Chi c’era se lo ricorda e chi non c’era può provare a immaginare quanto Akira, al suo debutto nelle sale cinematografiche, abbia non solo rivoluzionato l’industria anime ma anche la percezione che l’Occidente aveva del Giappone a quel tempo. Ovviamente il film, così filosofico ed ermetico, non fu capito; soprattutto da tutte quelle famiglie accorse al cinema pensando che si trattasse dell’ennesimo titolo family friendly. Un falso binomio, quello del cinema d’animazione e dell’infanzia, che fortunatamente siamo riusciti a sdoganare. Ma questa è un’altra storia.
Il capolavoro anime di Katsuhiro Ōtomo torna al cinema il 14 e il 15 marzo con proiezioni in lingua originale e doppiate in italiano in 4K nell’ambito della Stagione degli Anime al Cinema, progetto a cura di Nexo Digital in collaborazione con Dynit.
Riguardare Akira 35 anni dopo colora questo film di una serie di sfumature che derivano dalla consapevolezza storico-culturale odierna, ma anche dall’influsso che questo pilastro del cinema ha avuto su tante opere successive. Tuttavia per comprendere meglio tutto questo vale la pena fare un passo indietro.
Akira, l’apocalisse e la rinascita (la fine e l’inizio)
Era il 1988 quando Akira approdò nei cinema: le illusioni al neon e le note degli eterni fanciulli del city pop stavano lasciando spazio a una disillusione crescente, un clima di sfiducia dopo la corsa a perdifiato che, a seguito del secondo conflitto mondiale, aveva reso il Giappone una superpotenza futuristica e all’avanguardia. La recessione degli anni Novanta era alle porte e, con essa, anche una sorta di paura atavica di un tempo buio che i giapponesi non hanno mai dimenticato.
Proprio questa paura costante è uno dei sentimenti che emerge di più dal film di Katsuhiro Ōtomo che, all’epoca dell’uscita, non aveva ancora finito di lavorare al manga omonimo e che preferì percorrere un’altra strada con l’Akira cinematografico. Probabilmente consapevole che, pur partendo dalle stesse premesse, quella storia necessitava di essere raccontata in modo diverso prendendo anche direzioni a volte divergenti nel rispetto dei due medium.
Siamo nel 2019. Un terzo conflitto mondiale ha raso al suolo la vecchia città, che resta a fluttuare come uno spettro, mentre una nuova Tokyo ha preso vita sul mare. Proprio qui, a Neo Tokyo, sfrecciano sulle loro moto modificate bande di giovani sbandati e arrabbiati, i quali non sanno che il loro mondo sta per cambiare di nuovo. L’incontro tra uno di loro, Tetsuo, e un misterioso bambino dall’aspetto di un vecchio scatenerà una serie di eventi misteriosi in cui il ragazzo si ritroverà faccia a faccia con il miglior amico e rivale di sempre, Kaneda. Persa (o conquistata) la sua umanità grazie all’acquisizione di poteri extrasensoriali, Tetsuo fronteggerà Kaneda in uno scontro per scongiurare l’apocalisse oppure affinché questa avvenga.
Cercare di riassumere la trama e, ancor di più, le tematiche di Akira è oltremodo complesso. Pur facendo risalire la sua genesi al genere fantascientifico con influenze tanto nipponiche quanto occidentali – lo stesso Ōtomo ha dichiarato che l’idea di partenza di Akira è nata da una riflessione su Super Robot 28, un manga pubblicato tra gli anni Cinquanta e Sessanta, ma ovviamente è impossibile non notare altri riferimenti a cult del genere a noi più familiari come Blade Runner o 2001: Odissea nello spazio – sarebbe riduttivo incasellare eccessivamente il film. Soprattutto alla luce di questi primi suoi 35 anni di vita.
Ne deriva che riguardare Akira oggi sia ancora un’esperienza visiva immersiva e totalizzante. Questo anche perché il film è frutto di un lavoro maniacale, che richiese la cooperazione di praticamente tutti i principali studi d’animazione del Giappone per la prima volta alle prese con le tecniche del pre-recording e dell’animating on ones. La prima, già largamente utilizzata dalla Disney, permette di far combaciare il labiale dei personaggi con il parlato che viene registrato prima; mentre la seconda prevede 24 disegni per frame, anziché i 12 standard.
Tecnicismi a parte, Akira è anche e soprattutto un film in cui bisogna perdersi. Magari fermandosi a riflettere sul senso della fine e dell’inizio che pervade tutto il film. Un mood apocalittico che deve turbare e che trova la sua concretizzazione più interessante nei giovani protagonisti.
Akira o la giovinezza perduta
Al di là dei fondamentali riferimenti all’atomica e alle paure di conflitti futuri, che oggi sono purtroppo tornate a fare eco nelle coscienze, i ragazzi e i bambini sono il cuore pulsante di Akira. Come infatti abbiamo detto in apertura, Akira arriva in un momento in cui le illusioni lasciano spazio alle disillusioni e a un malessere sociale che incide sulle nuove generazioni e che mina il loro futuro. Qualcosa che 35 anni dopo, anche se con presupposti diversi, appare più attuale che mai.
