Anatomia di una caduta, l’opera vincitrice della Palma d’oro a Cannes 2023, è finalmente arrivata nelle sale italiane. Tra grandi uscite e piccole sorprese, però, sono in molti a chiedersi cosa possa avere di tanto speciale l’ennesima operazione francese uscita dal Festival più altezzoso del Cinema. La risposta sta tutta nella struttura del film, che non si avvinghia a un solo genere per seguirne pedissequamente le caratteristiche, e anzi sfrutta la prospettiva dello spettatore moderno, plasmata dal consumismo multimediale, per raccontare qualcosa di nuovo – e compiere degli interessanti passi in avanti. Il quarto lungometraggio di Justine Triet, regista colta e attenta, rende subito evidenti queste premesse attraverso la sua messa in scena: parliamo di un thriller, o forse no? Un noir, sarebbe meglio dire; quantomeno per le vicende narrate: una coppia con un figlio viene distrutta da una tragica vicenda, e la madre si trova implicata in un processo per la morte del compagno.
La tanto citata caduta è stata accidentale? O è stata causata da qualcuno? Essendoci solamente due persone in casa, i ruoli di vittima e carnefice sembrano già stabiliti. E invece non c’è solamente un caso da analizzare, ma due mondi interiori (forse tre) da scoprire e da decifrare. Fra evoluzione e rivoluzione, intesa come moto perpetuo intorno alla figura cardine della donna, Anatomia di una Caduta analizza tutte le sfaccettature dei suoi personaggi e riesce a tenere incollati allo schermo con un racconto che esalta le sfumature per raccontare l’essenziale attraverso un genere – qui non più inteso come colonna portante della narrazione, ma come involucro di una struttura tutta personale che ragiona con coraggio sulle idee dell’esistenzialismo moderno mantenendo un cuore da dramma familiare.
Probabilmente non sapremo mai la verità su quanto è accaduto, nonostante le numerosissime allusioni che spingerebbero chiunque a farsi un’idea precisa. Eppure, proprio qui, emerge la necessità della regista di concentrarsi su qualcosa di diverso dal thriller chirurgico, dall’arguta indagine processuale. Su questo particolare si gioca tutto il mistero che rende l’opera tanto affascinante, a testimonianza della maturità stilistica ed estetica di un’autrice che riesce a trarre il massimo da dolori soffocati e piccole fratture mai sanate. Un film enorme, che avrebbe potuto sputare tutto in faccia e invece sceglie di non farlo.
Anatomia… di cosa?
Del resto, l’anatomia di cui si parla nel titolo non lascia spazio a dubbi: il film di Triet (qui la nostra recensione da Cannes) è un esempio sensazionale di rigore, che si tratti della messinscena o della sceneggiatura. Alternando toni da thriller, carichi di suspense, a momenti emozionanti più ispirati ai drama, Anatomia di una Caduta riesce a mantenere il ritmo incalzante per ben più di due ore. Eppure, in questo contesto evolutivo tipico degli sviluppi di un crimine o di un procedural, Triet intende dissezionare la caduta di una coppia anziché quella dell’uomo. Un po’ richiamando Ingmar Bergman, un po’ ammiccando con astuzia agli sviluppi tipici (seppur rielaborati) del recente David Fincher, la regista sa esattamente come muoversi, preservando la propria ambiguità fino a quando lo spettatore non è ormai immerso e catturato dalle vicende (processuali o meno).
Pur volteggiando intorno a un cadavere e a un processo, Anatomia di una Caduta riesce a emergere come analisi psicologica di una protagonista unica nel suo genere e di un dolore di coppia piagato dal senso di colpa. Scena dopo scena, lo spettatore entra sempre più a fondo nelle vite dei protagonisti, ma non può non accorgersi di come lo sguardo della regista sia più interessato a evidenziare la forza e l’emancipazione della sua protagonista.
Il mistero di questo film si cela proprio dietro questo ribaltamento di prospettiva: all’interno del complesso gioco di coppia, è la figura della donna, sinuosa e sfuggente come il peggiore dei dubbi, a rubare la scena. Justine Triet porta in scena la difficoltà di sentirsi parte di qualcosa, in contrasto con l’idea comune e contro qualsiasi rappresentazione idealizzata della compagna o della madre. Il film apre quindi le porte a una profonda riflessione sull’incapacità di uscire al di fuori di sé. Forse un ritratto egoista e poco affascinante, ma estremamente attuale e carico di significato.
Nel pieno conflitto tra la figura della donna emancipata e l’immagine stereotipica della madre di famiglia, il personaggio di Sandra diventa un’icona dell’individualismo moderno: esplorando tutte le prospettive di un dibattito che pochi hanno realmente il coraggio di affrontare con questa schiettezza e questo coraggio, l’incapacità di aderire a certi canoni evidenzia quasi da subito la voglia di emergere nella propria individualità. Un particolare che da solo rende la pellicola uno dei migliori lavori dell’anno.
Oltre il discorso di coppia
Per quanto l’esposizione dell’individualità sarebbe bastata a incuriosire, il film non si ferma a questo. Ampliando la propria osservazione per spaziare sul discorso di coppia, la carica simbolica sfruttata da Triet si fa così meticolosa da sembrare diabolica: la regista dimostra di conoscere perfettamente lo spettatore moderno, tanto affascinato dai particolari quanto facile da stuzzicare con gli elementi crime. Allusioni processuali e timori personali fanno così da perfetto contorno al dramma, che invece ragiona per sottrazione e non ha paura di giocare con i limiti di quella ossessiva ricerca della verità per approfondire le dinamiche di una relazione. La regista ha sempre affermato di voler fare un film sul rapporto di coppia, e Anatomia di una Caduta lo conferma pienamente: ogni piccolo contrasto evidenzia un racconto di rivalità smorzata, frustrante in ogni suo aspetto, che vede al suo centro due forze destinate a sopprimersi a vicenda pur di mantenere la propria indipendenza.
Che sia nell’egoismo il futuro della prospettiva occidentale? Questo è forse troppo presto per dirlo, ma lo sviluppo del film evidenzia ciò che davvero interessa alla Triet: ragionare non sul come processuale, ma sul perché i rapporti rischiano di fallire. Il segreto di Anatomia di una Caduta è sempre lì, dietro lo sguardo di Sandra, donna “colpevole” di essere libera e di pretendere uguaglianza: oltre il caso di cronaca, curiosando fra dolori, fallimenti ed esaltazione personale, l’aula di tribunale diventa il mezzo attraverso cui tutto cambia di significato. Una splendida metafora di come tutto conta, tanto nei rapporti quanto nel cinema.
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