientifico post-apocalittico diretto nel pieno terrore della Guerra Fredda. Dopo la Terza Guerra Mondiale, le radiazioni hanno reso la superficie terrestre inabitabile, costringendo l’umanità a rifugiarsi in tunnel sotterranei. Un gruppo di scienziati utilizza dei prigionieri per sperimentare viaggi nel tempo, nella speranza di ottenere aiuto dal futuro.

Marker sceglie una forma narrativa inconsueta per raccontare una storia che parla del tempo: il cortometraggio è un fotoromanzo, una sequenza di immagini statiche accompagnate dalla voce narrante. Ogni fotogramma congela il tempo e l’unico movimento possibile è quello del pensiero, della voce e della memoria. Proprio la memoria assume un ruolo centrale diventando mezzo e fine, strumento narrativo e tema esistenziale, in un’opera che è tanto filosofica quanto poetica. Marker ci interroga così sull’importanza dei ricordi, su come essi definiscano chi siamo e ci guidino, talvolta inconsciamente, verso un futuro preannunciato.

Corti Animati: Harvie Krumpet

Adam Elliot, 2003, Australia, 22

Nei suoi film, Adam Elliot è ossessionato da persone che potremmo descrivere come tristi, sfortunate, emarginate dalla società. Questa ossessione è presente fin dai suoi primi cortometraggi, ed è evidente anche in Harvie Krumpet, vincitore dell’Oscar come miglior cortometraggio animato del 2004. Harvie è un immigrato polacco in Australia, affetto da disturbi mentali. La sua vita è una lunga sequenza di disgrazie: la morte dei genitori in un incendio, un incidente sul lavoro, un fulmine che lo colpisce… e così via. Eppure, come tutti i personaggi di Elliot, Harvie a trovare bellezza nelle piccole cose, a scoprire momenti di meraviglia dentro un’esistenza che sembra negargli ogni felicità.

Lo stile di animazione, caratterizzato da un completo rifiuto di tecniche non tradizionali, è volutamente imperfetto con personaggi goffi e brutti. Il modo in cui sono costruiti e animati è pensato per suscitare nello spettatore un senso di disagio e repulsione. Ma sotto questa facciata si nascondono vite tragicamente umane caratterizzate da piccoli momenti di  bellezza, come fumare nudo una sigaretta all’alba.

Corti da ridere: Death to the Tinman

Ray Tintori, 2006, USA, 12’

In questo film studentesco, Ray Tintori rielabora con ironia e surrealismo una storia d’amore e trasformazione, mescolando influenze lynchiane con il mito dell’eroe. Bill ama Jane e Jane ama Bill, ma la loro vita prende una piega assurda e tragica quando una serie di incidenti trasformano Bill in un uomo di latta.

La storia si presenta come una origin story alternativa del Boscaiolo di Latta del Mago di Oz, ma è attraversata da un’energia adolescenziale volutamente stupida. Ogni impresa di Bill è raccontata con un tono ironicamente eroico, quasi derisorio. Death to the Tinman è un’opera di gioventù, un piccolo delirio creativo che mescola amore, religione, rivoluzione e mutilazioni in un’esplosione di trovate visive e umorismo assurdo.

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Fisico per lavoro, cinefilo nel tempo libero, Mario si è laureato in fisica a l’École polytechnique e mentre prosegue il suo dottorato scrive per FilmExposure.ch. Condivide il suo amore per il cinema attraverso articoli che mirano a coinvolgere altri appassionati, promuovendo un più profondo apprezzamento per questo variegato mondo.