Forse non saremmo stati abbastanza pronti. È questo il primo pensiero che esplode nella nostra mente arrivati ai titoli di coda di Black Widow, il film Marvel uscito quest’estate in sala e disponibile su Disney+. Un film che doveva uscire un anno fa, prima delle serie tv del Marvel Cinematic Universe, fungendo allo stesso tempo da epilogo e nuovo inizio. Non c’era modo migliore di ringraziare la Vedova Nera interpretata da Scarlett Johansson con un film a lungo atteso dedicato al suo personaggio. Un personaggio rimasto sempre un po’ troppo nell’ombra e che, in dodici anni di MCU, si è evoluto. Un’icona che è diventata portatrice della stessa evoluzione che il progetto editoriale dei Marvel Studios sta mettendo in scena: da eroina sex symbol a vero e proprio personaggio tridimensionale. In mezzo, c’è tutto un percorso, doloroso, zoppicante, talvolta non veloce quanto ci si sarebbe aspettati, che con il suo film stand-alone finalmente trova compimento.
Il film Marvel ha un significato importante, che viene raccontato attraverso un’opera che lascia sconcertati. Un film potente, crudo, a tratti imperfetto, ma che, nel mostrarsi in ritardo, sembra uscire al momento giusto. Black Widow invita lo spettatore ad andare oltre alle apparenze, a superare la pura e semplice superficialità della visione per imbastire un discorso serissimo su cui riflettere. Una piccola avvertenza, prima di procedere: nei paragrafi che seguono saranno presenti spoiler, anche importanti, sul film.
“Here we are now, entertain us”
Quindici minuti di prologo in cui facciamo la conoscenza di una giovane Natasha e della sua famiglia (fittizia). Una fuga che si conclude con le due sorelle, Natasha e Yelena, sedate e costrette a diventare Vedove Nere. È a quel punto che accade qualcosa che mancava da parecchio tempo nei film Marvel Studios: assistiamo a dei veri e propri titoli di testa. In sottofondo, una cover eterea di Smell Like Teen Spirit che dona alle immagini un tono cupo e triste. Eppure il testo della canzone è chiaro: “Eccoci qui, intratteneteci”. Ci sarà una buona dose di intrattenimento com’è lecito aspettarsi da un blockbuster appartenente al progetto Marvel Cinematic Universe, ma non si può fare a meno di notare sin da subito qualcosa di stonato. Di diverso.
I titoli iniziano con le urla delle ragazzine spaventate. Le vediamo imprigionate, illuminate da decisi tagli di luce, catturate, divise. Un orsacchiotto di peluche abbandonato su una sporca pozzanghera. È la fine dell’innocenza: lo è per le bambine della storia, costrette a diventare delle macchine da guerra e a perdere pezzi di sé che le rendono donne e umane (scopriremo più avanti che verrà loro asportato l’utero). Lo è anche per i Marvel Studios che, una volta conclusa la Saga dell’Infinito e averci regalato uno dei più grandi spettacoli del cinema dell’intrattenimento, sembrano voler cambiare registro in maniera definitiva. Era già capitato con WandaVision, una serie che sotto la superficie della sit-com nascondeva una dolorosa elaborazione del lutto o con The Falcon and The Winter Soldier, che metteva in scena la frattura dell’America dovuta al razzismo; Black Widow, però, rimuove tutti i filtri pop e ci catapulta in un mondo crudo e violento, dove gli uomini decidono il destino delle donne.
Non si può dire che alla regista Cate Shortland manchi il coraggio. I titoli di testa di Black Widow colpiscono perché riassumono in pochi minuti una vita di sofferenze impossibile da raccontare a parole. Ci pensano le immagini raccapriccianti, amatoriali e sgranate, che donano un sapore di marcio e che non appartengono al cinema digitale del blockbuster contemporaneo.
Legami di sangue
Chi è Vedova Nera? È stato un personaggio sfuggente sin dalla sua prima apparizione in Iron Man 2. Anzi, si potrebbe dire che ciò che è mancato all’eroina interpretata da Scarlett Johansson è stato proprio il personaggio. A tratti una figura imprescindibile, a tratti relegata sullo sfondo, spesso messa in scena come un’incantatrice femminile su cui posare lo sguardo adolescenziale e poco più. Black Widow doveva essere un film sul riscatto e così è stato. Un riscatto duplice, perché se da un lato i Marvel Studios sembrano fare ammenda non solo perché dedicano un film a Vedova Nera (come per tutti gli altri Avengers), dall’altro ne forgiano il personaggio con un tono maturo e adulto. Sotto l’apparenza di un blockbuster per tutta la famiglia si nasconde uno dei più cupi e violenti film dei Marvel Studios. Ci sono l’umorismo e l’ironia che hanno da sempre caratterizzato questi film, ma ci sono anche gambe spezzate e corpi mutilati. L’eroina rimane tale, infallibile e capace di salvarsi in ogni pericolosa situazione, ma sotto traccia permane un sentimento di crisi esistenziale.
