Vincitore del Premio del Pubblico al TIFF nel 2019 e del Premio Oscar alla Miglior Sceneggiatura non originale nel 2020, Jojo Rabbit è il sesto lungometraggio da regista del visionario Taika Waititi, arrivato nei cinema italiani nel gennaio 2020. Commedia drammatica che mescola abilmente elementi di satira e umorismo nero, Jojo Rabbit racconta l’Olocausto da una prospettiva insolita ed innovativa. In occasione della Giornata della Memoria, ecco un’analisi sul significato di uno dei lungometraggi più brillanti degli ultimi anni.
Raccontare l’Olocausto con gli occhi di un bambino
Tratto dal libro di Christine Leunens intitolato Il cielo in gabbia e ambientato nella Germania del 1945, Jojo Rabbit segue le vicende del piccolo Johannes Betzler (Roman Griffin Davis), un ragazzino di dieci anni che vive insieme a sua madre Rosie (Scarlett Johansson), ma soprattutto fervido nazista ufficialmente entrato a far parte della Gioventù hitleriana. Johannes, simpaticamente chiamato Jojo, passa le sue giornate al campo in compagnia di Yorki (Archie Yates), suo unico amico, e del suo particolare amico immaginario: Hitler (interpretato dallo stesso Taika Waititi). La sua vita cambia radicalmente quando scopre che sua madre nasconde in casa Elsa (Thomasin McKenzie), una ragazzina ebrea.
Raccontare al cinema l’ennesima storia che ha come tema principale quello dell’Olocausto, estremamente importante e delicato ma assai trattato nel campo della settima arte, è una sfida difficile ma Taika Waititi la supera senza alcuna difficoltà, giocando la carta dell’originalità. In questo caso, infatti, il suo protagonista è un ragazzino di dieci anni tremendamente influenzato dalla propaganda nazista e fedele al regime. Un personaggio insolito per una storia del genere che diventa però veicolo e tramite attraverso il quale il discorso narrativo indaga il tema dell’odio, della violenza e della guerra, arrivando infine a quello della libertà.
Jojo Betzler idealizza la sua realtà, e questa caratteristica è facilmente intuibile da alcune accortezze narrative e scenografiche. Una su tutti i colori utilizzati che dalle tonalità calde iniziali, abbracciano i toni freddi dell’azzurro, del grigio e del nero dopo l’avvenimento che più di tutti scuote la vita di Jojo, proprio come se lo scardinasse dal suo mondo che nient’altro è che fasullo. Jojo si crea inoltre un amico immaginario fuori dal comune, Hitler, che fa da ponte tra fantasia e realtà, che nel suo caso combaciano senza alcuna distinzione.
Jojo Rabbit tra satira e umanizzazione
L’odio e la guerra ottengono per tutta la durata del discorso narrativo una percezione infantile distorta, che viaggia anche attraverso i binari della satira e dell’umorismo nero. Taika Waititi sceglie infatti per la sua storia, ma soprattutto per la caratterizzazione del personaggio che lui stesso interpreta, un approccio provocatorio. Hitler è ridotto ad amico immaginario, un fantoccio quasi, protagonista di scene bizzarre e prive di senso logico, il cui credo viene recepito ma successivamente messo subito in discussione e alla fine sconfitto.
Il momento clue della vita di Jojo è la scoperta e l’incontro successivo con Elsa, una ragazzina ebrea, nonché prima ebrea veramente conosciuta da Jojo. Il ragazzo, infatti, ha da sempre considerato gli ebrei come mostri, nemici da uccidere, senza alcun sentimento. L’incontro con Elsa cambia per lui le carte in tavola, facendo vacillare quelli che fino ad allora erano i principi cardine della sua vita da fervido nazista, e dimostrandogli per la prima volta che gli ebrei non sono altro che persone con emozioni e sentimenti propri.
La danza della libertà
Jojo Rabbit è un lungometraggio con una morale che si basa principalmente sulla libertà, sulla sua ricerca e sulla sua importanza, un risveglio da tutte le oppressioni e da qualsiasi totalitarismo. Una libertà intrinseca alla danza e alla sua funzione, tema ricorrente per buona parte del film, spesso nominata e utilizzata da Rosie, madre di Jojo, come mezzo di ribellione per dimostrare quanto ancora sia bello vivere nonostante le avversità. È grazie anche alla madre che Jojo attuerà un percorso di crescita personale, alla ricerca della sua vera identità e del suo vero essere, fattori che lo porteranno ad una completa redenzione.
I messaggi del film e il suo significato trovano pieno compimento all’interno della sequenza finale, dove viene proprio utilizzato l’espediente della danza per sottolineare la liberazione finalmente raggiunta dai protagonisti. Jojo Rabbit scuote le menti, sfida il suo pubblico e li porta alla riflessione, la cui chiave di comprensione è contenuta nel frame finale su schermo nero, con una poesia di Rilke che recita: “Let everything happen to you. Beauty and Terror. Just keep going. No feeling is final’’.
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