Dieci anni si contano sulle dita di due mani. Il primo Avengers le ha usate tutt’e due. Una per seminare, l’altra per raccogliere. Una per inumidire il terreno, l’altra per godersi i frutti.
No, non è merito di Thanos, grande fan dell’agricoltura. Se proprio dobbiamo dire grazie a qualcuno, meglio rivolgersi dalle parti di Nick Fury. L’uomo con un occhio solo che ha visto il futuro prima degli altri. Autore del grande disegno in cui ha unito quattro puntini di nome Iron Man, Hulk, Capitan America e Thor. Eroi distanti, diversi, eppure finalmente insieme nello stesso film. Uniti dall’uomo misterioso che appariva all’occorrenza per fare promesse e proposte indecenti, mentre ci faceva familiarizzare con il concetto di “scena post credit”. Ovvero quella specie di ricatto morale che ancora oggi si avvinghia alla poltrona del cinema senza farci andare via durante i titoli di coda.
Sono passati dieci anni dal primo Avengers assemble!, che nel film di Joss Whedon non viene mai pronunciato, ma mostrato e basta. Come il buon cinema dovrebbe fare sempre. Hulk urla (perché è sempre arrabbiato), Hawkeye tende l’arco, Thor impugna Mjolnir, Natasha alza la pistola e Capitan America sistema lo scudo. Il tutto mentre Iron Man atterra dall’alto e l’inquadratura li abbraccia girando attorno a quello che sarebbe diventando uno dei frame più iconici di sempre. E poi il gesto emblematico: i sei eroi alzano lo sguardo e guardano tutti nella stessa direzione. Ovvero quello che ha fatto ogni singolo film dei Marvel Studios dal 2008 in poi. Tutti semi adagiati con cura nello stesso terreno. Ma cosa è rimasto del primo Avengers? Com’è rivederlo con gli occhi di oggi? Dieci anni dopo quel 25 aprile 2012 una cosa è certa: il ghigno finale di Thanos fa ancora molta più paura delle profezie dei Maya. Il resto lo scopriamo insieme.
Il primo “assemble” non si scorda mai
Non facciamoci accecare dalla nostalgia. Diciamo le cose come stanno: Nick Fury è solo un testimonial cool. Perché con il volto carismatico e il portamento fiero di Samuel L. Jackson è tutto più figo. Il vero deus ex machina dietro le quinte del più grande evento cinematografico dei nostri tempi è stato Kevin Feige. Il presidente dei Marvel Studios che a metà degli anni Duemila ebbe un’idea da pazzo visionario. Facciamo un passo indietro e ricordiamo qualche dettaglio importante. Al tempo Iron Man (soprattutto Iron Man), Capitan America, Thor e Hulk erano considerati eroi minori, secondari (per notorietà e fama agli occhi del grande pubblico) rispetto a personaggi come Spider-Man, gli X-Men e i Fantastici 4. Personaggi inutilizzabili, perché i loro diritti non erano nelle mani dei Marvel Studios, che prima di Iron Man venivano percepiti (e si consideravano) un piccolo studio indipendente che lanciava la sua sfida alle grandi major (detto ora fa molto ridere).
Oggi magari lo diamo per scontato. Oggi ci sembra solo il primo grande passo di un percorso naturale, il tassello di un enorme puzzle, ma non dobbiamo dimenticare che Avengers fu l’apice di una sfida, una scommessa urlata in faccia al cinema mainstream, che dopo quel film è stato totalmente conquistato da Tony Stark, Steve Rogers e compagnia. Se la cultura pop ha allargato i suoi confini, entusiasmando molti e nauseando alcuni, lo dobbiamo anche a quella folle scintilla. A chi immaginò per la prima volta la parola Assemble. Immaginata e basta. Da Kevin Feige e da noi spettatori ogni volta che rivediamo Avengers. Il film che ci disse per la prima volta che un Cinema dell’Infinito era possibile. Quello simile a un guanto in cui incastonare e far convivere tante gemme diverse. Quello che si regala continuamente un futuro e si alimenta di aspettative, rimandi e promesse. Quasi tutte mantenute.
Dentro un carnevale
Torniamo alla domanda di prima. Com’è rivedere Avengers oggi? Divertente come la prima volta. Divertente come ogni fumetto in cui sai che gli eroi non perderanno mai e ti interessa sapere solo come faranno a vincere. Ecco, in quel tono spensierato e ottimista, c’è anche l’arma a doppio taglio che punge Avengers sul suo fianco scoperto. Perché questo cinecomic non è proprio invecchiato benissimo e i suoi dieci anni si sentono e (soprattutto) si vedono tutti. Uno per uno. La ragione è soprattutto estetica. Col tempo i Marvel Studios ci hanno insegnato che prendere le distanze dai fumetti non è tanto necessario quanto obbligatorio. È una questione di esigenze narrative, di linguaggio e soprattutto di pubblico da abbracciare. Il Marvel Cinematic Universe voleva parlare a più persone possibili e ci è riuscito trovando una voce tutta sua, che non poteva e non doveva rispettare alcun dogma fumettistico. Con buona pace di ancora si lamenta di mancata fedeltà e oltraggiosi tradimenti della sacra fonte cartacea (discorsi anche loro invecchiati malissimo).