Andare oltre le apparenze: vale per il personaggio di Natasha, non più un’eroina che combatte attraverso le pose sexy, così come per i legami di sangue dei personaggi. Una famiglia che è allo stesso tempo unita, ma che è pure fasulla. Un corto circuito tra ciò che è vero e ciò che è falso, tra ruoli da interpretare e relazioni umane. Sorelle che non lo sono biologicamente, ma che in qualche modo lo sono comunque. Famiglie composte da attori la cui recita inizia a dissolvere i confini con la realtà. In un canonico film della Fase Quattro, una fase che deve far ripartire l’Universo Cinematografico Marvel attraverso nuovi personaggi che ereditano i ruoli degli eroi conosciuti, Black Widow racconta il vecchio e il nuovo. La Vedova Nera che è destinata a morire (Natasha morirà in Avengers: Endgame e lo spettatore già lo sa) e la Vedova Nera che ne prenderà il testimone (Yelena, interpretata da Florence Pugh).
Dare un significato
Il film riesce nell’impresa di donare un significato tutt’altro che banale sul ruolo della donna. Ruolo da intendersi non solo in senso attoriale, ma anche come obiettivo per giustificare la propria esistenza. Le Vedove Nere sono marionette di Dreykov, un uomo potente che le controlla (mentalmente e fisicamente). Simbolo perfetto della società del patriarcato, Dreykov è nascosto nella Stanza Rossa, in una stazione sopraelevata sul resto del mondo. Superiore alla terra, quasi un edificio di stampo divino, irraggiungibile, come i dogmi socio-culturali che rappresenta. Inoltre, Dreykov non può essere colpito dalle Vedove Nere in nessun modo grazie ai feromoni che biologicamente emette. In altre parole, la donna non può ferire l’uomo proprio per natura, a causa di un fattore biologico. Sarà attraverso la rottura di un nervo che Natasha potrà finalmente colpire il suo antagonista. Una rottura dolorosa e autoimposta, che però ne risveglia l’indipendenza e sancisce definitivamente la perdita di quel legame (stavolta sanguinoso) tra chi si crede il proprietario e chi passa tutta la vita a credersi una proprietà.
La Stanza Rossa e l’impero di Dreykov non vengono semplicemente sconfitti, ma distrutti. Con un’esplosione che ne causa il crollo definitivo, costringendo le due protagoniste a cadere insieme ai detriti, allo stesso tempo salvatrici e vittime di quella Torre di Babele destinata al fallimento. Si è parlato di un film arrivato un po’ in ritardo, sia dal punto di vista cronologico per la narrazione (conoscendo già il destino di Natasha questo film ha il sapore di un’aggiunta non troppo essenziale) che da quello relativo alle rivelazioni per il progetto intero dell’MCU (ad esclusione della scena alla fine dei titoli di coda non ci sono sviluppi importanti).
Fare luce
Eppure la forza di Black Widow è proprio quello di invitare il pubblico a vedere oltre. Non le forme del corpo, ma il cuore che quel corpo lo anima (non è un caso che proprio questo personaggio si sacrificherà per la Gemma dell’Anima). Antonia, la donna dietro il costume di Taskmaster, figlia di Dreykov, verrà salvata e non sconfitta. Liberata dal controllo di un padre che non ha avuto remore a trasformare in un freak la stessa figlia. Uno scontro tra protagonista e villain la cui conclusione non si risolve con la violenza, ma con il risveglio (della coscienza, della propria esistenza, della propria indipendenza). È un film di rinascita, dove è più importante fare luce sulla vita che destinare al buio della morte.
Black Widow è anche un film imperfetto, ma non poteva essere diversamente. Non si può controllare un grido. E di fiato, questo ennesimo gioiello dei Marvel Studios, il più maturo, il più adulto, il più impegnativo, ne ha parecchio. D’altronde inizia con un fischio che le due sorelle si scambiano per gioco. Prosegue con un grido di terrore da parte delle ragazzine alla comparsa del titolo (un nome che viene presentato dalle urla). Si conclude con un urlo di indipendenza e liberazione, come il ragno velenoso che uccide e divora il maschio. Eppure, nell’inquadratura finale è un altro l’animale che si fa portavoce del significato del film. La macchina da presa segue una lucciola (Natasha) che si incontra con una seconda (Yelena). In poco tempo l’inquadratura viene riempita di lucciole, simboleggiando ogni Vedova Nera che verrà liberata. E che troverà la sua voce.