Personaggi che portano avanti narrazione e simbolismi: Tetsuo, Kaneda, i piccoli esper e l’onnipresente Akira sono giovani dal futuro rubato da un sistema in cui il male supremo non è tanto rappresentato dal corpo martoriato e informe in cui si tramuta lo stesso Tetsuo ma dagli adulti. Una società in cui i bambini e gli adolescenti non sono protetti ma vengono inquinati, sfruttati in nome del potere oppure ridotti a idoli religiosi da osannare in strada.
È quindi interessante vedere che nel film, anche se in modo piuttosto criptico, i protagonisti ricercano – ognuno a modo proprio – un nuovo inizio. O forse una fine. L’apocalisse e la rinascita che abbiamo già citato forse alla ricerca di una libertà mai conosciuta, lontano dagli schemi degli adulti.
Un processo che sembra fare eco a quell’eterno ritorno dell’uguale in stile kubrickiano che appare spaventoso quanto necessario e in cui Akira, o quello che resta di lui, assume il ruolo di demiurgo invisibile. Nel bene e nel male.
Se infatti Kaneda, alla fine, è colui che è disposto a tutto per conservare l’ordine delle cose, dunque salvare quello che resta di Neo Tokyo dopo la furia di Tetsuo non possiamo dire lo stesso di quest’ultimo. Outsider da sempre, come il resto dei suoi amici, Tetsuo viene alterato non soltanto nel corpo ma anche nello spirito diventando altro: forse una divinità, forse pura energia. Qualcuno o qualcosa che potrebbe dare origine a un nuovo universo.
Un anelito di libertà che riguarda anche i piccoli esper: figure sacrali e misteriose che riuscendo a raggiungere Akira si svincolano per sempre da una vita in cui non avevano conosciuto altro che un eterno stato di infanzia ormai in stato di decadenza.
Akira e la sua eredità
Proprio sul tema dell’infanzia e della giovinezza perduta è interessante partire per ricordare quanto l’influenza di Akira sia stata e continua a essere importante. Tralasciando opere derivate e citazioni celeberrime come quella della “Akira slide” ripresa in altri anime, film d’animazione occidentali, ma anche altre opere come Tetsuo di Shin’ya Tsukamoto, Inception, arrivando fino ai videoclip come quello di Stronger di Kanye West o quello di Scream di Michael Jackson e Janet Jackson, Stranger Things rappresenta un approdo da prendere in considerazione.
Un esempio alla portata di tutti che ci fa capire quanto l’eredità di Akira sia presente e continui a influenzare cineasti in tutto il mondo. Gli stessi Duffer hanno indicato infatti il film come una delle loro fonti di ispirazione più importanti.
Noto per essere un almanacco di riferimenti alla cultura pop statunitense degli anni Ottanta, in Stranger Things non infatti manca quell’estetica “al neon” che vede in Akira uno dei prodotti più esemplificati della sua epoca. Un gusto che, prima di evolversi nelle grafiche vapor wave, faceva più riferimento a personaggi che si muovevano in penombra tra vicoli e strade buie come succede nel film di Ōtomo.
Questo contrasto tra luce e ombra, che poi può essere perfettamente riconducibile all’eterno conflitto tra giovinezza e età adulta, lo vediamo anche in Stranger Things: non soltanto sul fronte visivo ma anche su quello tematico.
Anche qui un gruppo di ragazzi scopre un programma governativo top secret in cui vengono fatti esperimenti su bambini dotati di poteri psichici. Una di loro, Undici, per le sue capacità particolarmente sorprendenti, viene sfruttata dagli adulti per essere utilizzata come arma proprio come il piccolo Akira.
Come sanno tutti quelli che seguono la serie questa è solo la premessa di Stranger Things, che ovviamente prende una direzione completamente diversa pur mantenendo inalterati i suoi punti di contatto sia sul fronte visivo che tematico. Basti pensare alle sequenze all’interno del laboratorio, che abbiamo ritrovato in modo massiccio anche nella quarta stagione, e al dettaglio del tatuaggio identificativo che contraddistingue i piccoli esper sia in Stranger Things che Akira.
La colonna sonora
Parlare di Akira senza citare la colonna sonora dei Geinoh Yamashirogumi sarebbe come non nominare Vangelis parlando di Blade Runner. Iconica quanto le immagini che accompagna, la colonna sonora è unica nel suo genere poiché combina sonorità della musica tradizionale con un tono prettamente futuristico, tipico degli anni Ottanta.
Il risultato è un sound che contribuisce a dare vita a un’atmosfera ben precisa, che si rispecchia in tutte le suggestioni che Neo Tokyo e i personaggi che vi si muovono riescono a darci. Suggestioni che, come abbiamo visto, ancora oggi affascinano che vengono omaggiate e sì, forse anche imitate.
Akira verrà
Perché, dunque, riguardare Akira 35 anni dopo?
Perché oltre a essere una pietra miliare del genere fantascientifico, nonché una delle opere fondanti del cyberpunk giapponese, è una storia di un’umanità travolgente che non è invecchiata di un giorno.
Grazie ai suoi personaggi, alla sua estetica, alle sue sonorità e alle sue suggestioni esistenziali Akira ci trascina con sé alla scoperta di un mondo opaco, non troppo lontano dal nostro, in cui l’apocalisse è alle porte ma in cui è possibile anche una rinascita. Qualunque essa sia.
Un film che, ancora una volta, sottolinea quanto sia potente il potere del cinema d’animazione, che ci fa riflettere sul nostro passato e, ancora di più sul nostro futuro.