In questa ricerca ossessiva di un “mondo a parte”, l’universo Marvel ha preso sempre più le distanze anche dall’estetica dei fumetti. Qualcosa a cui il primo Avengers era ancora legato con la sua fotografia patinata, i suoi colori sgargianti e soprattutto con i costumi dei personaggi. Uno su tutti: quello di Capitan America. Forse quello che con gli occhi di oggi ci sembra persino ridicolo con quel design così retrò, quel tessuto così evidente e quella tutina così attillata. Certo, era un modo per sottolineare quanto Steve Rogers fosse fuori tempo in quella New York del 2012, ma basta soffermarsi sulla stella di plastica sul suo petto o sulla cromatica appariscente di ogni personaggio per notare quanto tutto in Avengers fosse molto posticcio. Perché? Perché i costumi dei supereroi non si vergognavano di essere dei costumi da supereroi.
Riguardate con attenzione anche gli abiti di Thor e Loki, così lucenti, brillanti e fumettosi. Facilmente replicabili da ogni cosplayer grazie al loro aspetto vagamente carnevalesco. Ripensate al primo aspetto di Thanos (poi rivisto e cambiato) con quel viola così carico, gli occhi fluorescenti (poi rimossi) e quell’armatura dorata degna di un Cavaliere dello Zodiaco fuoriuscito dalla Golden Age fumettistica. Senza dimenticare un altro aspetto importante: i personaggi non avevano paura di indossare maschere, elmi e caschi. Come da tradizione. Come l’iconografia imponeva. Dieci anni fa erano tempi in cui i Vendicatori non si vergognavano di ricordare a tutti da dove venissero. Ovvero dalle pagine colorate e avventurose di un albo sottile da leggere in metropolitana. Oggi che abbiamo sacrificato tutto questo sull’altare del realismo a ogni costo, oggi che i faccioni degli attori sono più importanti dei personaggi stessi, l’ingenuità fumettosa del primo Avengers fa davvero tanta tenerezza.
Ironic Man
Quello che invece non ha perso proprio smalto è la brillantezza della scrittura di Avengers. E qui stringiamo la mano a Joss Whedon. Uno che quando si tratta di dare ritmo ai dialoghi, freschezza al tono e un’identità forte ai personaggi non è secondo a nessuno. La Settima Gemma dell’Infinito targata Marvel Cinematic Universe viene forgiata proprio in questo film. E la settima Gemma si chiama Voce. Perché il più grande merito di Avengers è quello di aver plasmato una voce riconoscibile per ogni personaggio. Nessuno escluso. L’aulico eloquio shakespeariano di Thor, la rigida retorica militare di Capitan America, la depressione costante di Banner, il sarcasmo pungente di Natasha e soprattutto l’arte oratoria di un mattatore assoluto come Tony Stark, che della parola ha fatto la sua arma migliore.
Il primo Avengers ha costruito una nuova Torre di Babele facendo convivere diversi modi di parlare e registri espressivi in contrasto. Con il genio borioso di Banner e Stark che duella tutto il tempo con il pragmatismo di Thor e Capitan America. Fateci caso: potremmo anche soltanto leggere una battuta sul copione per capire da chi sarà pronunciata. Il che significa aver dato a tutti una personalità, quella che emerge anche con poche parole in film affollati e caotici come quelli che verranno tanti anni dopo. Tutto merito lavoro di scrittura incredibile e certosino. Merito di una Terra di Mezzo in cui convivono ironia, epica, citazioni ammiccanti e tanta autoreferenzialità. Dieci anni fa Avengers ci ha insegnato soprattutto una cosa: ad abbracciare quel distacco ironico che ti permette di vedere il Male dalla giusta distanza. Quel distacco che rende Iron Man il miglior dito medio da sbattere in faccia a chi vuole vedere il mondo finire in cenere.
Perché è in Avengers che Tony Stark diventa davvero il cuore pulsante di un universo intero. Il leader che ha capito come smontare ogni minaccia sdrammatizzandola, l’unico che può vedere le cose dall’alto verso il basso facendole diventa di colpo più piccole. Più piccolo come il primo Avengers non sarà mai. Nonostante ci ricordi ogni volta un cinema di eroi puri e ingenui come forse non vedremo mai più.
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